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lunedì 9 aprile 2018

Matter of style







There is a presence of something which I call God, but I don't want to show it too much I prefer to make people feel it."
Robert Bresson interviewed by Paul Schrader.

Per uno spettatore occidentale è più facile riconoscere gli elementi culturali di Bresson che quelli di Ozu: può trovare indistinguibili l’uno dall'altro i diversi stati d’animo del furyu, mentre non gli sarà difficile comprendere le varie sfaccettature della teologia e dell’estetica occidentali. In ogni caso Ozu e Bresson si servono delle caratteristiche specifiche della loro cultura di appartenenza, ma le riducono al loro elemento comune: la forma.
Paul Schrader, Il trascendente nel cinema, Donzelli, 2002



mercoledì 21 febbraio 2018

Pier Paolo Pasolini, da Mozart a Ventiquattromila baci

Hearing, ye shall hear and not understand, seeing, shall see and not perceive for the people’s heart is waxed gross and their hears are dull of hearing and their eyes they have closed lest they should see with their eyes and hears with their ears”.

Voi udrete con le orecchie ma non intenderete e vedrete con gli occhi ma non comprenderete, poiché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile e hanno indurito le orecchie e hanno chiuso gli occhi per non vedere con gli occhi e per non sentire con le orecchie”.
Pier Paolo Pasolini, Il Vangelo secondo Matteo, 1964

"Il silenzio di Pier Paolo era particolare, bizzarro. Popolato di ritmi segreti, racconti di vita, vita, vita. Che invadevano il suo corpo immobile e mai fermo.
Vivere con lui, nel suo silenzio, significava vivere di attese, di meravigliose rivelazioni che lampeggiavano sugli occhiali neri e sulle sottili labbra serrate, quali certi spaghetti alla panna o una mano affondala nella tasca dei pantaloni o un piede di bimbo che scalcia le conchiglie e le ributta in mare o le rondini stupide che mulinellano dentro e fuori i merli della torre di Chia. E ogni attesa, ogni rivelazione suonava una musica ben precisa, mai casuale. Quella musica e non quell altra.
Direi quasi che il suo vivere in silenzio altro non era se non una necessità, per non perdere nessuna nota nessun violino nessun flauto magari nascosti dietro ad un camion, in un prato in mezzo alle pecore o davanti ad una scrivania pulita con mucchi di bella corta bianca da riempire o nella macchina ferma davanti ad un passaggio a livello.
Lo musico lo intimoriva, lo possedeva completamente. Spesso la chiamava "Sua Maestà!”.
E perché tutto fosse musica, ero riuscito o convincere Mozort e anche Bach che Amado mio ero una bellissima canzone e anche Con ventiquattromila baci e anche, e anche..."

Laura Betti Nota allegata all’album GM del 1983 Morricone – La musica nel cinema di Pasolini




giovedì 15 febbraio 2018

The Night They Drove Old Dixie Down


Like my father before me
I will work the land
And like my brother above me
Who took a rebel stand
Robbie Robertson

John Huston,The Red Badge of Courage (La prova del fuoco), 1951

giovedì 25 gennaio 2018

田中 絹代 Tanaka Kinuyo





Kinuyo Tanaka (1909 - 1977) tra il 1929 e l'anno della sua scomparsa prese parte in oltre 250 pellicole e fu protagonista tra i tanti per Kon Ichikawa, Keisuke Kinoshita,  Kenji Mizoguchi, Mikio Naruse, Yasujirō Ozu. Dal 1953 al 1962 diresse sei film, in Italia praticamente sconosciuti. Chi li visiona non può fare a meno di accostarli alle opere dei maestri sopra citati anche per l'apporto di alcuni in fase di scrittura o realizzazione così come l'attrice si servì di sceneggiatori, cinematographer, musicisti e attori abitualmente da loro utilizzati. Di più vi è che in essi vi traspare la personalità della stessa Tanaka trasfigurata dalla recitazione nella regia.

lunedì 8 gennaio 2018

Filmmaker or poetry




PETER BOGDANOVICH: You like Pasolini?
ORSON WELLES: Terribly bright and gifted. Crazy mixed-up kid, maybe — but on a very superior level. I mean Pasolini the poet, spoiled Christian, and Marxist ideologue. There's nothing mixed up about him on a movie set. Real authority and a wonderfully free way with the machinery.


