giovedì 25 settembre 2014

So long

Top 20:The Best Very, Very Long Films

By Film Comment

The Mother and the Whore Jean Eustache
1. The Mother and the Whore Jean Eustache (217 minutes)
Sátántangó Béla Tarr
2. Sátántangó Béla Tarr (450)
Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles Chantal Akerman
3. Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles Chantal Akerman (201)
A Brighter Summer Day Edward Yang
4. A Brighter Summer Day Edward Yang (237)
Barry Lyndon Stanley Kubrick
5. Barry Lyndon Stanley Kubrick (184)
Dr. Mabuse, The Gambler Fritz Lang
6. Dr. Mabuse, The Gambler Fritz Lang (restored version, 297)
Edvard Munch Peter Watkins
7. Edvard Munch Peter Watkins (210)
Andrei Rublev Andrei Tarkovsky
8. Andrei Rublev Andrei Tarkovsky (205)
The Godfather: Part II Francis Ford Coppola
9. The Godfather: Part II Francis Ford Coppola (200)
Once Upon a Time in America Sergio Leone
10. Once Upon a Time in America Sergio Leone (229)
Histoire(s) du cinéma Jean-Luc Godard
11. Histoire(s) du cinéma Jean-Luc Godard (266)
Céline and Julie Go Boating Jacques Rivette
12. Céline and Julie Go Boating Jacques Rivette (192)
Out 1 noli me tangere Jacques Rivette
13. Out 1 noli me tangere Jacques Rivette (729)
Greed Erich von Stroheim
14. Greed Erich von Stroheim (restored version, 239)
Chelsea Girls Andy Warhol
15. Chelsea Girls Andy Warhol (210)
Fanny and Alexander Ingmar Bergman
16. Fanny and Alexander Ingmar Bergman (188)
L’Amour fou Jacques Rivette
17. L’Amour fou Jacques Rivette (252)
La Région centrale Michael Snow
18. La Région centrale Michael Snow (180)
Grin Without a Cat Chris Marker
19. Grin Without a Cat Chris Marker (240)
La Commune (Paris, 1871) Peter Watkins
20. La Commune (Paris, 1871) Peter Watkins (345)

L'originale è qui:
http://www.filmcomment.com/article/film-comments-trivial-top-20-expanded-to-40-b-the-best-very-very-long-films

