giovedì 25 ottobre 2012

Il western all'italiana? Tutta colpa di Mario Bonnard


Codiressi  Gli ultimi giorni di Pompei con Bonnard, che ad un dato momento dovette andarsene perché non stava bene di salute, e doveva anche fare il Gastone con Sordi. Mio aiuto regista era Duccio Tessari, regista della seconda unità Sergio Corbucci. Ci dividemmo questo film, che fu quasi un film scherzo, perché in sceneggiatura – io ero uno degli sceneggiatori – avevamo fatto un film per un tipo come Sean Connery, cioè intelligente, astuto, ecc. ma  dieci giorni prima di iniziare ci dissero invece che avevamo avuto la fortuna di avere Steve Reeves. Quindi improvvisamente questo film, che naturalmente veniva centrato sulla pseudo-forza bruta di Steve Reeves, dovette cambiare completamente natura e genere e noi, in una settimana, fummo costretti quindi a riscrivere totalmente la sceneggiatura in funzione di questa specie di robot. Sergio Leone

Si, Gli ultimi giorni di Pompei l’ho diressi praticamente io, perché Bonnard si è ammalato, e io l’ho sostituito s sua precisa richiesta. Ma non ho voluto firmarlo, per rispetto nei suoi confronti. Quello che ci ho portato di mio sono i due aiuto registi, Tessari e Sergio Corbucci. Sergio Leone

Ma soprattutto io ero un patito dei film western e perciò i miei antichi romani si muovevano un po’ come dei pionieri, degli sceriffi, la spada al fianco era come una pistola. Fu proprio in questo che i miei film si differenziavano con quelli di Francisci e di Cottafavi. Ma allora sembrava che il western fosse una prerogativa soprattutto americana, impossibile da fare per noi. Sergio Corbucci

Il western all’italiana nasce da un film che feci con Sergio verso la fine degli anni Cinquanta. Ero a Roma quando lui, che allora era assistente di Mario Bonnard nonché grande amico mio, mi chiamò dalla Spagna dove stavano girando un remake di Gli ultimi giorni di Pompei , per dirmi di raggiungerlo subito, se ero libero, perché Bonnard, che era uno che non andava volentieri all’estero, aveva avuto un attacco di colite e così lo aveva incaricato di dirigere e di trovare qualcuno che si prendeva l’incarico per gli esterni. Partii immediatamente portandomi Duccio Tessari, che era il mio aiuto e che aveva scritto con me qualche sceneggiatura di film storico mitologico. Operatore della seconda unità, ossia di quella mia, era Enzo Barboni, mentre con Leone per gli interni, lavorava Franco Giraldi. Facemmo questo film con molto divertimento, e io vidi che in Spagna c’erano ‘sti cavalli, c’erano ‘ste pianure straordinarie, c’era ‘sto paesaggio che assomigliava molto al Messico, al Texas, o comunque a come noi l’immaginavamo.  Girando Gli ultimi giorni di Pompei tante volte ci trovavamo a dire: “Ma guarda un po’, qui si potrebbe fare un western straordinario!”  Sergio Corbucci

Testi tratti da L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti 1935-1959 a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli

mercoledì 24 ottobre 2012

Sergio, Romolo, Remo

OGGI


In questo film, di poco successivo a Gli ultimi giorni di Pompei i primi due Sergio del cinema italico si scambiano i ruoli ed il Leone lasciando la regia al Corbucci rimane tra i soggettisti e sceneggiatori, identici al lavoro citato sopra.
Resta fermo quanto detto: con i pepli i due si sono fatti il mestiere per costruire i più bei western spaghetti. Guardate come Sergio Corbucci sistema i Sabini sulle colline, in lontananza, con il grande capo Girotti che porta l’elmo come se fosse lo scalpo di un Mohawk, rasato ai lati.
I  protagonisti sono due suole lisce, con un costumino bianco il buono, nero il cattivo; come le due donne, Virna Lisi, che partorirà la futura gens romana, in peplo bianco e Ornella Vanoni, la strega, in una tutina nera, stretta a fianchi.
Decisamennte molto meglio il contorno da Piero Lulli ad Andrea Bosic.
Per inciso:
-  la seconda troupe è condotta da Franco Giraldi, che qualche anno dopo condurrà quella seconda in Per un pugno di dollari.  
-  Carlo Simi, l’arredatore, e Benito Stefanelli, il maestro d’armi, affiancheranno Sergio Leone in tutto il suo cinema.