Giornalista — Che cosa vuole esprimere con questa sua nuova opera?
Orson Welles —Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo.
G. - Che cosa ne pensa della società italiana?
O.W — Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa.
G. – Che ne pensa della morte?
O.W – Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione.
G. - Quale è la sua opinione sul nostro grande regista Federico Fellini?
O.W – Egli danza.


“Io sono una forza del Passato. 
Solo nella tradizione è il mio amore. 
Vengo dai ruderi, dalle Chiese, 
dalle pale d’altare, dai borghi 
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi, 
dove sono vissuti i fratelli".



O.W : Lei non ha capito niente perché lei è un uomo medio. E’ così?
G. - Beh sì.
O.W: Ma lei non sa cos’è un uomo medio? E’ un mostro. Un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista.
G.- Ehehem.
O.W: E’ malato di cuore lei?
G. - No, no, facendo le corna.
O.W: Peccato, perché se mi crepava qui davanti sarebbe stato un buon elemento per il lancio del film. Tanto lei non esiste. Addio.
Pier Paolo Pasolini, La ricotta, ep. Ro.Go.Pa.G., 1963



giovedì 4 gennaio 2018

giovedì 21 dicembre 2017

Christmas Concert


Orson, Babe & Stan

lunedì 18 dicembre 2017

Un film de






Fritz LangLiliom (La leggenda di Liliom) 1934 

mercoledì 29 novembre 2017

Taylor Sheridan and the fall of American empire





Tra i nuovi autori del cinema americano Taylor Sheridan è sicuramente quello che ha rinnovato i temi e gli impegni senza tenere conto del box office e delle classifiche. Partendo da Sicario (2015) e attraverso Hell or High Water (2016) di cui era lo scrittore, con Wind River (2017) arriva a chiudere un trittico mettendosi dietro la ARRI. E lo fa tenendo conto  del lavoro svolto da Denis Villeneuve per Sicario e David Mackenzie per Hell or High Water, anche per la parte che concerne gli attori.  Lo sfondo criminale dei tre film serve a dare l'esatto quadro dentro il quale va allo sfascio l'impero USA.

Il filmato proviene da qui:
https://www.hollywoodreporter.com/news/wind-river-taylor-sheridan-battles-elements-directorial-debut-video-1024270

mercoledì 22 novembre 2017

martedì 24 ottobre 2017

Solo per critici (sempre) distratti






Vittorio De Sica, Sciuscià, 1946





Sergio Leone, C'era una volta in America, 1984


L'analogia è evidente ma ancora nessuno l'ha percepita, eppure tutta la parte dell'infanzia di Noodles è modellata sul film di De Sica, complici Franco Kim Arcalli, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, cavallo compreso!


lunedì 23 ottobre 2017

The 7th Last Movie

Making a possible new cinema:
1984






1996






SDG

domenica 22 ottobre 2017

Salvatore Giuliano pizza in New Jersey


- But why don't you go to America?
- And do what?

- Work.
- In a pizzeria... in New Jersey?

No, thanks.

Here, I am Giuliano.

Michael Cimino, The Sicilian, 1987

venerdì 13 ottobre 2017

for Michael Cimino by Raymond Carver



The Juggler at “Heaven's Gate
by Raymond Carver, 1985
                                                                
                                                                 for Michael Cimino


Behind the dirty table where Kristofferson is having
breakfast, there's a window that looks onto a nineteenth-
century street in Sweetwater, Wyoming. A juggler
is at work out there, wearing a top hat and a frock coat,
a little reed of a fellow keeping three sticks
in the air. Think about this for a minute.
This juggler. This amazing act of the mind and hands.
A man who juggles for a living.
Everyone in his time has known a star,
or a gunfighter. Somebody, anyway, who pushes somebody
around. But a juggler! Blue smoke hangs inside
this awful café, and over that dirty table where two
grownup men talk about a woman's future. And something,
something about the Cattlemen's Association.
But the eye keeps going back to that juggler.
That tiny spectacle. At this minute, Ella's plight
or the fate of the emigrants
is not nearly so important as this juggler's exploits.
How'd he get into the act, anyway? What's his story?
That's the story I want to know. Anybody
can wear a gun and swagger around. Or fall in love
with somebody who loves somebody else. But to juggle
for God's sake! To give your life to that.
To go with that. Juggling.