mercoledì 24 settembre 2014

La bicicletta, l'attacchino, il bambino



Neorealista, Ladri di biciclette lo è secondo tutti i principi che si possono ricavare dai migliori film italiani da 1946 ad ora. Intrigo “ popolare “ e addirittura populista: un incidente della vita quotidiana di un lavoratore: E non uno di quegli avvenimenti straordinari come quelli che succedono agli operai predestinati alla Gabin. Niente delitto passionale o enorme coincidenza poliziesca, che non fanno che trasporre nell’esotismo proletario le grandi dispute tragiche riservate un tempo ai familiari dell’Olimpo. Un incidente davvero insignificante, banale persino: un operaio passa tutto il giorno a ricercare a Roma la bicicletta che gli hanno rubato. Questa bicicletta era diventata il suo strumento di lavoro e, se non la trova, tornerà senza dubbio ad essere disoccupato. La sera, dopo ore di corse inutili, cerca anche lui di rubare una bicicletta, ma viene preso, e poi lasciato andare, e si ritrova altrettanto povero,  con solo, in più, la vergogna di essersi abbassato al livello di un ladro.
L’avvenimento non possiede in se stesso alcuna valenza drammatica propria. Prende senso solo in funzione della congiuntura sociale (e non psicologica o estetica) della vittima. Non sarebbe che una banale disavventura senza lo spettro della disoccupazione che lo situa nella società italiana del 1948. Ugualmente, la scelta della bicicletta come oggetto chiave del dramma è caratteristica sia dei costumi urbani italiani sia di un’epoca in cui i mezzi di trasporto meccanici sono ancora rari e onerosi.
La tecnica della regia soddisfa, anch’essa, alle più rigorose esigenze del neorealismo italiano. Neppure una scena in teatro di posa. Tutto è stato realizzato per la strada. Quanto agli interpreti, non uno di loro aveva la minima esperienza di teatro o di cinema.  L’operaio esce dalla Breda, il bambino è stato scoperto per strada fra gli sfaccendati, la donna è una giornalista.
 Se Ladri di biciclette è un puro capolavoro paragonabile per il rigore a Paisà, è per un certo numero di ragioni ben precise che non appaiono mai nel semplice riassunto della storia e neppure nell’esposizione superficiale della tecnica di regia.
La sceneggiatura è innanzitutto di un’abilità diabolica, poiché regola, a partire dall’alibi dell’attualità sociale, più sistemi di coordinate drammatiche  che la puntellano in tutti i sensi. Ladri di biciclette è certamente da dieci anni ad oggi il solo film comunista valido, appunto perché conserva un senso anche se si astrae dal suo significato sociale. Il suo messaggio sociale non viene esposto, resta immanente all’avvenimento, ma è chiaro che nessuno può ignorare  e ancor meno ricusarlo poiché non è mai esplicito come messaggio. La tesi implicata è di una meravigliosa e atroce semplicità: nel mondo in cui vive questo operaio, i poveri, per sussistere, devono rubarsi fra di loro.
Il film si guarda dal barare con la realtà, non solo combinando la successione dei fatti in una cronologia accidentale  e come aneddotica, ma trattando ognuno di essi  nella sua integrità fenomenica. Che il bambino nel bel mezzo di un inseguimento, abbia bruscamente voglia di fare pipì: fa pipì.  Che un acquazzone costringa padre e figlio a rifugiarsi in un portone, ecco che dobbiamo, come loro, rinunciare all’inchiesta per attendere la fine del temporale. Gli avvenimenti non sono nella loro essenza segni di qualcosa, di una verità che dovremmo convincerci; essi conservano tutto il loro peso, tutta la loro singolarità, tutta la loro ambiguità di fatto.
In questa disavventura privata l’attacchino è altrettanto solo (a parte i colleghi, che però sono una faccenda privata) al sindacato che in chiesa. Ma questa similitudine è una suprema abilità, poiché fa scoppiare un contrasto. L’indifferenza del sindacato è normale e giustificata, poiché i sindacati lavorano per la giustizia e non per la carità. Ma il paternalismo invadente dei “ quaccheri “ cattolici è intollerabile, poiché la loro “ carità “ è cieca di fronte a questa tragedia individuale, senza fare nulla per cambiare veramente il mondo che è in causa. La scena più riuscita da questo punto di vista è quella del temporale sotto gli archi, quando uno stormo di seminaristi austriaci capita attorno all’operaio a a suo figlio. Non abbiamo alcuna ragione valida di rimproverar loro di essere tanto ciarlieri, e per di più, di parlare tedesco. Ma era difficile creare una situazione oggettivamente più anticlericale.
Come si vede – e potrei trovare altri venti esempi – gli avvenimenti e gli esseri non sono mai sollecitati nel senso di una tesi sociale. Ma la tesi ne esce tutta agguerrita e tanto più irrefutabile in quanto non ci viene data in sovrappiù. E’ il nostro spirito a ricavarla e costruirla, non il film. De Sica vince ogni volta sul tableau in cui … non ha puntato.
Questa tecnica non è affatto nuova nei film italiani e abbiamo insistito a lungo sul suo valore, a proposito di Paisà e, più di recente, di Germania anno zero, ma questi due ultimi film si rifacevano ai temi della Resistenza e della guerra. Ladri di biciclette è il primo esempio decisivo della conversione possibile di questo “ oggettivismo “ a soggetti interscambiabili. De Sica e Zavattini hanno fatto passare il neorealismo della Resistenza alla Rivoluzione.
