Un regista di tutto rispetto, attori di tutto rispetto, cast tecnico di tutto rispetto e lo spettacolo è assicurato, questo è I Vichinghi. Col crescere degli anni questo tipo di cinema impone la nostalgia dell'infanzia e il tramonto di un epoca del cinema ancora quando i trucchi erano creati manualmente e non da elaboratori elettronici, da professionisti dediti solo a questa mansione, gente talvolta emersa agli onori della regia dalle cantine di quelle officine di sogni.
Il cinema australiano deve, quando l'ha avuta, la sua fortuna in Europa, a Taormina ed anche Philipp Noyce, prima di andare ad Hollywood passò per Taormina, dove Newsfront fu proiettato, grazie al professor Sandro Anastasi dentro la Settimana del Filmnuovo del 1978, successivamente quando diventò Arte fu organizzata tutta una retrospettiva su quel cinema.
In sintesi è la storia di due fratelli cameramen di cinegiornali che venderebbero la propria madre pur di avere sempre nuovi filmati da consegnare. I fratelli sono diversi caratterialmente e politicamente: uno legato al passato ed uno attento ai cambiamenti. E' anche un pezzo di storia australiana raccontata e recitata superbamente, senza incanti e senza cadute di ritmo durante lo spettacolo rappresentato.
E' l'ultimo film della serie, Antoine invecchia, come me, scrive pure un'autobiografia, come me. Divorzia, su questo punto non lo posso imitare, mi è mancata la materia prima, finisce che ha un amore trafficato che lo stufa, ci sono passato.
Truffaut ripesca anche immagini dei film precedenti, e lo fa bene, ma anche a lavori diversi. Alla sceneggiatura partecipa anche Marie-France Pisier, la prima innamorata, ingrata. Ancora collaborano Nestor Almendros alla fotografia e George Delerue alle musiche.
Da qui a qualche anno anche Francois Truffat ci abbandonerà e il cinema non può fare altro che rimpiangerlo, mentre Jean-Pierre Leaud diventerà attore di culto per registi colti.
Il finale, lo potete vedere sotto, ci copre di nostalgia
Totò mi disse: “vedrai , sarà un anno in cui non ti dovrai preoccupare di niente, a tutto provvederà lo Stato”. E così accadde.
Tra Sulmona e L’Aquila, dove arrivai sotto un nevicata a cui non ero abituato, l’unico modo di occupare il tempo della libera uscita, avendo finito in un pomeriggio le bellezze della città e le sue artistiche chiese, fu di stiparmi dentro i cinema e vedere di tutto da Walt Disney a Bianco Rosso e Verdone. Collezionai così un gran numero di capolavori e, con mio scorno, la clinica delle supersexy, che andai a confessare al cappellano della caserma.
Accaddero anche degli avvenimenti piacevoli che col passare degli anni hanno fatto maturare l’idea che quell’anno non sia stato del tutto inutile.
Un fatto che mi fece lievitare di gioia accade d’estate, un pomeriggio ci misero a marciare per punizione. Il comandante della caserma doveva aver visto MASH di Robert Altman, per suo ordine il furiere in quei pomeriggi di canicola, diffondeva musica dagli altoparlanti Geloso. Qualcuno doveva aver messo insieme agli altri lp, Harvest di Neil Young. Durante quella marcia punitiva il furiere lo mandò tutto, compresa la pausa per voltare alla b side. Ancora quando lo ascolto mi tornano in visione il sudore, la nuca di chi mi stava davanti, gli scarponi, la voce del canadese e quella del sergente di turno che ringhiava imprecazioni contro il pigro plotone.