lunedì 2 gennaio 2017

Che cosa sono Franco e Ciccio



H. - In questo episodio (*) ha usato Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, in Italia sono due comici famosissimi, ben conosciuti per il loro stile particolare. Quindi li ha usati in due modi: non solo per quello che sono effettivamente, ma anche per il cliché con cui sono noti al pubblico.
P. – Non credo che questo sia un problema, perché loro sono quello che sono, lo si sappia o no. Li ho scelti per la loro impronta plebea, che è un po’ volgare, come l’avanspettacolo o come il teatro dei burattini più popolaresco: la loro comicità è un po’ abietta. Forse, ma è anche immediata. In Italia la gente sa che sono dei comici, all'estero non lo si saprà; ma restano sempre loro, sempre la stessa cosa.
* Che cosa sono le nuvole, 1967
Jon Halliday, Pasolini on Pasolini, 1969

domenica 1 gennaio 2017

Bacioni da film

Un film … bacesco
Parigi, Marzo.


Poiché la censura giapponese proibisce tutte le scene nelle quali gli attori si baciano, un commerciante cinematografico americano, che si trova al Giappone, ha deciso di fare un film composto di tutte le scene censurate. Ne è risultato un film lungo oltre mille metri, che è stato proiettato privatamente in una riunione di critici giapponesi e di stranieri. La visione è risultata assai interessante, soprattutto per i paragoni che si sono potuti fare tra il modo di comportarsi dei vari artisti mentre si baciano. E’ risultato che l’artista meglio adatto a baciare rimane Rampon Novarro, mentre l’attrice che dà la sensazione più grande al pubblico in queste scene di amore è Lily Damita.
CINE SORRISO ILLUSTRATO PER IL PUBBLICO CINEMATOGRAFICO Anno VI – N. 15 – 13 Aprile 1930 (VIII)


martedì 27 dicembre 2016

Adios, profesor


Il 23 di questo passante mese è venuto a mancare Sandro Anastasi. Nella foto è alla destra di Roger Corman al San Domenico di Taormina. Per molti la sua garbata figura è legata, oltre che alla sua attività giornalistica, ad un momento irripetibile della cultura cinematografica messinese, gli anni sessanta/settanta del Festival Cinematografico di Messina e Taormina, stagione che egli portò avanti dapprima con la Settimana del Filmnuovo all’interno del Festival delle Nazioni e successivamente con l’esordio di Taormina Arte. Inoltre nella primavera del 1980 diede un contributo ineguagliabile al Circolo di Cultura Cinematografica "Umberto Barbaro" per il ciclo Saggi del cinema espressionista tedesco.

"Amó todo lo que se puede amar como un señor de la Sicilia viscontiniana y estaba enamorado de París y Córdoba... Y ahora ya solo vive en el recóndito proscenio del teatro de Taormina, con el Etna nevado al fondo y la bahía de Giardini Naxos". http://www.diariocordoba.com/noticias/etcetera/adios-profesor-sandro-anastasi_1109685.html

giovedì 22 dicembre 2016

Diario di un soggettista - I nostri registi non arrivano a certe cose


Chiedo che genere di film bisogna accingersi a scrivere. Storico? No, storico no: ce ne sono stati troppi di film storici negli ultimi tempi. Avventuroso? Non abbiamo i mezzi: non disponiamo di un buon truccatore, figurarsi se possiamo disporre di scenografi che diano l’illusione esatta di un film avventuroso. Allora sentimentale. Nossignore. Comico sentimentale. Il nostro pubblico, essi dicono, è grossolano, insensibile, senza gusto. Il nostro pubblico, essi dicono, non ha accolto come doveva i grandi film stranieri e noi non vogliamo rischiare un soldo con film che abbiano carattere d’arte. E attenzione, essi dicono, che il film comico sentimentale che ci accingiamo a scrivere non sia troppo sottile. I nostri registi non arrivano a certe cose. Bene; mettiamoci a pensare un intreccio per i nostri registi che non arrivano a certe cose. 
                                                                                                                             (continua)
CORRADO ALVARO (Da “Scenario “, Marzo XV).
BIANCO E NERO  Anno I –  N. 3 –  31 Marzo 1937 -  XV

Nella foto Isa Miranda in Una donna tra due mondi,1936, sceneggiato da Corrado Alvaro

mercoledì 21 dicembre 2016

Il grido di protesta contro un infame mercato






Sulle immagini la voce di Vittorio Cramer pennella una dura realtà che fece tremare donne, sorelle e madri di un tempo ormai remoto,e Marc Lawrence con quel volto butterato è una visione di estrema
disonestà.


lunedì 19 dicembre 2016

Живет такой парень, Così vive un uomo,1964

La poesia filmica: «Così vive un uomo»