Cosi la tesi del film si eclissa dietro una realtà sociale perfettamente oggettiva, ma questa, a sua volta, passa in secondo piano rispetto al dramma morale e psicologico che basterebbe da solo a giustificare il film. La trovata del bambino è un colpo di genio di cui non si sa se è in ultima analisi di sceneggiatura o di regia. E’ il bambino a dare all’avventura dell’operaio la sua dimensione etica e a scavare una prospettiva morale individuale in questo dramma che potrebbe essere solo sociale. Toglietelo e la storia resta sostanzialmente identica; la prova: la riassumereste nella stessa maniera. Il bambino si limita infatti a seguire il padre trotterellandogli accanto. Ma è il testimone intimo, il coro particolare legato alla sua tragedia. E’ supremamente abile aver quasi evitato il ruolo della donna per incarnare il carattere privato del dramma nel bambino. La complicità che si stabilisce tra il padre e il figlio è di una sottigliezza che penetra fino alle radici della vita morale. E’ l’ammirazione che il bambino in quanto tale ha per il padre e la coscienza che questi ne ha a conferire al finale del film la sua grandezza tragica. La vergogna sociale dell’operaio smascherato e schiaffeggiato in mezzo alla strada non è niente di fronte a quella di aver avuto il figlio testimone. Quando gli viene la tentazione di rubare la bicicletta, la presenza silenziosa del bambino che indovina il pensiero del padre è di una crudeltà quasi oscena. Se tenta di sbarazzarsene mandandolo a prendere il tram, è come quando si dice al bambino, negli appartamenti troppo piccoli, di andare ad aspettare un’ora sul pianerottolo. Bisogna riandare ai migliori film di Charlot per trovare situazioni di una profondità più sconvolgente nella concisione. Si è spesso mal interpretato a questo proposito il gesto finale del bambino che ridà la mano al padre. Sarebbe indegno del film vedervi una concessione alla sensibilità del pubblico. Se De Sica offre questa soddisfazione agli spettatori è perché essa è nella logica del dramma. Quest’avventura segnerà una tappa decisiva nelle relazioni fra il padre e bambino, qualcosa come una pubertà. L’uomo, fino a quel momento, era un dio per suo figlio; i loro rapporti sono sotto il segno dell’ammirazione. Il gesto del padre li ha compromessi. Le lacrime che versa camminando fianco a fianco, le braccia penzoloni, sono la disperazione di un paradiso perduto. Ma il bambino torna al padre attraverso la sua decadenza, lo amerà adesso come un uomo, con la sua vergogna. La mano che fa scivolare nella sua non è il segno né del perdono né di una consolazione puerile, ma il gesto più grave che possa segnare i rapporti fra un padre e un figlio: quello che li fa uguali.
Sarebbe senza dubbio lungo enumerare soltanto le molteplici funzioni secondarie del bambino nel film, sia per ciò che riguarda la costruzione della storia che la stessa messa in scena. Bisogna tuttavia far notare almeno il cambiamento di tono (quasi nel senso musicale del termine) che la sua presenza introduce a metà del film. Il bighellonare fra il bambino e l’operaio ci riporta infatti dal piano sociale ed economico a quello della vita privata, e il falso annegamento del ragazzino, facendo di colpo prendere coscienza al padre della relativa insignificanza della sua disavventura, crea, nel cuore della storia, una sorta di oasi drammatica (la scena della trattoria), oasi naturalmente illusoria, dato che la realtà di questa felicità intima dipende in definitiva da questa famosa bicicletta. Così il bambino costituisce una sorta di riserva drammatica che, a seconda dei casi, serve da contrappunto, da accompagnamento o passa al contrario al primo piano melodico. Questa funzione interna alla storia è del resto perfettamente sensibile nell’orchestrazione della camminata del bambino e dell’uomo. De Sica, prima di decidersi per questo bambino, non gli ha fatto fare delle prove di recitazione, ma solo di camminata,. Voleva, accanto alla camminata da lupo dell’uomo, il trotterellare del bambino, essendo l’armonia di questo disaccordo di per sé di una importanza capitale per l’intelligenza di tutta la messa in scena. Non sarebbe esagerato dire che Ladri di biciclette è la storia della camminata per le strade di Roma di un padre e di suo figlio. Che il bambino stia davanti, dietro, a fianco o, al contrario, come nel broncio dopo lo schiaffo, a una distanza vendicativa, il fatto non è mai insignificante. E’ al contrario la fenomenologia della storia.
E’ difficile immaginare data questa riuscita della coppia dell’operaio e del figlio che De Sica potesse ricorrere a degli attori conosciuti.
Certo, gli italiani sono, con i russi, il popolo più naturalmente teatrale. Un qualsiasi ragazzino di strada vale un Jackie Coogan e la vita quotidiana è una perpetua commedia dell’arte; ma mi sembra difficilmente verosimile che questi doni di commedianti siano ugualmente divisi fra i milanesi, i napoletani, e i contadini del Po o i pescatori siciliani. Oltre alle differenze di razza, i contrasti storici, linguistici, economici e sociali basterebbero a compromettere questa tesi, se si volesse attribuire alle sole qualità etniche la naturalezza degli interpreti italiani. E’ inconcepibile che film così diversi per soggetto, tono, stile, tecnica come Paisà, Ladri di biciclette, La terra trema e persino Cielo sulla palude abbiano in comune questa qualità suprema dell’interpretazione. Si potrebbe ancora ammettere che l’Italia delle città sia più particolarmente dotata per questo istrionismo spontaneo, ma i contadini di Cielo sulla palude sono dei veri uomini delle caverne in confronto agli abitanti di Farrebique. La sola evocazione del film di Rouquier a proposito di quello di Genina basta a relegare – almeno da questo punto di vista – l’esperienza del francese al livello di un toccante tentativo dilettantesco. La metà del dialogo di Farrebique è detta fuori campo perché non si poteva impedire ai contadini di ridere durante le battute un po’ lunghe. Genina in Cielo sulla palude , Visconti in La terra trema manovrano decine di contadini o di pescatori, affidando loro ruoli di una complessità psicologica estrema, facendo dire loro testi lunghissimi nel corso di scene in cui la macchina da presa scruta i visi in maniera altrettanto impietosa che in un teatro di posa americano.
De Sica ha cercato molto a ungo i suoi interpreti e li ha sceti in funzione di caratteri precisi. La naturale nobiltà, quella purezza popolare del volto e del passo … Ha esitato mesi fra l’uno e l’altro, ha proceduto a centinaia di provini prima di decidersi finalmente, in un secondo per intuito, di fronte alla sagoma incontrata all’angolo di una strada. De Sica in cerca di un produttore, aveva finito per trovarlo a condizione che il personaggio dell’operaio fosse interpretato da Cary Grant. Basta porre il problema in questi termini per farne apparire l’assurdità. Cary Grant, in effetti, è eccellente in questo genere di ruoli, ma è chiaro che in questo caso non si trattava appunto di interpretare un ruolo ma di cancellarne addirittura l’idea. Era necessario che quest’operaio fosse insieme altrettanto perfetto, anonimo e oggettivo della sua bicicletta.

