venerdì 19 marzo 2021

Regista che malamente si potrebbe definire solo un artista


Un film come I dannati di Anatole Litvak fa venire a mente una figura complessa di regista che malamente si potrebbe definire solo un artista. E come un documentario bruto, colto sul vivo, in cui per un rarissimo caso la realtà abbia fornito un materiale già scelto e legato da una logica. Insomma, è un film che raramente fa venire a mente il teatro. Nello spettacolo teatrale, noi siamo tratti spesso a compiacerci della finzione, del simbolismo del dramma, della scelta che fa l’attore tra i cento modi possibili di atteggiarsi. I dannati non ha un solo momento per ripiegarsi sulla estetica del film che fa versare fiumi di inchiostro ai teorici, e nessuna velleità poetica. Di pretesti poetici manca quasi sempre il film americano, a meno che non sia opera di ingegni d'origine e di formazione europea. Questo atteggiamento nel teatro, nel giornalismo, nelle arti in genere e sovrattutto nel film, va dominando il gusto europeo, dando alla letteratura e alla stessa funzione dello scrittore e dell’artista, un'impronta diversa da quella tradizionale, al punto che personalità e individualità cedono il posto al concetto di merce artistica utile e utilizzabile, una delle tante merci di consumo. Non è l`aspetto più trascurabile d`un modo d'essere moderni.
I dannati implica un ingegno artistico di questo genere, in una realizzazione delle più istruttive e importanti. Di quanto un europeo sarebbe tratto a caratterizzare, di tanto il regista si limita a una scelta di tipi comuni; di quanto si sarebbe tratti a isolare episodi, situazioni, paesaggi, atteggiamenti, di tanto egli li accumula con indifferenza apparente l`uno sull'altro, e spesso con una ricchezza che si compiace di andare dimessa e inosservata. Se mai si pensa all`autore, nel corso della proiezione, vien fatto di pensarlo come un tipo di nuovo genere, una specie di impresario, ingegnere, organizzatore. Non ci era ancora capitato di vedere la guerra rappresentata con tanta evidenza, così sporca, così confusa, con tanta umiliazione di uomini e distruzione di beni, con tanta vita rivoltata e pestata e stritolata nel mortaio della rovina di tutto. Il regista aveva a disposizione lo scenario autentico, e in gran parte rimasto intatto, dei paesi tedeschi distrutti dai bombardamenti. Ma ha saputo animare tutto questo dando quel senso di rovina interminabile, di inestricabile tragedia, di angosciosa perennità, di ferita mai chiusa, di confusione di bene e di male e di diritto e di torto che a un certo punto assume la guerra.
CORRADO ALVARO«Il Mondo», 19 aprile 1952

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