Da Eduardo De Filippo al Mahabharata

Vittorio Mezzogiorno 1941 - 1994 a Taormina ( polaroid Mittiga)

lunedì 22 ottobre 2012

Nick & Francis



Secondo la ponderata visione di (Nicholas) Ray, Francis Ford Coppola è virtualmente l’unico maestro che lavora nel cinema di oggi. Oltre a Ray, ovviamente. Nick Ray

Pitagora al cinema

PYTHAGORAS RULES OK

 

Who believes in the transmigration of souls? A month ago, I would have said no-one, provided you distinguish the doctrine from that of reincarnation. But that was before I finally caught up with Le Quattro Volte, first shown at the 2010 Cannes Film Festival. It is set in rustic Calabria, in the toe of Italy, where according to its director Michelangelo Frammartino a belief in animism still has a hold. He traces this back to the presence in Calabria in the sixth century BC of the Greek thinker Pythagoras, whose precise doctrine is elusive but who is credited with formulating the idea of the transmigration of souls. 2500 years later I learn from this film that it is still around.

The doctrine is a key to understanding the film which tells the story, in a narrative of great economy and elegance, of how when the goatherd dies, his soul migrates into the goat kid born immediately after his body is shut in its tomb, and how when the kid dies, lost in the forest and cold, its soul migrates into a mighty fir tree, and when following the village festival the tree is cut up and used for making charcoal, the tree’s soul metamorphoses into smoke escaping from the chimney in the last image of the film.

Something nagged at me that I had seen this before, and I tracked it down to Ozu’s penultimate film, The End of Summer (1961). In the final sequence, the family sits in the house mourning the passing of the Old Master. They then notice the smoke coming from the crematorium and stand to watch. Quite separately an elderly peasant couple washing vegetables by the river notice the smoke which, they comment, means that someone has died. She adds piously that it is pitiful if it is a young person instead of someone older. He agrees but adds that new lives necessarily replace those that die, a sentiment which she rounds off by pronouncing, 'How well nature works.' The final image is not of smoke but of crows by the river and then perched on memorial stones. They caw and a gong sounds. The end. (The crows are not baleful, as I first thought, merely part of nature and Ozu might even be suggesting that the man's soul is reincarnated in a bird.)

'How well nature works.' That is Frammartino's idea, surely, in Le Quattro Volte: that humans live in a natural environment which compels their attention and the necessity of connection, and you can best illustrate this by the idea of the soul in the human flitting into an animal then into a tree and then into smoke, absorbed in effect into the cosmos.

© Tim Cawkwell 2011

L'originale si trova qui:

http://www.timcawkwell.co.uk/film__religion/le_quattro_volte/

 

 

giovedì 11 ottobre 2012

Il cinema francese come ...


Robert Bresson è il cinema francese come Dostoevskij il romanzo russo  e Mozart la musica tedesca. Jean-Luc Godard

mercoledì 10 ottobre 2012

Le notti bianche sul Pont Neuf



“Ad un tratto ebbi l’impressione che tutti volessero abbandonarmi e allontanarsi da me … quando tutta Pietroburgo spiegò le ali e se ne andò improvvisamente in campagna. Fu una sensazione terribile rimanere da solo e, in preda ad un profondo sconforto, vagai tre giorni interi per la città, senza capire minimamente cosa mi succedesse.”

In quel momento di sommovimento giovanile tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70 – chi li ricorda più per quello che sono stati? – Robert Bresson gira il suo film primaverile. Si, perché gli altri variano dall’estate, all’autunno, all’inverno.
A Parigi, sul Pont Neuf, si incontrano un pittore e una sconosciuta giovane, salvata per intervento del primo dal  salto nella Senna.
Il pittore, giovane anch’esso,  subisce,  a causa del racconto dell’amore per un uomo, il fascino della ragazza e se ne innamorerà, sperando di sfuggire alla sua condizione di eterno sognatore.
Il ragazzo sogna l’amore della ragazza che sogna l’amore dell’uomo, il quale comparendo la toglierà dalla vista e dal sogno del salvatore.
Bresson trasferisce l’azione originale, notturna, della Pietroburgo dostoveskiana in una Parigi anch’essa notturna, caotica e rumorosa sebbene apparirà un  lungo momento canoro che contribuirà ad alimentare le illusioni sentimentali dei due protagonisti. Al pittore non rimarranno che immagini e rimpianti e un nastro magnetico con la sua voce che chiama la ragazza.
Il cinema di Robert Bresson è un cinema classico, se gli si po’ appioppare questo termine, e come i classici della letteratura ha bisogno di attenzione, pazienza, va visto come lo scorrere dell’acqua di una fiumara nostrale, quando, verso l’inizio dell’estate, le acque diventano rade e senza tumulti, sapendo che il mare le accoglierà a braccia aperte.