domenica 8 ottobre 2017

Una Trilogia per Michael Cimino


Per molte ragioni, penso che sia utile e necessario stabilire un legame tra i film, mettendo I Cancelli del cielo per primo, Il Cacciatore per secondo e per terzo L’Anno del Dragone si ottiene una specie di trilogia, un trittico. E infatti si può sentire una continuità tra certi temi. Mi è stato utile, a diversi livelli, concepire L’Anno del Dragone come seguito de Il Cacciatore, con il personaggio di Michael Bronski dieci anni dopo. Era un emblema che mi permetteva di andare avanti. Avevo anche in mente questa frase di Don McCullin, il grande fotografo di guerra inglese: “Un film di guerra girato in tempo di pace”.
Michael Cimino in Cahiers du Cinéma n. 377, 1985

mercoledì 17 maggio 2017

Winter in the blood

I'll leave believing we keep all we lose and love.


Volendo non essere dei soli fruitori/mangiatori di cinema si scoprono sempre nella polvere del web opere che lasciano il segno. Verso Winter in the Blood (2013) sono arrivato da Certain Women (2016) di Kelly Reichardt, inseguendo la filmografia di Lily Gladstone of  Blackfeet and Nez Perce heritage.


Con Winter in the Blood vengono alla luce un narratore, James Welch (1940-2003), un poeta, Richard Hugo (1923-1982), sua è la citazione d'apertura catturata dal film, e un band, gli Heartless Bastards, che sfora dal garage al roots rock. Vi è incluso anche  Robert Plant, singing Toussaint McCall's Nothing Takes the Place of You.



I am not alone. 
The magpies, they gossip.
The deer come in the evenings to drink. 
When they whistle, I whistle back.
They are not happy. 
They know that the world is cockeyed.

Saginaw Morgan Grant

giovedì 27 aprile 2017

Walker/Parker


Era un tipo massiccio e villoso, dalle spalle diritte e quadrate, le braccia troppo lunghe in un paio di maniche troppo corte. Indossava un vestito grigio stazzonato dal tempo e dalla trascuratezza ...
Richard Stark, The Hunter, 1962
John Boorman, Senza un attimo di tregua, 1967

