domenica 29 aprile 2012

Harvest



Come ho ricordato prima ho prestato mano d’opera con Taormina Arte, e in quella sede con i circoli messinesi si organizzarono retrospettive su Roger Corman, Brian De Palma, Peter Weir e il cinema australiano.
Già negli anni del mio apprendistato al Cineforum Don Orione per mezzo di Ubaldo avevo timidamente collaborato alla “Settimana del Filmnuovo” una sezione della Rassegna Cinematografica di Messina-Taormina affidata al professor Sandro Anastasi, critico cinematografico della Gazzetta del Sud, creata negli anni della contestazione per tacitare i turbolenti giovani – un pallido scopiazzamento tutto buddace di quanto era accaduto a Cannes e a Venezia dove a scendere nella strada era gente come Godard, Truffaut, Malle, Pasolini, Bertolucci provocando turbolenze davanti al Palais e al Lido – che si opponevano a quanto gestiva dispoticamente Gian Luigi Rondi.
Le proiezioni della “Settimana”, si svolgevano nella varie sale messinesi affittate di anno in anno; il Trinacria e il suo Giardino, l’Odeon, il Garden e il Giardino Corallo. Più avanti dopo l’abbandono da parte mia del Cineforum continuai, chiedendo, assieme a Franco Cingari, al gentilissimo professor Anastasi di poter dare una mano, soprattutto per la retribuzione che ci veniva accordata, poca cosa di fronte a quanto percepivano impiegati e dirigenti dell’E.P.T di allora. Questa partecipazione mi diede comunque l’occasione, talvolta, di mettere piede a Taormina, con la macchina e l’autista, Silvio, della Rassegna, e recarmi al San Domenico dove c’era la vera e propria organizzazione e intravedere nell’andirivieni di quelle stanze qualche personaggio famoso.
Nel frattempo giunse il 1984, non quello di Orwell ma quello di Leone con l’arrivo nelle sale di C’era una volta in America, per dirla con Walker Percy  “sono un uomo giovane, ventinovenne, ma sono pieno di sogni, quanti  potrebbe averne un vecchio”,  il mio ideale di bellezza ha finalmente un volto e un corpo e per giunta si chiama il suo cognome è come nonna Mariuzza.


giovedì 26 aprile 2012

Il più faraonico dei registi

Lui non dorme mai. E’ una persona ossessiva. E’ il più faraonico dei registi con i quali ho mai lavorato … Il suo sguardo è fisso sul futuro. Non da importanza alle sottigliezze. Oliver Stone

Se parlando di Michael Cimino,  vale l’etichetta film di genere, questo è un film di genere, anzi di generi.
Tratto da un novel  di Robert Daley - non il produttore del suo film di debutto con Clint Eastwood -  e sceneggiato con Oliver Stone, ricalca il tema principale di tutta la filmografia di Michael Cimino: lo scontro tra le razze in America per un qualsiasi predominio. Qui abbiamo un polacco contro un cinese, perché poi lo scontro, frenetico,  vero è tra i due con il contorno della chinatown e la classica storia d’amore che coinvolge il polacco, un ex veterano del Vietnam,  e la bella cinesina, il cui compito è pure quello di risollevarlo dal matrimonio fallito.
I due protagonisti principali, Mickey Rourke e John Lone fanno il loro lavoro con coscienza e destrezza, rievocando il ricordo di tanti sceriffi e villain del cinema americano, ma, come, e mi ripeto, in tutti i film di Cimino è l’ambiente il vero protagonista di quanto racconta, qui il quartiere cinese e la sua comunità abilmente cinematografati  da Alex Thompson.
Accusare Cimino di razzismo per questo film è come accusare, tutto questo è accaduto, Eastwood ed il suo ispettore Callaghan di fascismo, accuse a cui non sfuggirono e sfuggiranno nemmeno Tolstoj e Dostoevskij;  la sua è una campagna  contro la perdita dei valori tradizionali su cui si basavano i rapporti tra gli uomini;  il nostro Michael, lo ripeto, è dotato di un proprio umanesimo lontano dagli schemi rigidi di molti conservatori e progressisti che si servono di questi modelli per definire una geografia interiore per non smarrirsi nello svolgersi quotidiano della vita.
Unica pecca nella versione italica del film è la voce di Vernellone che fa apparire Mickey Rourke una fotocopia  di quell’animale, letteralmente, di Silvester Stallone.


mercoledì 25 aprile 2012

giovedì 19 aprile 2012

Enzo Ungari

Sotto l’etichetta  che porta la firma di Enzo Ungari, facendoli uscire dal limbo, andrò ricordando opere, di autori famosi o meno famosi, che hanno vissuto una sola stagione, se non dire la sola prima visione in un cinema d’essai, cineforum o circolo del cinema.  Questi per altro  pagavano caro il noleggio di questi film che nessuno voleva proiettare, dato il prevedibile scarso incasso da segnare sul borderò.
Li commenterà una breve citazione tratta dal libro di Enzo Ungari Schermo delle mie brame dato alle stampe nel 1978.
Vorrei anche ricordare che Enzo Ungari se fosse vissuto oggi sarebbe un nome notissimo per via de L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci, ma non tutti sanno che proprio a Messina il buon Enzo trovò quanto cercava nelle biblioteche mondiali, e per bontà dell’altrettanto buona Giovannella Giordano.