Una tale concezione dell’attore non è meno “ artistica “ dell’altra. L’interpretazione di quest’operaio implica tante doti fisiche, tanta intelligenza, comprensione delle direttive del regista quanto quella di un attore consumato.
Il cinema italiano secondo André Bazin, op. cit.

lunedì 22 settembre 2014

Il Cristo del Meridione*


Tra le opere filmiche del duo Felice D’Agostino/Arturo Lavorato la più riuscita mi pare Il Canto dei Nuovi Emigranti del 2005. Ricostruzione abbastanza originale della vita del poeta Franco Costabile (1924 – 1965).
 Cari registi non preoccupatevi, non sto qui a ricostruirla anch’io. Dirò solo che in Costabile, come in Pier Paolo Pasolini, la vita e l’opera poetica sono un tutt’uno. La fuga del padre, la fuga della moglie con le sue due bambine, il pensiero e la morte della madre, l’abbandono di Sambiase dapprima per Messina successivamente per Roma, la solitudine, sono causa di una lacerazione che sfocerà nel suicidio; tutto sarà riversato nella poesia che avrà come unico tema la Calabria, cantata come lotta per la vita che costringerà molti all’emigrazione.
La ricostruzione è condotta recuperando materiali d’archivio e interviste a quelli che più l’hanno frequentato o per meglio dire, ha frequentato Costabile. Sostanziosa è, infine, la parte originale che spetta ai registi con le immagini in DVCAM e, talvolta, recuperando la cinepresa e la pellicola Super 8 (senza dubbio superiore).  Così la Calabria è vista lungo la linea ferroviaria Reggio – Roma, attraverso il finestrino del treno in corsa, come per mezzo di landscapes, carpite durante la giornata, che fissano una terra mitica stravolta da ciò che chiamiamo progresso.
* tale lo definì il poeta Giorgio Caproni