Sulla strada per Baklan un camion diretto verso un kolchoz accoglie un automobilista in panne; è il presidente del kolchoz del villaggio List-via/nka, Prokhòrov.
L'autista del camion, «meccanico di seconda categoria » Paška Ergòrovic Kolokòlnìkov, ventisettenne, scapolo,si lascia convincere a mutare destinazione al suo viaggio e a seguire il suo passeggero nel villaggio di Li'stvianka. Il suo camion servirà per trasportare il legname.
Nel corso di un ballo nel kolchoz Paška incontra la bibliotecaria, Nastia. Balla con lei e suscita la brusche gelosie dei vecchi compagni della ragazza.
Nel corso di una visita in biblioteca, Paška fa la conoscenza dell`innamorato di Nastia, l'ingegnere Zena: i tre fanno amicizia e si recano insieme ad una sfilata di modelli autunno-inverno prêt-à-porter, che si svolge la sera in una sala del kolchoz.
Dopo un'incursionie notturna in casa di Nastia, Paška si rende conto che la ragazza gli preferisce l'ingegnere. Rivolge allora le sue attenzioni in altre direzioni. Cerca di agganciare Ekaterìna, una donna divorziata per colpa del marito che beve troppo. La donna lo resipinge, rimproverandogli la sua fantasiosità, così prossima alla scapataggine.
Paška decide di presentare un suo maturo compagno, 'zio' Konrad, a 'zia' Anussia, con l’intenzione di fargliela sposare. Dopo una gustosa schermaglia, gli riesce di «mettere d’accordo 'zio' Konrad Stepànovic e Annussia.
Paška si reca poi al deposito di carburante per caricare dei bidoni di benzina.
Mentre si trova al bar, il suo camion già carico prende fuoco. Il giovane riesce a scostarlo dalle altre autocisterne e a gettarlo nel fiume prima che esplode.
ll deposito è salvo, lui 'si ritrova all’ospedale con una frattura al femore.
E' qui che gli capita di raccontare agli altri malati le sue immaginarie avventure sulla luna. Da quei momento viene considerato un eroe. Riceve la visita di un'inviata di -« Novyi Zurnal » (La nuova rivista), che lo intervista. Nel dialogo col maestro malato e negli ultimi due sogni, Paška si chiede che cosa sia la felicità. Gli si risponde: “E' ridere, piangere, perdonare di cuore”. Paška conclude che mette ben conto continuare a vivere.

