Irasema Dilian (1924 - 1996), Maddalena zero in condotta, Vittorio De Sica, 1940
Mimmo Addabbo - Lolli,Ubaldo Vinci, Gianni Parlagreco,Catalfamo,Fabris, Valentino,Margareci,Crimi,Fano e i Sigilli
giovedì 7 novembre 2019
mercoledì 6 novembre 2019
The Evolution of the Western Movie from 1899 to 1954 - the end
Infine, un'altra iniziativa
partita dalla stessa Hollywood ha contribuito all'eliminazione del western
B. Circa un dieci
anni fa i film western si potevano dividere in due categorie: quelli
grandiosi ed epici, e quelli d'ordinaria amministrazione, modesti, a buon mercato, senza categorie intermedie. Oggi invece,
siccome il genere western piace
sempre,
si è
creato a Hollywood, un qualcosa di mezzo tra il grande e il piccolo western, e precisamente "il nuovo westen B" che permette uno
spettacolo d'ottanta minuti, è in technicolor ed è interpretato da attori come
Sterling Hayden, Audie Murphy e Randolph Scott. Questi film costituiscono uno
spettacolo completo e hanno subito avuto una larghissima diffusione, e non si può
quindi dare tutti i torti al distributore se, dovendo scegliere tra un filmetto del genere di
quelli che si possono vedere alla televisione, e un altro invece che, con pochi
dollari di differenza, garantisce un buon colore, un eccellente interpretazione
e la durata di proiezione di un film normale, preferisce i nuovi western B.
La fine dei western
B era quindi questione di poco tempo ancora. Anche la Republic che si era specializzata
nei western musicali, conservò soltanto la serie del cow boy-cantante
Rex Allen.
Gli Allied Artists, già
Monogram, furono l'unica società cinematografica rimasta ancora sulla breccia. Ma il totale di
cinque westen per il
1954,
se paragonato ai 145 per anno di non molto tempo prima, è la dimostrazione più
evidente della crisi, anche se gli Allied Artists fecero tutto il possibile per
ridare ai western di seconda categoria la fama e il successo di una
volta.
Bitter
Creek, The Forty Nine's e The Despeado
sono piccoli westen ma ben fatti nella linea della vecchia tradizione di
Bill Hart e di Tom Ince, con una trama non banale e un interesse mantenuto vivo
sino alla fine. Però, con l'assunzione di John Huston, William Wyler e Billy
Wilder, non soltanto come
registi ma anche in veste di consiglieri e, sotto sotto, di direttori di
produzione, si può star certi che i western B anche presso gli Allied
Artists, abbiano i giorni
contati.
Ciò non vuol dire
che i western B siano scomparsi per sempre e nel modo più assoluto: se
ne vedrà, ogni tanto, qualche apparizione. Per esempio, ci sono, produttori indipendenti come Edward Finney, Jack Schwarts,
Alex Gordon e John Carpenter, i quali contro ogni previsione hanno avuto recentemente
un buon successo con Buffalo Bm in Tomahawk Territory e con The
Lawless. Ma sono casi isolati, che non hanno importanza per la speranza di ripresa dei western B.
Per contro, anche
le ultime notizie confermano che la Universal, la Columbia e gli Allied Artists in modo particolare, e le altre case cinematografiche con minore
ma sempre notevole impegno, stanno preparando il lancio su vasta scala dei "nuovi western
B",
quelli
cioè che non sono e non vogliono essere colossi né propriamente storici, e che
in sostanza conservano le caratteristiche del western minore, con
l'aggiunta però di una durata superiore di proiezione, di una tecnica più
raffinata e puntualizzata nel colore, e di un'accurata scelta di interpreti, tanto da
avvicinarsi piuttosto al western della categoria A. Si vede che
Hollywood ha saputo trarre qualche profitto, quel poco che c'era da imparare,
dalle edizioni più economiche e popolari dei western. Uno degli ultimi grandi
della Universal, Saskatchewan, ricorda molto quelli d'una volta. Nonostante gli
interpreti (Alan Ladd, Shelly Winters), il regista Raoul Walsh, che ai suoi tempi diresse film
passati alla storia del cinema ormai, come The Big Trail e The Dark
Command e l'appropriato commento musicale, può tuttavia fare una certa impressione
solo superficialmente. L'illusione di grandezza è data dalla suggestività dell'ambiente
e del colore, e da un illimitato numero di comparse. Ma a bene considerare, la scena madre, il pezzo forte,
mancano. Anche le scene che
dovrebbero riuscire più emozionanti sono state riprese da lontano, in campi
lunghi, con la macchina
ferma. Infine, in tutto il film, c'è soltanto una scena che si svolge in interni. Quando Alan Ladd
entra sotto la tenda, la macchina da presa rimane fuori; quando Shelly Winters si
ritira nella sua stanza, la macchina da presa si limita a inquadrare dall'esterno
la finestra, e basta. I vecchi maestri del westen, Sam Newfield,
Leslie Selander, Lambert Hillyer e altri ancora, hanno pur insegnato qualcosa, in fatto d'economia,
con i loro poveri western, a buon mercato.