Among the film works of the duo Felice D' Agostino / Arturo Lavorato the most successful I think The Song of the New Immigrants of 2005 Reconstruction enough of the original life of the poet Franco Costabile ( 1924-1965 ) .
 Dear filmmakers do not worry , I'm not here to rebuild it myself. I will only say that in Costabile , as in Pier Paolo Pasolini 's life and poetry are one. The father's escape , the escape of his wife and his two little girls , the thought and the death of his mother , the abandonment of Sambiase first to Messina later to Rome , loneliness, cause a tear leading up to the suicide ; everything will be poured into the poetry that will have the sole theme of Calabria , sung as the struggle for life that will force many to emigrate .
The reconstruction is performed by retrieving archival materials and interviews with those who have attended the most or rather , he attended Costabile . Hearty , finally, is the original part that belongs to the directors with the pictures in DVCAM , and sometimes recovering the camera and the film Super 8 (no doubt higher). So Calabria is seen along the railway line Reggio - Rome , through the window of the train, such as by means of landscapes , snatched during the day, securing a mythical land upset by what we call progress.


qui sotto potete vedere solo una parte

domenica 21 settembre 2014

Incomunicabili e critici



“Il nostro dramma è l’incomunicabilità che ci isola gli uni dagli altri. La sua permanenza ci svia e c”impedisce di risolvere i problemi da noi stessi. Non sono un moralista. Non ho né la pretesa né la possibilità di trovare una soluzione. Ma forse sono i critici ad aver ragione, e non l’autore. Voi, non io. Perché sappiamo mai quel che diciamo noi stessi?”
Michelangelo Antonioni



giovedì 18 settembre 2014

Li chiamavano prossimamente

Questo prossimamente è esemplare per il taglio/incolla delle immagini, i tempi e l'opera che vi svolge il " Maestro ", quando non pensava di doversi guadagnare il Paradiso.

This trailer is soon to cut / paste images , times and work of the "Maestro" when he did not think of having to earn heaven.