giovedì 20 aprile 2017

El Indio sullo Stretto



Notiziario di Messina, 6 e 7 maggio 1954


Emilio "el indio" Fernandez
1904 - 1986

domenica 26 marzo 2017

先生




mercoledì 8 marzo 2017

Genesi di un narratore

C'è tutto un quadro di intelligencija russa, soprattutto letteraria, che coltiva da sempre questa ragioni dello spirito e della vita. E' impossibile prescindere da essa se si vuol intendere a fondo il messaggio poetico di Šukšin. Il catalogo che ora ne diamo. sommario e incompleto, v’è appena una prima indicazione di ricerca per chi voglia approfondire i nessi di questo salutare e fecondo rapporto tra una certa tradizione letteraria russa e Šukšin; e tra Šukšin scrittore e Šukšin autore cinematografico.
Il momento nodale della sua vocazione di autore lo trova al VGIK, alla scuola di Michail Romm, « autentico uomo di cultura » così lo definisce Šukšin, maestro di vita oltre che d`arte: « La sua voce sorda, paziente, a volte un po' rauca ›› è la memoria che l'allievo ha lasciato del maestro al momento della sua scomparsa [in Le film soviétique ››, 1975. n. 9. p. 31)  « di un uomo buono e stanco di ripetere agli altri le verità più elementari. Stanco, ma che non smette di ripeterle. Due di queste verità - la necessità della bontà e del sapere - erano per lui il tema principale dell'arte.  «Era molto paziente. Quando sono stato suo allievo non l'ho mai temuto, non ho mai avuto il rimorso di rubargli il suo tempo. Era molto buono con me e pensavo che ciò fosse naturale. Poi, quando ho cominciato a capire, ero stupefatto dalla sua pazienza. E mi è molto dispiaciuto, per esempio, di avergli dato da leggere le mie brutte novelle. « Ci insegnava a lavorare. A lavorare molto. Tutta la vita. Era da questo che cominciava il suo insegnamento. Ci ha raccontato quanto lavorava, e con quali difficoltà, LevTolstòj. E per cinque anni ci ha ripetuto: "Ragazzi, bisogna lavorare" E si è ficcata in me questa idea che bisogna lavorare, lavorare e ancora lavorare per arrivare forse a qualcosa. “Bisogna leggere", “bisogna riflettere": erano anche questi inviti a lavorare. “Provare ancora": sempre la stessa cosa, lavorare e lavorare. « Anche lui ha lavorato fino all'ultimo giorno. E' cosí che vivono gli
artisti, ora lo so perfettamente. Soprattutto quando ripenso a tutta la sua vita. E so con altrettanta chiarezza che il tema principale dell'arte è la necessità della bontà e del sapere ››.
Il marchio di Romm nella vita di Šukšin è netto e preciso. Dal maestro non solo apprende un metodo di lavoro, una proposta estetica e poetica [l'arte come epifania «della bontà e della sapienza), ma ottiene l'accertamento della propria identità umana. Tre anni appena dopo aver scritto queste parole Šukšin morirà. E solo la morte gli ingiungerà di « smettere di ripetere ›› alla gente le sue « verità elementari ›› con un potere di convinzione che la malattia ha reso più caparbio e persuasivo. La sua ostinazione, alla fine - per quanto è vero che ogni autore è postumo di se stesso - la spunta perfino, almeno in parte, sui burocrati che non han saputo capire il valore e la portata della sua testimonianza di anticonformismo.
Da Romm dunque, al quale ha dato in visione i suoi racconti, Šukšin riceve consigli ed esortazioni a insistere in campo letterario. A trent'anni. le sue prime cartelle gli sono accettate da « NovyiMir ››, la famosa rivista diretta da .Aleksandr TrifònovicTvardòvskij, che s'era rivelato grande poeta nel 1930, lui di estrazione proletaria, proprio con una raccolta di liriche sulla trasformazione della vita della campagna, «La via al socialismo ››. Quasi sempre prima di uscire in volume i racconti di Šukšin compariranno su questa rivista o sull'altra, « Molodaia 'Gvardija ››. Nel 1963, con il titolo « Sel'skieìiteli » (t.l. Abitanti di paese), i suoi primi racconti son raccolti  in volume. 
Due anni piú tardi darà alle stampe il suo primo romanzo, « Ljub viny » [t.l.: il due ›Ljubavin], che sarà ridotto per lo schermo nel 1972 col titolo La fine dei Liubavin. Nel 1970 esce una seconda raccolta di novelle, «Tam, vdalì ›› (t.l.: Là, lontano). Passa un altro biennio e compare il suo terzo volume di racconti, intitolati significativamente « Zemljaki ›› [t.l.: Compaesani, che è stato ora trascritto per lo schermo dagli amici di Šukšin.