Paulina s’en va  di André Téchiné
  è uno di quei film a cui si ha voglia di fare dei complimenti, a causa della sua fragilità e del suo essere senza protezione.

mercoledì 18 aprile 2012

Il massacro di Pompei

OGGI
Quest’opera porta la regia di Mario Bonnard. Solo per finta.
Quando furono iniziate le riprese Bonnard era stravecchio, e forse stramorto, come Stanley Kubrick quando si stavano ultimando le riprese d Eyes wide shut nel 1999, portato a termine non si sa da chi.
Lo presero in mano quattro giovani leoni: Ennio De Concini, Duccio Tessari, Sergio Corbucci e Sergio Leone. Questi partirono per la Spagna e a momenti vi rimanevano.
Il risultato è un guazzabuglio sgangherato per via della Commissione Episcopale Italiana e dell’Opus Dei spagnolo, con un contorno di musiche che irritano le orecchie di Angelo Francesco Lavagnino.
Ma non gliene vogliamo ai quattro baldi giovani, essi si fecero le ossa su quelle cadenti di Bonnard.
La fine: quella distruzione di Pompei sarà meglio rifatta sa Sergio Leone quando appronterà Il colosso di Rodi. L’inizio: beh, l’inizio è la partenza del western all’italiana, un manipolo di incappucciati a cavallo che oltrepassano di notte il fiume per compiere un massacro,  è una scena delle future di  Sergio Corbucci o Duccio Tessari ,sempre diretta da Sergio Leone, con quell’effetto notte, nuit américane o day for night che imperverserà in Per un pugno di dollari – d‘altra parte gli assalitori agiscono armati di frecce come gli apaches fordiani.
Tutto ciò lo si può notare nel filmato rimissato da me a cui ho inserito un frammento tratto dal corbucciano grande silenzio  composto dal Maestro.
Su Steve Reeves meglio tacere per lui parlava l’ammasso di carne, è preferibile ricordare Mimmo Palmara giovanotto che se non ci fosse stato Giuliano Gemma … e una citazione merita Fernado Rey nelle vesti, per lui insolite, di cattivo.
Infine, Ennio De Concini diresse il suo unico film intitolato Gli ultimi  10 giorni di Hitler nel 1973


lunedì 16 aprile 2012

il mostro

Harvest

Io arrivai all’E. inizialmente perché dopo la scuola per racimolare qualche lira e non gravare sempre su papà, ereditai un lavoretto, da mia sorella Maria, che consisteva nell’incassare per conto di una nota, a quei tempi, libreria. Una simpatica signora lavorava li dentro e vi ritornavo ben felice perché mi piacevano le sue gambe – quando divenimmo colleghi lo rivelai all’interessata, per nulla turbata, anche perché era divenuta come una sorella per me.
Dopo non ricordo se vi rimisi piede per Fabio Mollica o con Fabio, figlio del noto attore messinese Massimo, divenimmo amici lì dentro. Sta di fatto che lui aveva organizzato, ora si dice progettato, un corso per “Operatore Culturale”, a cui mi iscrissi. Ma forse, ora che ci penso, lo conobbi per via di un ciclo di film promosso da una cooperativa di cui lui faceva parte, proiettati al cinema Royal, e per il quale chiesero la mia consulenza e collaborazione.
 Il docente di “Comunicazioni di Massa” per quel corso era Sebastiano Di Marco che veniva Reggio dove insegnava inglese in un liceo, ma era più conosciuto perché era la mente del circolo “Charlie Chaplin” in via Aschenez.
Il Natale di quell’anno, con Fabio e Filippo, un altro collega ed amico, lo passammo presso il suo circolo perché aveva allestito una retrospettiva su Sergej M. Ejzenstejn, cosa rarissima in quei tempi per i circoli calabro-siculi, e ogni sera con la 126 rossa della mamma di Fabio traghettavamo, via Villa San Giovanni, per andare al circolo reggino.
A Sebastiano Di Marco devo una riconoscenza che non ho mai potuto ricambiare a causa della sua prematura scomparsa: se sono diventato un lavoratore dell’E. lo devo al suo inaspettato e disinteressato sollecitamento presso il direttore. Lui capì subito quanto rappresentava il cinema per me e la preparazione acquisita  frequentando i cinema e i circoli, per questo ogni tanto, durante le lezioni, mi chiamava a fare qualche intervento a supporto delle sue lezioni.
Al di fuori di questa mia attività lavorativa che mi impegnava abbastanza durante la settimana ,
sepolto il “Barbaro” non smisi di partecipare all’organizzazione di cicli cinematografici con altri circoli e in quegli anni si intensificò pure la collaborazione con la Rassegna Cinematografica di Messina-Taormina e con la succeduta Taormina Arte.
Continuai a proiettare film presso un circolo ARCI, “Il Punto Rosso” – vi proiettai per qualche settimana Io sono un atutarchico di Nanni Moretti, allora al suo debutto -, partecipai e proiettai con la cooperativa Entr’Acte fondata dagli scissionisti barbari cui si era aggiunto Maurizio, Godard, Wenders, il Cinema Francese, proiettai pure presso il circolo socialista Officina e nelle feste dell’Unità.