Impronte sulla sabbia
Bernardo Bertolucci
Negli ultimi anni il nome di Bresson è diventato una
semplice parola, un’entità, una sorta di manifesto cinematografico del rigore
poetico. Bressoniano significava per me e per i miei amici l’estrema, morale, irraggiungibile,
sublime, punitiva tensione cinematografica. Punitiva perché i suoi film sono
forti esperienze sensuali senza sollievo (a parte il sollievo estetico, che è
di per un piacere devastante).
Un giorno ho saputo che Bresson era a Roma per un incontro
al CSC. Sono corso, e sono arrivato nel bel mezzo della lezione. In piedi
dietro un muro di studenti, riuscivo a vedere solo l’immacolata corona bianca
della testa che si muoveva lentamente. Non ha mai usato la parola “cinema” ma
“le cinématographe”. Tutto il resto era “theatre filme“. Quando ho potuto
vederlo in faccia, forse solo per tre secondi, mi ha fatto pensare a un
coniglio ipnotico. Le mie gambe tremavano di ammirazione. Era il 1964 o il
1965? Quel pomeriggio Mauro Bolognini mi invitò a una cena in onore di Robert
Bresson, che era a Roma da alcune settimane per preparare un episodio della Bibbia, un film prodotto da Dino De
Laurentiis con vari registi.
Bresson aveva scelto L’arca
di Noè. Prima di essere presentato, Bolognini mi disse che Bresson era
piuttosto di cattivo umore, e mi spiegò perché. Quella mattina, mentre Bresson
faceva la sua lezione, Dino De Laurentiis era andato in teatro di posa e aveva
visto grandi gabbie con dentro coppie di animali selvaggi: due leoni, maschio e
femmina, due giraffe, maschio e femmina, due ippopotami, maschio e femmina,
ecc. Qualche ora dopo, Dino disse a Bresson di sentirsi eccitato all’idea di
essere l’unico produttore al mondo capace di far scendere in terra l`eccelso
Maestro, producendo un film con autentici valori produttivi e commerciali … «On
ne verra que leur traces sur le sable» (si vedranno solo le loro impronte sulla
sabbia), bisbigliò Bresson a Dino. Un’ora dopo veniva licenziato.
Eccomi, di fronte a Bresson. È l'inizio dell'estate e stiamo
su una terrazza in via San Teodoro. Dietro di lui lo sfondo dei colli palatini,
pezzi di bianche rovine nel buio. Devo aver borbottato qualcosa come «prima di
mettere una bomba nel teatro di posa di De Laurentiis... posso chiederle se … forse c’è qualcuno... nella storia di... “le
cinematographe”... che le piace di più... c’è un film che preferisce... o più
di uno...?›.
Guardò altrove, “no”. Poi, con straordinario spirito di
precisione, si corresse.
«Forse, qualche inquadratura di Chaplin. Ma quando non è in
scena». Gli dissi che adoravo Les dames
du Bois de Boulogne. Non aveva ancora realizzato Au hasard Balthazar, Mouchette,
Une femme douce, Quatre nuits dun rêveur, Lancelot
du lac, Le diable probablement, L’argent. Scrivendo questo testo adesso,
Bresson è d'improvviso nuovamente il nome di una persona. Francese. O taoista?
Testo apparso in James Quandt (a cura di), Robert Bresson, Cinémathéque Ontario,
Toronto, 1998.
Bianco & Nero, Gennaio/febbraio 1999