Perciò, se è vero
che i western della categoria superiore hanno talmente influito sui minori, da
schiacciarne la produzione, è anche vero che i piccoli, i poveri western non sono passati
sullo schermo senza lasciare una traccia, un loro ricordo, che è
appunto quella sensazione di freschezza immediata, di vivacità,
di vita insomma, che, se ottenuta anche nei nuovi western, potrà
continuare, sia pure con ben altre pretese, la tradizione in
certo modo gloriosa, lo spirito, delle umili e ingenue leggende,
ormai, dei cavalieri spericolati, irruenti al grido, ch'era già tutto un programma, di
"arrivano i nostri!".
WILLIAM K. EVERSON
CINEMA quindicinale di
divulgazione cinematografica Volume XII Terza serie Anno VII – 1954 10-25 Dicembre
In apertura: George
O'Brien e Marguerite Churchill nel film di Hamilton MacFadden L'amazzone mascherata (Riders of the Purple Sage). Sotto: Irene Dunne e Richard Dix in Cimarron (I pionieri), 1931.
martedì 5 novembre 2019
Gelecek Uzun Sürer
Forse la vita è la strada che una donna... percorre con un
cesto nella mano...
forse la vita è la corda che un uomo mette sul ramo per
darsi la morte
forse la vita è un bimbo che torna a casa da scuola.
Forugh Farrokhzad (1935-1967)
Özcan Alper, Gelecek Uzun Sürer (Future
Last Forever, Il futuro è per eterno), 2011
lunedì 4 novembre 2019
Emilio "el Indio" Fernández
Motivi
di critica sull’opera di Emilio Fernandez
Nell'ambito del cinema messicano, per lo più legato
agli schemi e metodi di Hollywood, l'opera di Emilio Fernandez rappresenta finora un fenomeno isolato e, in
un certo senso, di avanguardia. I suoi film riscuotono nel Messico uno
scarsissimo successo di cassetta (André Camp ci informa (1) che La perla
ha tenuto più a lungo il cartellone a New York che a Città del Messico).
In sostanza l’opera di Fernandez è un fenomeno di cultura
che traspone nel cinema i motivi di una ricerca spirituale che impronta oggi
tutto il panorama dell’arte e della cultura messicane, Questa ricerca, che si
presenta con caratteri tipicamente nazionali, tende a individuare nella storia
millenaria del Messico gli elementi personificatori di una tradizione
spirituale e di una sensibilità espressiva. L'arte messicana di oggi trae
ispirazione dalla terra e dal popolo del Messico, riallacciandosi deliberatamente
alle antiche e primitive manifestazioni indigene precolombiane (aggiornate
però, sia pure polemicamente, ai risultati della cultura moderna).
Emilio Fernandez, di razza india, è nato a Hondo,
stato di Coahuila, confederazione del Messico, il 26 marzo 1904. Frequentò
l’accademia militare e seguì la carriera delle armi come ufficiale
d'artiglieria. Come tale combatté nella rivoluzione.
Dimessosi dall'esercito fu attore di teatro e di
cinema (come i suoi quattro fratelli: Fernando - che è uno dei più noti
cantanti messicani, Augustin, Rogelio e Jaime). Come attore lavorò per qualche
tempo anche a Hollywood dove conobbe John Ford che l’incoraggiò alla regia.
Fernandez ha conservato per Ford – che egli considera suo maestro - una sincera
e profonda amicizia.
Diresse il suo primo film nel 1941. Ecco, in ordine
progressivo, l'elenco completo dei films da lui diretti: Isla de la passión, Soy puro
Mexicano, Flor silvestre, Las abandonàdas, Maria Candelaria, Bugambília,
La perla, Pepita Jiménez, Enamorada
(versione messicana), Salon Mexico, Maclovia, Río Escondido, Pueblerina,
La malquerida, Enamorada (versione inglese con Paulette Goddard), Un dia dè vida, Victímes del pecado.
Tranne i primi due films in tutti gli altri ebbe come
operatore Gabriel Fígueroa. Da Maclovía in poi Colomba Dominguez, sua moglie,
ha partecipato a tutti i suoi films. Fernandez preferisce lavorare con collaboratori
fissi che garantiscano l’affiatamento della troupe. Segue un metodo di lavoro
piuttosto estemporaneo e gira senza una sceneggiatura rigorosamente stabilita.
