giovedì 21 marzo 2013

de Medeiros M.

Maria de Medeiros a Taormina (polaroid Mittiga)

mercoledì 20 marzo 2013

Luce azzurra, luce arancione

Finito Il Conformista c’è stato un attimo di crisi mi chiedevo: cosa può esserci dopo l’azzurro? Non avevo la più pallida idea che potesse nascere un film arancio, non potevo davvero immaginarlo. C’è voluta un’altra emozione, un altro tipo di coinvolgimento in an’altra storia che sviluppasse un altro colore nella mia vita o nella nostra. E’ stato il caso, per l’appunto, di Ultimo tango.
Bertolucci è un cineasta con una personalità particolare. Il modo di girare un film e per Bernardo un fatto viscerale, un bisogno fisico oltre che intellettuale, di girare le sequenze con quella particolare angolazione. Con un regista come lui subentra indirettamente, almeno per ciò che mi riguarda, una forma di sincronia. Io cerco di esprimermi attraverso la  luce, Bernardo mediante la cinepresa; così non c’è mai conflitto, ma sintonia.
Vittorio Storaro
L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti 1935 – 1959 a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli

martedì 19 marzo 2013

Marlon Brando non farà più nulla di simile

“ A suo tempo definivo il film un  Jean Rouch hollywoodiano , una cinema-verità con i mezzi e con gli attori“. Bernardo Bertoluccci

Di questo film di Bernardo Bertolucci ho già parlato in un precedente post. Oggi ripeterò sicuramente qualcosa già scritta in quell’occasione, quando ho mutilato Ultimo tango delle scene che contenevano la storia tra Tom e Jeanne, un omaggio alla Nouvelle Vauge godardiana e all’Antoine Doinel truffautiano.
Oggi l’opera di Bertolucci serve per parlare di Marlon Brando e del ruolo avuto per portarlo a termine. L’ho rivisto da poco dopo quell’unica volta al cinema Trinacrica, il primo giorno, era un venerdì, al primo spettacolo, le sedici, affollatissimo per timore del sequestro;  cosa che avvenne puntualmente, e le cui peripezie censorie sono un altro film: al sequestro seguì la condanna e quindi il rogo, come Giordano Bruno.
Oggi fa ridere tutta la vicenda, quando giusto ieri la televisione di stato ha innalzato sull’altare Schicchi, padre esemplare e menager della pornografia. A quei tempi non erano le immagini che interessavano i censori, erano le  idee.
Non avevo compiuto diciotto anni e riuscii ad entrare, passando sotto il naso delle maschere, per la ressa che spingeva verso l’interno della sala, ora ahimè  scomparsa.
Marlon Brando era ancora nelle vesti di don Vito Corleone quando accettò la parte. A lui si presentarono il regista ed il produttore che era Alberto Grimaldi, anzi la leggenda vuole che Brando abbia accettato il ruolo perché si sentiva in difetto con il produttore italiano per la tempesta sollevata durante la lavorazione di Queimada.
All’americano si arrivò dopo i dinieghi e le paure di alcuni attori europei : Jean Luis Trintignant e Dominique Sanda, Jean Paul Belmondo e Alain Delon. Dinieghi che alla fine favorirono la piega che prese il film per mezzo di Brando, aldilà della sceneggiatura che portava la firma oltre che di Bertolucci, di Franco Kim Arcalli, autore pure del montaggio con Roberto Perpignani.
Ho seguito Bernardo Bertolucci fino a Il tè nel deserto e devo dire che Ultimo tango a Parigi assieme a quello citato prima ed a La Luna, che comunque al suo interno celava un lirismo di derivazione verdiana, sono le sole opere che mi sommergono di dubbi. E’il buio assoluto, le tele di Bacon sullo sfondo dei titoli di testa lo chiariscono tutto;  nero come la lava che l’Etna sta eruttando in questi giorni, affidandola allo scirocco che pensa a sospingerla sullo Stretto coprendone tetti, terrazze e broccoli. Le note del tango di Gato Barbieri che Brando e la Schneider ballano ebbri, sul finire, irretendo quanti stanno attorno, sono un preludio funebre che neppure certi passaggi felici possono in qualche modo schiarire la tela dello schermo che riflette l’azione del film. A volte alcuni grandi autori cinematografici scambiarono lo schermo cinematografico per il lettino dello psicanalista circuendo lo spettatore.
E nessuno, ripeto nessuno più di Marlon Brando poteva portarne il peso . Ultimo tango è Marlon Brando e viceversa. La lezione dell’Actor Studio è portata all’estremo per il cruento realismo della recitazione che recò qualche disturbo alla protagonista femminile, allora debuttante.  Addirittura si parlò di violenza sulla malcapitata Maria durante la messa in scena da parte dell’indistruttibile attore. Molto probabilmente Bertolucci ritenne opportuno lasciare la massima libertà d’azione a Brando, al contrario di Gillo Pontecorvo, ed in questo non gli si può dare torto.
La sequenza o scena che ancora oggi mi sconcerta e che per me vale tutto il film, è quella quando Marlon Brando si trova affianco Massimo Girotti che porta la sua identica veste da camera, data in regalo ad entrambi dalla stessa donna amata. E’ un momento autobiografico per il più grande attore hollywoodiano, l’attore di Kazan, ancora all’apice della sua carriera come, e qui qualcuno storcerà il naso, per il più grande attore italiano, quello di Blasetti, Visconti, Antonioni e Pietro Germi, per citarne alcuni. I due, confidenzialmente ed amichevolmente si fanno i complimenti per la bellezza e la prestanza fisica avuta in gioventù.
Bertolucci riferì, al momento del lancio del film, che Brando gli disse: “ Non farò più nulla di simile. E’ l’ultima volta che do fondo in questo modo alle mie energie.”