ll primo film di Šukšin, ricavato, come gli altri, da racconti da lui scritti e pubblicati, ebbe subito una consacrazione. Quella autorevole di Venezia, anche se nel 'ghetto' della mostra del film per ragazzi. Relegazione incomprensibile se non fosse per quell'aria di novelletta “edificante” e buffonesca che il film si tira dietro e che gli valse in patria clamorosi biasimi dalla critica ufficiale, ma anche il primo premio per la "miglior commedia dell'anno" al festival nazionale di Leningrado.
Pensato e costruito come opera drammatica da Šukšin, Zivët takòj' pàren' fu preso per un film brillante, se non addirittura "comico".
E si ebbe reprimende spocchiose e balorde: «E' inammissibile che si glorifichi l'incoltura del protagonista in una società in cui tutti studiano; che si predichi il buonsenso in un tempo di grandi rivoluzioni sociali; che si pretenda di trovare il senso della vita nelle semplici gioie della natura ›› (Lev Anninakij, “Le film soviétique”, 1972, 9, p.35).
 Šukšin non se la prese. Poteva avallare la classificazione del film tra le commedie buffe. Non si rendeva conto di come e perché fossero scattati questi meccanismi di fraintendimento. Con una scontrosità e un amor proprio tutto contadino risolse semplicemente di attenuare quel suo modo naif di articolare il proprio mondo narrativo, nel quale la natura non è già decorazione di sfondo o elemento esornativo ma è l'ordito stesso della narrazione; mentre i personaggi ne sono la trama.
La natura, nei film di Šukšin, fa corpo con la gente; si anima per essa e con essa. Essa è la situazione del personaggio: così come il personaggio è la persuasione della situazione. La vita è totalizzante, fantasiosa e buona, anche quando si fa esattiva: «dobbiamo pagare per tutto nella nostra vita» è il leit-motiv di Kalina krasnaia, ultimo film di Šukšin, che offre anzi la più efficace drammatizzazione di questo tema. Drammatizzazione che viene confermata da quel tono di tenerezza estrema che inarca il film e dalla forza di convinzione assoluta che il discorso dell'autore ti lascia addosso: come ogni discorso pensoso di chi, sa di dover abbandonare per sempre la realtà delle cose care.
Zivët takòi paren' ebbe, a Venezia una motivazione d'onore piuttosto azzeccata: « Il film russo offre al bisogno di identificazione dell'adolescente la figura di un giovane che, pur caratterizzandosi in atteggiamenti tipici della sua età, non si chiude in schematismi, anzi si afferma in una ricca le complessa umanità”. Questo paradimma vale però non meno (diremmo: primamente) per il mondo adulto. Il film è parabola d'una ricerca d'identità.
L'Erlebnis di Šukšin affiora qui imperiosa: il vagare di Paška di luogo in luogo alla ricerca di se stesso e di una stabilità esistenziale - le sue allegre scapataggini, quel suo festoso cicalare, quegli ininterrotti approcci di colloquio sono indice d’insicurezza -, quel suo andare in caccia della donna ideale che sostanzi e confermi
la sua consistenza di uomo, divengono materia trasfigurata di poesia. Ed erano (sono) l'esperienza del Šukšin giovanetto che lavorava nei kolchozy, che vi si provava in molti mestieri, che cercava attraverso questa esperienza di colmare il gap di cultura con gli scolarizzati, lui che aveva dovuto lasciar la scuola a quattordici anni. L'irrequieto ed estroso viaggiare di Paška sul suo autocarro da una parte tradisce il suo bisogno di far presto, di recuperare il tempo perduto: non è dunque una fuga, la sua, ma una ricerca; non è un abbandonar se stesso, è un perquisire, un inseguire se stesso. E insieme è l'occasione per fare un inventario del mondo che lo circonda, per ispessire i rapporti tra fantasia e realtà, per capire il proprio ruolo in una società che cambia.
E' la furbizia contadina a farla da protagonista. Questo misto di buon senso, di cauta avventatezza, di fiuto delle occasioni possibili, di pazienza dell'attesa, di impulsiva capacità di reazione alle provocazioni delle circostanze è istinto vitale, è sobrio amore alle effervescenze della realtà, è elogio di un mondo asseverato, quello contadino. E' ripugnanza fisica verso la stupidità che nutre invece certi sciocchi intellettualizzati. Il confronto finale fra la giornalista e Paška, all'ospedale, sulle ragioni che l'hanno spinto all'atto “eroico"è emblematico. «L'ho fatto - dice |Paška - perché son stupido ›› A domanda idiota, una risposta che dice il nome di uno dei peccati mortali dei mass-media, banalità, ovvietà, stupidità.
E' stato giusto rimarcare (Lev Anninskij, cit., p. 34] che la finta stupidità di Paška è l'impulsiva difesa dell'uomo nelle situazioni singolari, eccezionali. Paška si schernisce per l'impresa: che è eccezionale solo secondo i cliché di comportamento d`una società che ha formalizzato al massimo i suoi rapporti interni e che inventa i suoi "eroi" solo quando li sorprende in una situazione “abnorme”, rispetto al mansueto quadro convenzionato delle sue sicurtà. L'ironia di Paška è la più spontanea manifestazione di quel pudore “contadino” che pervade tutto il film e che esplode in quella deliziosa 'novella' che è il “tentativo a buon fine” che 'Paška fa ,di combinare un'unione tra il maturo “zio' Konrad e la pacioccona 'zia' Anissia.
Konrad è un'ipotesi di Paška adulto: un vagabondo disposto ormai a barattare la sua pesante libertà con il caldo di una casa, con del buon cibo, sicuro, ben cotto e saporito.
La scena è un capolavoro di finezza psicologica nel pieno rispetto dell'id-entità goffa e scontrosa dei due personaggi. Paška è il folletto che saltella a infiorare un dialogo di reticenze e d'intese che si fa subito sicuro, spedito e godibile dopo il primo, sospeso approccio.
E l'interprete, Leonid Kuràvlëv, che sembra rivoltato nella parte sarà presente anche nel primo episodio di Vaš syn i brat; e dichiarerà di non essersi mai potuto esprimere con altrettanta felicità e facilità che con Šukšin (Lev Anninskij, cit., p. 33)- anima questo ben azzeccato ruolo di king's fool - ove il sistema collettivistico sta per il re - di stravagante ed eccentrico antieroe, quasi a sermoneggiare sottovoce (in un pianissimo che si deve estinguere quasi inavvertito) sulla destinazione di ogni inquieto cercare e di ogni burlesca ripulsa. E la destinazione è la casa di campagna. Essa le luogo della pace, la sede della stabilità. La casa fa corpo con la terra. E la terra non tè infedele.
Bruno De Marchi, BIANCO E NERO, Anno XXXVII, luglio/agosto 1976



domenica 18 dicembre 2016

Robert Ryan film projectionist







Fritz LangClash by Night, 1952