A questo punto l'attività di Šukšin si intensifica in maniera straordinaria. Testimonia Gerasimov che Šukšin «possedeva un'inconsueta, inesauribile avidità di lavoro. ll ruolo era difficile, esigeva una continua presenza. Eppure in ogni minuto libero dalle riprese, egli scriveva. Scriveva sui pezzetti di carta che gli capitavano sottomano se non trovava nella tasca il quaderno di appunti. Scriveva velocemente, temendo che il pensiero gli scivolasse via, gli sfuggisse, si polverizzasse. Ed ecco che l'idea nasceva, trovava forma verbale, assumeva una precisa intonazione. Soltanto allora era soddisfatto: ma per questo bisognava fissarla velocemente. Sebbene Šukšin possedesse una memoria prodigiosa, tuttavia non se ne fidava, sostenendo, e giustamente, che la letteratura «è una forma d'arte in cui formulare un pensiero appena un po' approssimativo è in sostanza capovolgere le leggi generali, che si basano sulla scelta puntuale e sul legame preciso delle parole, in nome della precisione dell'immagine ›› « llskusstvo kino ››, 1975, 1, cit., p. 148). Continua dunque a scrivere per l'editoria e per il cinema interpreta film, ne prepara e gira i suoi. Vedono la luce il romanzo cinematografico « Ja prišel dat' vam volju ›› [t.l.: «Sono venuto a darvi la libertà), nel 1971; e nel '73 la quarta silloge di novelle, «Charaktery ›› [t.l.: l caratteri) e il racconto cinematografico «Kalina krasnaja › [t.l.:Il viburno rosso) che diventerà film nel 1974.
Nel '74 chiude con un'altra coppia di volumi di racconti: « Besedi prjasnoj lune ›› [t.l.: Colloqui al chiar di luna] e « Rasskazy ›› [t.l.: Racconti). Già le intestazioni della produzione letteraria di Šukšin - schiette, quasi ritrose nella loro semplicità -- sono indicative dell’orientamento di fondo della sua poetica. Non è solo la salubrità dell`aria, la genuinità della natura, la franchezza e la saggia bonomia della gente che abita la terra ad avvisare l'alterità che William Cowper, il pre-romantico inglese, avvertí profondamente in mezzo ai suoi melanconici terrori sintetizzandola nell'apoftemma “Dío fece la campagna e l'uomo la città".
Per Šukšin la città è la residenza della lucida razionalità della programmazione, della geometria e della standardizzazione. La campagna è il luogo primordiale del buon senso, del sentimento, dei
moti teneri e bruschi del cuore; è il luogo della spontaneità e insieme della fedeltà ad un archetipo sociale che fortifica e rinfranca il carattere dell'uomo e lo scampa dalle seduzioni di un mondo illustrato ma volubile, facile ma subdolo.
E' questa la nota dominante dei suoi racconti [soprattutto in « Là lontano ››] e di tutti i suoi film, in particolare dell'inedito da noi Peöki-lavoöki ›(t.l.: Stufe-panchine, 1973].
Non che Šukšin si lasci imbecherare da quelle che Sinisgalli chiamerebbe le moine della natura. Šukšin sente la campagna virilmente come termine di riferimento etico, come sede della pulizia, non solo ecologica ed atmosferica, ma fisica, psichica e morale.
Pensiamo ad una delle sequenze conclusive di Vaš syn y brat. Il padre e i due figli sono sulla riva del fiume Katun, antico spettacolo dell'acqua diversa e impassibile, immagine - per ricordare Melville -dell'inafferrabile fantasma della vita. Il fiume giudica il vecchio, la vita sua che declina. E il vecchio giudica i due figli: il piú  giovane, Vassia, che è rimasto fedele alla terra e gli lavora la campagna, e il maggiore, lgnati, che ha scelto la città e s'è messo bene con la sua palestra di ginnastica per adulti. ll vecchio, quotando la forza fisica dei due figli, vuole che la misurino nella lotta, come facevano quand'erano ragazzi. Vassia prevarrà e darà conferma al padre: il vigore fisico speso in città è un vigore sprecato. Ma Vassia, il fedele, il buono, il timido Vassia si schermisce: è piú possente, è evidente, ma non si fida fino in fondo della sua forza, soffre d'inferiorità di fronte alla vigoria « razionalizzata » del fratello. il confronto non ha luogo. Il padre è deluso, Vassia rimpiangerà l'occasione perduta.
Ma la sua “superiorità” non viene scalfita dalla prova mancata. Proprio perché non c’è bisogno di prova. Chi fatica, chi soffre, quello è superiore: Antòn Pàvloviöc Cèchov registra in questa fase un decreto esistenziale che nessuno nega. E la terra non accorda sconti alla fatica. Dà e riprende a misura di come e quanto è servita.
E' il motivo secolare della iustissima tellus: mentre chiede, rende a misura, imparzialmente, forza, sapienza, bontà.

Bruno De Marchi, BIANCO E NERO, Anno XXXVII, lugio/agosto 1976