lunedì 18 marzo 2013

Gli allegri corsari

OGGI



Robert Siodmak (19001973) è stato un regista tedesco, sfuggito ai nazisti, americano ed infine anche italiano. Ha attraversato tutti i generi classici del grande schermo ed è autore di alcuni film cult come La scala a chiocciola (The Spiral Staircase) (1945), I gangsters (The Killers) (1946) e Lo specchio scuro (The Dark Mirror) (1946).
Il corsaro dell’isola verde (The Crimson Pirate) del 1952 lo girò parte nella baia di Napoli, parte negli studios americani.
Il film è piacevole per la presenza fisica e allegra di Burt Lancaster coadiuvato da acrobati e atleti di origine circense. La trama è lunga e aggrovigliata ma avvincente e non da requie allo spettatore che vuole divertirsi. Ebbe pure un notevole successo commerciale e fu riproposto parecchie volte, fino agli anni settanta, nei cinema della penisola sia in edizioni 35 mm come 16 mm per i cinema parrocchiali dove i bambini rimanevano attaccati alle poltroncine di legno, affascinati dalla prestanza degli attori. Le locandine riproposte sono appunto riferite alla prima, degli anni ’50, ed all’ultima apparizione, quella degli anni ’70.
Burt Lancaster lo produsse assieme agli amici Harold Hecht e Norman Deming

giovedì 14 marzo 2013

Abissi sotto le rovine


Noi non viviamo sull’orlo dell’abisso, ma nel più profondo. E nessuna fede, nessuna filosofia possono toccare le anime che respirano ancora sotto le rovine.
Orson Welles

mercoledì 13 marzo 2013

L' architetto e il cinematographer


Carlo Simi e Tonino Delli Colli a Taormina (foto, brutta, Mittiga)

martedì 12 marzo 2013

Giro di vita





Tra Queimada ed Il padrino Marlon Brando aveva preso la parte dell’infernale Quint ne Improvvisamente un uomo nella notte  (The nightcomers)  di Michael Winner, tratto da Giro di vite di Henry James. E’ un film aberrante che vidi al cinema Aurora, scomparso repentinamente e dimenticato.
Secondo Reneé Jordan “è un bel ruolo ed un’interpretazione penetrante in un film che non avrebbe meritato ne l’uno ne l’altra, Michael  (Il giustiziere della notte )Winner lo diresse facendo ricorso ai suoi soliti vuoti barocchismi.”