lunedì 11 novembre 2019

Un leone a Culver City - L'industria



Il complesso industriale della M.G.M. risiede in una località che dista una decina di miglia da Hollywood: "Culver City", una città vera e propria, il cui nome deriva da quello di Harry Culver, un proprietario che nel lontano 1915, allo scopo di attrarre nella zona - allora poco frequentata - la gente del cinema, ebbe la furberia di offrire gratuitamente nientemeno che a Thomas H. Ince, uno dei maggiori pionieri del cinema americano, un vasto appezzamento di terreno. Ince, che proprio in quel momento stava per fondare una nuova casa di produzione ed aveva bisogno di uno studio più vasto di quello di Santa Monica (che era
oltre tutto troppo distante da Los Angeles, sua residenza abituale), accettò la proposta e dopo aver costruito quattro teatri di posa, inaugurò nel marzo del 1915 la produzione della cosiddetta "Triangle " (nome derivato dalla forma del terreno occupato) con il film Civilization. Lavoravano in quel tempo per Ince alcuni attori già popolari: William S. Hart, Dorothy Dalton, Lew Cody, Billie Burke, Leo Carillo e Jean Hersholt. Al fallimento della "Triangle", gli studios vennero occupati nell'estate del 1918 da un produttore di New York, Samuel Goldwyn, il quale dopo quattro anni di fortunata attività, seguendo l'indirizzo generale
della produzione, volle tentare l'esperimento del grande film di prestigio, un film "colossale" sulla scia dei mastodontici spettacoli italiani di Guazzoni e Pastrone, già ripresi da Griffith e poi da De Mille: la riduzione cinematografica cioè del romanzo di Lew Wallace, Ben Hur, che tanti guai aveva già procurato alla "Kalem" quando nel 1907 ne aveva effettuato una versione in una sola bobina e in sedici quadri senza preoccuparsi di acquistarne i diritti. Goldwyn si accinse all'impresa con grande impegno: accaparratosi i diritti di riduzione del testo nel 1922, inviò in Italia due registi, Charles Brabin e Christy Cabanne, la scenarista e incaricata della supervisione June Mathis, e un atletico attore già affermatosi in vari film, che avrebbe sostenuto ù ruolo del protagonista, George Walsh. Ma i mezzi dei produttore non risultarono sufficienti, e l'impegnativa produzione venne interrotta, con una perdita di oltre un milione di dollari. E' a questo punto che intervengono i nomi di Marcus Loew e di Louis B. Mayer, cui faceva capo una ditta costituitasi da qualche tempo, la "Metro Picture Corporation", i quali avevano appunto intenzione di acquistare gli studios di Culver City. (continua)
Fausto Montesanti

CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE 

Nella foto gli studios come si presentavano nella prima metà degli anni '50.

domenica 10 novembre 2019

The Man, Zach Mooneyham & Mick Jones


Zach Mooneyham as Mick Jones

You want me to teach you something?
All right, here's a useful lesson for you.
Give up. Just quit.
Because in this life, you can't win.
Yeah, you can try, but in the end you're just gonna lose, big time, because the world is run by The Man.
-Who?
-The Man.
Oh, you don't know The Man?
Well, he's everywhere.
In the White House, down the hall. Miss Mullins, she's The Man. And The Man ruined the ozone,
and he's burning down the Amazon, and he kidnapped Shamu and put her in a chlorine tank.
There used to be a way to stick it to The Man. It was called rock 'n' roll.
But guess what. Oh, no.
The Man ruined that, too, with a little thing called MTV!
So don't waste your time trying to make anything cool or pure or awesome.
The Man's just gonna call you a fat, washed-up loser and crush your soul.
So do yourselves a favour and just give up!

Volete che vi insegni qualcosa?
Va bene, ecco una lezione utile.
Rinunciate. Arrendetevi e basta.
Perché in questa vita, non potete vincere.
Sì, potete provarci, ma alla fine, perderete di brutto, perché il mondo è dominato dall'Uomo.
- Chi?
- L'Uomo.
Oh, non conoscete l'Uomo?
Beh, è ovunque.
Alla Casa Bianca, alla fine del corridoio. La signorina Mullins è l'Uomo.
E l'Uomo ha rovinato l'ozono, sta bruciando l'Amazzonia, e ha rapito Shamu e l'ha messa in una vasca di cloro.
C'era un modo per farla vedere all'Uomo.
Si chiamava rock 'n' roll.
Ma sapete una cosa? Oh, no.
L'Uomo ha rovinato anche quello con una cosa chiamata MTV
Quindi non perdete tempo cercando di fare qualcosa di forte o di puro o di pazzesco.
L'Uomo vi chiamerà grassi falliti e finiti e vi spezzerà l'anima.
Quindi fatevi un favore e rinunciateci!
Richard Linklater, School of Rock, 2003