Politicamente Femandez e Figueroa sono a sinistra.
Devo queste ed altre notizie contenute in questo
studio alla cortesia di Ruth Rivera e di Jaime Fernandez. (continua)
(1) André Camp:
“Aperçus sur le cinéma mexicain” in «La revue du cinéma, n. 5, luglio 1948.
Franco Venturini in
BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 - APRILE
1951
Nella foto: Emilio Fernandez e Rodolfo Acosta sul set di Vittime del peccato (1950)
domenica 3 novembre 2019
giovedì 31 ottobre 2019
Олександр Довженко
“Non siamo troppo pudichi per i movimenti delicati dell'animo,
le attenzioni e l’intesa amorosa, i baci. L'amore è saggio e perspicace”, dice
il proverbio; innalza l’uomo, lo abbellisce, lo ispira, lo rende felice. E se
viene contrariato porta con sé profonde sofferenze morali che esisteranno
finché l'uomo vivrà sulla terra”.
Alexander Dovzhenko : Poet As Filmmaker: Selected Writings
mercoledì 30 ottobre 2019
Un leone a Culver City - le origini
Origine
di un'industria
Relativamente giovane, rispetto ad altre ditte
- dalla Paramount alla Fox - sulle quali poggia la forza industriale del cinema
americano, la M.G.M. è in sostanza uno degli ultimi importanti organismi della
storia di Hollywood entrato nella grossa competizione commerciale nel momento
più difficile e ad un tempo
più propizio alla nascita di iniziative
coraggiose e all'affermazione di energie giovani
e spregiudicate. Negli anni che seguono la prima guerra
mondiale il cinema degli Stati
Uniti attraversa uno dei suoi
periodi più felici: i film di Hollywood prodotti durante la guerra invadono i mercati di tutto il mondo senza
incontrare
praticamente una concorrenza vera e propria.
Le varie cinematografie europee ad esempio - le uniche che per
tradizione storica e livello artistico potrebbero porsi su un piano di parità rispetto
a quella americana - attraversano tutte un periodo di crisi industriale, mentre
Hollywood ha a disposizione un pressoché
inesauribile repertorio di film inediti,
facilmente selezionabili e quindi sfruttabili a colpo sicuro in base ai
risultati commerciali già conseguiti sul
mercato interno. La lotta della produzione indipendente nei confronti del "trust" della "Motion Picture Patents
Company" si era conclusa in sostanza con la vittoria
della "qualità" sugli ingenui criteri della
produzione in serie che avevano dominato il periodo precedente: l'avvento del
lungometraggio, le scoperte di Griffith, lo stimolo della migliore produzione
giunta dall'Europa, e infine la concorrenza interna fra organismi di vecchia e nuova
costituzione, quasi tutti indirizzati ormai alla conquista del pubblico non già
mediante artificiosi meccanismi monopolizzatori (che erano stati alla base
degli errori del "trust") ma solo per mezzo dell'eccellenza del prodotto,
avevano
condotto la cinematografia hollywoodiana a un
grado di eccezionale maturità e ad una sempre più cosciente raffinatezza. Il
pubblico d'altra parte - non più costituito dai meno abbienti e dai meno
avvertiti in senso culturale - cominciava a diventare sempre più esigente: il cinema non era più
ormai uno spettacolo
da fiera, sorretto dalla primitiva meraviglia
nei confronti del magico meccanismo, ma era divenuto un vero e proprio bisogno
psicologico, il passatempo
favorito di ogni classe e di ogni età, l'evasione più completa dalla noia e dalle
preoccupazioni della vita quotidiana.
Questa, per sommi capi, la situazione generale
da cui sorge la nuova ditta, e che ne determina in sostanza l'indirizzo,
spiegando logicamente le ragioni dell'impegno produttivo e dello splendore tecnico,
artistico e spettacolare della sua produzione fin dall'inizio dell'attività. Ma se la nascita ufficiale della "Em-Gi-Em" reca la data del 1924, va tuttavia precisato che a date ben
anteriori risale l'inizio dell'attività dei principali esponenti che a un certo
punto si sono uniti per dar vita al nuovo organismo. (continua)
Fausto Montesanti
Nelle foto l'evoluzione
degli
"studios"
della
Metro: (sopra)
i "West Coast
Studios"
della
Metro prima della fusione con Goldwyn, nel 1920·
(sotto) gli "studios" della Metro a Culver City, verso il '30;
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE
Iscriviti a:
Post (Atom)