La voce del sangue dal
romanzo di Hichens (Mercanton film) a Roma
Se questo film della Casa Mercanton fosse italiano io darei gran lode
al direttore artistico per avere raggiunto effetti scenografici e panoramici e
suggestioni di paesaggi con pochi e semplici mezzi: una veduta delle rovine
romane presa dalla balaustra del Palatino, e una efficace presentazione dell’Etna,
del Monte Amato e di Taormina.
(…)
Ma questo film è francese ed io non esito a ringraziare il signor
Mercanton per la finezza artistica e per l’abilità direttoriale che gli hanno
permesso di farci vedere come si possa fare un buon film con esterni
schiettamente e notoriamente italiani.
Mi sorge un dubbio: oserà il signor Mercanton di vendere per la Spagna
e per i paesi ispano-americani?
Come forse molti non sanno i nostri fratelli latini di Spagna sono
fuori della grazia di Dio contro il film italiano. I compratori di films non
discutono neanche più: non vogliono vedere, non vogliono sentir parlare di robaitaliana.
Il pubblico spagnolo, se Dio guardi, si accorge che il film su cui ha gli occhi
intenti è roba italiana, scatta su a rumoreggiare e perfino a fischiare. Sono
cose che fanno piacere queste, ed è un peccato che non siano risapute.
Ora mi domando: venderà il signor Mercanton in Spagna e paesi affini
questo film schiettamente italiano, anzi siciliano?
Forse sì. Gli spagnoli sono persone logiche fino allo assurdo.
Questo film Mercanton è tutto italiano e siciliano, nel paesaggio e
nello spirito, ma in luogo di un Alfonso Cassini c’è il signor Le Bargy, e in
luogo di un Giovanni Grasso c’è un altro egregio attore ( credo di ricordare
che ha un cognome italiano) e invece di una Jacobini, o una Pini, o una
Menichelli, o un’altra qualunque delle nostre magnifiche attrici c’è una certa
signorina francese e un’altra simpatica ma mediocre attrice, credo italiana,
Desdemona Mazza.
Con questo complesso di attori bravi, coscienziosi,ben diretti, ma
indubbiamente mediocri e ad ogni modo inadeguati i caratteri delle loro parti,
il film italiano del Signor Mercanton può andare in Spagna e se piaccia a Dio
in Portogallo.
Così stando le cose non resta che fregarci le mani e ricominciare a
lavorare con santa pazienza, con un po’ meno di ingenuità o di maccaronaggine
commerciale.
E forse avremo il supremo onore di rientrare in Spagna e paesi affini.
Aurelio Spada, in FILM anno IX-nunero 5, 9 febbraio 1922
L’appel du sane (1921) era un film di Luis Mercanton tratto da
un romanzo di Robert
Hichens con Ivor Novello.
Questo prossimamente per il film di Ferdinando Baldi del 1968 è facile attribuirlo ad Iginio " Gigi " Lardani per via dei suoi inserimenti rubati ( si fa per dire ) dai titoli di Per un pugno di dollari del 1964 creati con la tecnica del rotoscope di cui il grande Iginio era maestro.
Lo stesso di può dire di questo lavoro per Giulio Questi del 1967
di cui esiste anche la versione per il mercato estero con molta animazione da cartoon
Howard Hughes gira dei film che, sfruttando lo stimolo dell'avventura
esaltano la volontà e il coraggio (Scarface,
Only angels have wings). I suoi personaggi
sono semplicemente degli uomini e non possono trascendere una realtà opprimente
e categorica che determina i loro pensieri e le loro azioni. Così fu per Red River (1948) che, partendo dallo studio
di un tipico allevatore del Texas sviluppò questo tema sino a diventare il film
tipo dell'epopea bovina sulle piste del Sud-Ovest. Nel 1866 le mandrie del
Texas cominciarono le migrazioni periodiche verso il Nord. Il che significa che
Red River ci riporta in regioni ben
conosciute. Lungo il loro cammino nacquero le celebri «cowtons››, piene di
polvere, di Whisky e di giovani robusti che, dopo vigorose bevute, fanno due
chiacchiere con la pistola. Abilene, Dodge City, Denver, Ogallah, Santa Fe
nasceranno dalla predilezione delle mandrie per i pascoli che le circondano. Il
bestiame che aveva avuto sinora una parte di secondo piano nel Western, col film
di Hughes diventa protagonista con un ruolo pari per importanza a quello di
John Wayne che riveste i panni di Dowson.