giovedì 7 novembre 2019

Irasema zero in condotta




Irasema Dilian (1924 - 1996), Maddalena zero in condotta, Vittorio De Sica, 1940

mercoledì 6 novembre 2019

The Evolution of the Western Movie from 1899 to 1954 - the end




Infine, un'altra iniziativa partita dalla stessa Hollywood ha contribuito all'eliminazione del western B. Circa un dieci anni fa i film western si potevano dividere in due categorie: quelli grandiosi ed epici, e quelli d'ordinaria amministrazione, modesti, a buon mercato, senza categorie intermedie. Oggi invece, siccome il genere western piace sempre, si è creato a Hollywood, un qualcosa di mezzo tra il grande e il piccolo western, e precisamente "il nuovo westen B" che permette uno spettacolo d'ottanta minuti, è in technicolor ed è interpretato da attori come Sterling Hayden, Audie Murphy e Randolph Scott. Questi film costituiscono uno spettacolo completo e hanno subito avuto una larghissima diffusione, e non si può quindi dare tutti i torti al distributore se, dovendo scegliere tra un filmetto del genere di quelli che si possono vedere alla televisione, e un altro invece che, con pochi dollari di differenza, garantisce un buon colore, un eccellente interpretazione e la durata di proiezione di un film normale, preferisce i nuovi western B.
La fine dei western B era quindi questione di poco tempo ancora. Anche la Republic che si era specializzata nei western musicali, conservò soltanto la serie del cow boy-cantante Rex Allen. Gli Allied Artists, già Monogram, furono l'unica società cinematografica rimasta ancora sulla breccia. Ma il totale di cinque westen per il 1954, se paragonato ai 145 per anno di non molto tempo prima, è la dimostrazione più evidente della crisi, anche se gli Allied Artists fecero tutto il possibile per ridare ai western di seconda categoria la fama e il successo di una volta. Bitter Creek, The Forty Nine's e The Despeado sono piccoli westen ma ben fatti nella linea della vecchia tradizione di Bill Hart e di Tom Ince, con una trama non banale e un interesse mantenuto vivo sino alla fine. Però, con l'assunzione di John Huston, William Wyler e Billy Wilder, non soltanto come registi ma anche in veste di consiglieri e, sotto sotto, di direttori di produzione, si può star certi che i western B anche presso gli Allied Artists, abbiano i giorni contati.
Ciò non vuol dire che i western B siano scomparsi per sempre e nel modo più assoluto: se ne vedrà, ogni tanto, qualche apparizione. Per esempio, ci sono, produttori indipendenti come Edward Finney, Jack Schwarts, Alex Gordon e John Carpenter, i quali contro ogni previsione hanno avuto recentemente un buon successo con Buffalo Bm in Tomahawk Territory e con The Lawless. Ma sono casi isolati, che non hanno importanza per la speranza di ripresa dei western B.
Per contro, anche le ultime notizie confermano che la Universal, la Columbia e gli Allied Artists in modo particolare, e le altre case cinematografiche con minore ma sempre notevole impegno, stanno preparando il lancio su vasta scala dei "nuovi western B", quelli cioè che non sono e non vogliono essere colossi né propriamente storici, e che in sostanza conservano le caratteristiche del western minore, con l'aggiunta però di una durata superiore di proiezione, di una tecnica più raffinata e puntualizzata nel colore, e di un'accurata scelta di interpreti, tanto da avvicinarsi piuttosto al western della categoria A. Si vede che Hollywood ha saputo trarre qualche profitto, quel poco che c'era da imparare, dalle edizioni più economiche e popolari dei western. Uno degli ultimi grandi della Universal, Saskatchewan, ricorda molto quelli d'una volta. Nonostante gli interpreti (Alan Ladd, Shelly Winters), il regista Raoul Walsh, che ai suoi tempi diresse film passati alla storia del cinema ormai, come The Big Trail e The Dark Command e l'appropriato commento musicale, può tuttavia fare una certa impressione solo superficialmente. L'illusione di grandezza è data dalla suggestività dell'ambiente e del colore, e da un illimitato numero di comparse. Ma a bene considerare, la scena madre, il pezzo forte, mancano. Anche le scene che dovrebbero riuscire più emozionanti sono state riprese da lontano, in campi lunghi, con la macchina ferma. Infine, in tutto il film, c'è soltanto una scena che si svolge in interni. Quando Alan Ladd entra sotto la tenda, la macchina da presa rimane fuori; quando Shelly Winters si ritira nella sua stanza, la macchina da presa si limita a inquadrare dall'esterno la finestra, e basta. I vecchi maestri del westen, Sam Newfield, Leslie Selander, Lambert Hillyer e altri ancora, hanno pur insegnato qualcosa, in fatto d'economia, con i loro poveri western, a buon mercato.
Perciò, se è vero che i western della categoria superiore hanno talmente influito sui minori, da schiacciarne la produzione, è anche vero che i piccoli, i poveri western non sono passati sullo schermo senza lasciare una traccia, un loro ricordo, che è appunto quella sensazione di freschezza immediata, di vivacità, di vita insomma, che, se ottenuta anche nei nuovi western, potrà continuare, sia pure con ben altre pretese, la tradizione in certo modo gloriosa, lo spirito, delle umili e ingenue leggende, ormai, dei cavalieri spericolati, irruenti al grido, ch'era già tutto un programma, di "arrivano i nostri!".
WILLIAM K. EVERSON
CINEMA quindicinale di divulgazione cinematografica Volume XII Terza serie  Anno VII 1954 10-25 Dicembre
In apertura: George O'Brien e Marguerite Churchill nel film di Hamilton MacFadden L'amazzone mascherata (Riders of the Purple Sage). Sotto: Irene Dunne e Richard Dix in Cimarron (I pionieri), 1931.