Lucifer at the movies

Gordon Willis ( looking at me) 1931 - 20014

My maturity in films began with my association with Gordon Willis.” Woody Allen
Se c’è una persona a cui la città di Nuova York deve dire grazie di tutto (è una frase che ricorre spesso in momenti del genere) questi è Gordon Willis, cinematographer colto.
Gordon Willis è stato un fotografo unico avendo circoscritto il suo lavoro di “ Lucifero “ quasi sempre ad un unico territorio, ritrovandosi molto spesso a collaborare con gli stessi registi. Un caso analogo lo possiamo riscontrare nel rapporto che hanno avuto Emilio “ El Indio “ Fernandez e Gabriel Figueroa con sfondo il Messico.
Il suo inizio è dei più rimarchevoli: Il padrone di casa ( The  landlord, 1970) di Hal Ashby anche lui debuttante con quel film. Segue l’incontro con Alan J. Pakula per Klute opera famosa e pluripremiata. I due si ritroveranno sempre fino al 1997 con L’ombra del diavolo, opera che segna l’abbandono delle luci da parte di Willis. Si può dire che la maturità arriva con Il Padrino (The Godfather, 1972) di Francesco Ford Coppola. Il risultato è di prim’ordine dovendo cinematographer soddisfare le esigenze paranoiche del Coppola nonché quelle di Marlon Brando, il cui trucco richiedeva un surplus di fatica nel posare le luci. I Godfather saranno tre, nel frattempo Willis ha la possibilità di ripercorrere la Sicilia ed il messinese, tra Savoca, Forza d’Agrò e l’Alcantara (dove la fortuna ci permise di incontrarlo). Per mezzo di Willis le scene ricostruite e girate in Sicilia, specie nelle parti prima e seconda, sono delle pastorali  assimilabili a nostro avviso alla sesta sinfonia, “Pastorale“, di Ludovico Van Beethoven, alla tranquillità della natura e all’arcaica vita dei campi fa da contrasto l’urto della violenza che si scaglia sugli uomini. Woody Allen, basta la citazione posta ad epigrafe in apertura, è il secondo che deve rendere i sacri ringraziamenti a Willis e se con gli altri registi il lavoro era col e sul colore, con Woody. Gordon è libero di illuminare per il bianco e nero. La parte esterna su New York viene affrontata e restituita con una luce fredda e dark, a volte smagliante, su cui fanno da sfondo le aperture chiare e grigie; citiamo solo Manhattan (1979) o Zelig (1983).
Gordon Willis è stato un autodidatta, non ha fatto l’operatore per nessuno, i suoi soli maestri furono i pittori fiamminghi e, forse, … Il Conformista (1970) di Bernardo Bertolucci e Vittorio Storaro. Ha aperto la strada ad un suo operatore, Michael Chapman cinematographer di Taxi Driver (1976) e Toro Scatenato (1980), il cui lavoro con le luci è per certi versi paragonabile a quello del maestro.

If there is a person to whom the city of New York has to say thank you for everything (it's a phrase that recurs often in such moments ) this is Gordon Willis, cinematographer caught .
Gordon Willis was a photographer only by restricting his work as " Lucifer " is almost always a single territory , finding himself very often to collaborate with the filmmakers themselves . A similar case we can find in the report that they had Emilio "El Indio " Fernández and Gabriel Figueroa background with Mexico.
Its beginning is the most remarkable : The Landlord , 1970, by Hal Ashby too novice with the movie . Following the meeting with Alan J. Pakula's Klute for the famous and award-winning work . The two will meet again until 1997, The Devil's Own , a work that marks the abandonment of the lights by Willis. It can be said that maturity comes with The Godfather , 1972, by Francis Ford Coppola. The result is first-rate cinematographer having to meet the needs of the paranoid Coppola as well as those of Marlon Brando, whose makeup required a surplus of labor in laying out the lights. The Godfather will be three , in the meantime, Willis has a chance to retrace Sicily and the Messina , between Savoca , Forza d'Agro and Alcantara ( where luck allowed us to meet him ) . By Willis and reconstructed scenes filmed in Sicily , especially in the first and second parts , are similar to our view of the pastoral to the Sixth Symphony , " Pastoral " by Ludwig Van Beethoven, the tranquility of nature and the archaic life of the fields contrasts the brunt of the violence and pounces on men. Woody Allen , you just mail the quote to the epigraph at the beginning, it is the second that has to make the sacred thanks to Willis and if the other directors and the work was with color, with Woody . Gordon is free to illuminate the black and white. The outer part of New York is being addressed and returned with a cold light and dark , sometimes dazzling , against a backdrop of the openings clear and gray ; mention only Manhattan, 1979, or Zelig,1983.
Gordon Willis was a self-taught , did the operator to anyone, its only teachers were Flemish painters , and perhaps ... The Conformist, 1970, by Bernardo Bertolucci and Vittorio Storaro . It paved the way to his operator , cinematographer Michael Chapman 's Taxi Driver, 1976, and Raging Bull, 1980 , whose work with the lights is in some ways comparable to that of the master.

mercoledì 17 settembre 2014

La pietruzza e il buon Dio


“ Se sapessi a che cosa serve questa pietruzza sarei il buon Dio, che sa tutto, sa quando nasci, e sa quando muori. Questa pietruzza serve certamente a qualcosa. Se è inutile è inutile tutto il resto, persino le stelle “. Federico Fellini, La Strada