François Timory ha scritto in L'Ecam français (22-8-49):
«Questo film ricostruisce l’ incerta epopea di quella mandria di uomini e di bestie guidati da un capo
volonteroso e ostinato che combatteva contro le avversità, i cataclismi, il deserto, le imboscate... Il capo
è spietato: ha una legge tutta sua che gli consente di punire con la morte o di
perdonare a seconda di ciò che gli detta il suo istinto primitivo ››.
Il film di Hawks, assai simile nel soggetto a The Overlanders * (l’odissea della
mandria lungo i mille chilometri di pista che deve percorrere), si differenzia
però da questo per l’importanza accordata all'elemento umano e, in particolare,
alla figura di Dowson, il capo. Dowson è uno Scarface della prateria: lo studio
del suo carattere è il tema principale di questa opera la cui forza rasenta l’orrore.
Può questa rudezza essere rimproverata al regista del film? Hawks ha mostrato
nelle opere precedenti tanta sincerità e tanto entusiasmo che non si può
incolpare il suo Red River di essere
frutto di pura fantasia. Egli ricerca un tipo d'uomo solido, sicuro di sé,
padrone del suo destino e lo mette a confronto con difficoltà che gli permetteranno
di superare sé stesso sia nel bene che nel male. Dowson non può sfuggire al
male, persuaso com'è di agire nell'interesse suo e dei suoi uomini, legati a
lui da un patto che garantisce loro cento dollari all'arrivo. Egli rappresenta un
tipo di uomo che fu proprio del West in quell'epoca.
Strano personaggio questo Dowson che cosparge il suo cammino
di orazioni funebri, sbrigative e stereotipate, per la pace eterna delle anime
dei suoi uomini da lui stesso uccisi. Fino a che punto in questi momenti è
sincero? Attribuire a un simile uomo un po' di fede potrebbe sorprendere,
eppure quando legge la Bibbia non è un ipocrita. Questo libro ebbe una parte importante
in quei luoghi maledetti, ma quel po' di interesse spirituale che poteva esercitare sugli uomini scompariva
di fronte alle esigenze materiali e vitali di una esistenza troppo spesso in pericolo. Dowson, questo «
self-made man ›› delle pianure non è che un campione, eccezionale fin che si
vuole, di questa umanità composita in cui, chi fosse incerto fra il bene e il
male, non poteva trovare un equilibrio se non sacrificando alternativamente
all'uno e all'altro. La legge del più forte ha prevalso nel West, questa è una
realtà che bisognerebbe ricordare una volta per tutte prima di criticare la
realtà degli eroi del Western.
Red River, valido
per l’umanità dei personaggi, «magistralmente ambientati», è impeccabile da un punto
di vista formale, e altrettanto valido per l'aspetto documentario. Non è
esagerato a questo proposito parlare di una vera iniziazione alle pratiche che
erano familiari al cow boy del «long drive ›› (1) : la partenza, la ricerca dei
guadi, dei luoghi dove accamparsi la notte, le ronde notturne degli uomini di
guardia (2), il timore degli uragani e tutte le alee di un viaggio tanto più
difficile e pericoloso quanto più desolate erano le regioni da attraversare. Da
questo film più che da The Overlanders,
possiamo farci un”idea dei disagi affrontati da quegli uomini e capire come la
loro esistenza giustificasse le burrascose vacanze nei saloon delle «città del
bestiame». Hughes raccogliendo una documentazione umana e reale sul West e
facendola rivivere con una intensità di cui ben pochi specialisti del « genere
›› sarebbero stati capaci, fece con Red River
un Western tipo di stile rigoroso. Evitando di cadere nell'oleografico, il suo
film raggiunse un valore uguale a quello raggiunto dalle migliori pellicole sul
West della frontiera.
(1) Lunghi percorsi. In questo caso la pista di Austin
(Texas) a Sedalia (Missouri) utilizzata fino al 1871 prima che venisse aperta la
famosa pista di Chisholm, più corta, Red River-Abilene, dove arrivava la
ferrovia.
(2) «Noi conducevamo una vita libera e coraggiosa col cavallo
e il fucile. Lavoravamo sotto il sole bruciante dell’estate quando le vaste
pianure tremolavano e vibravano per il calore, e conoscevamo l’avvilimento del
freddo quando cavalcavamo durante le notti di guardia intorno alla mandrie
riunita verso la fine di autunno... Ma sentivamo nelle nostre vene il palpito
della vita spericolata e cantavano in noi la gloria del lavoro e la gioia di
vivere» (Th. Roosevelt).
J. L. Rieupeyrout
e A. Bazin Il
western,
Cappelli editore 1957
Trad. Franco Calderoni
* Film inglese di Harry Watt del 1946 di ambientazione
australiana che riscosse un enorme successo nelle patrie d’origine.