martedì 5 novembre 2019

Gelecek Uzun Sürer




Forse la vita è la strada che una donna... percorre con un cesto nella mano...
forse la vita è la corda che un uomo mette sul ramo per darsi la morte
forse la vita è un bimbo che torna a casa da scuola.
Forugh Farrokhzad (1935-1967)

Özcan Alper, Gelecek Uzun Sürer (Future Last Forever, Il futuro è per eterno), 2011


lunedì 4 novembre 2019

Emilio "el Indio" Fernández




Motivi di critica sull’opera di Emilio Fernandez

Nell'ambito del cinema messicano, per lo più legato agli schemi e metodi di Hollywood, l'opera di Emilio Fernandez  rappresenta finora un fenomeno isolato e, in un certo senso, di avanguardia. I suoi film riscuotono nel Messico uno scarsissimo successo di cassetta (André Camp ci informa (1) che La perla ha tenuto più a lungo il cartellone a New York che a Città del Messico).
In sostanza l’opera di Fernandez è un fenomeno di cultura che traspone nel cinema i motivi di una ricerca spirituale che impronta oggi tutto il panorama dell’arte e della cultura messicane, Questa ricerca, che si presenta con caratteri tipicamente nazionali, tende a individuare nella storia millenaria del Messico gli elementi personificatori di una tradizione spirituale e di una sensibilità espressiva. L'arte messicana di oggi trae ispirazione dalla terra e dal popolo del Messico, riallacciandosi deliberatamente alle antiche e primitive manifestazioni indigene precolombiane (aggiornate però, sia pure polemicamente, ai risultati della cultura moderna).
Emilio Fernandez, di razza india, è nato a Hondo, stato di Coahuila, confederazione del Messico, il 26 marzo 1904. Frequentò l’accademia militare e seguì la carriera delle armi come ufficiale d'artiglieria. Come tale combatté nella rivoluzione.
Dimessosi dall'esercito fu attore di teatro e di cinema (come i suoi quattro fratelli: Fernando - che è uno dei più noti cantanti messicani, Augustin, Rogelio e Jaime). Come attore lavorò per qualche tempo anche a Hollywood dove conobbe John Ford che l’incoraggiò alla regia. Fernandez ha conservato per Ford – che egli considera suo maestro - una sincera e profonda amicizia.
Diresse il suo primo film nel 1941. Ecco, in ordine progressivo, l'elenco completo dei films da lui diretti: Isla de la passión, Soy puro Mexicano, Flor silvestre, Las abandonàdas, Maria Candelaria, Bugambília, La perla, Pepita Jiménez, Enamorada (versione messicana), Salon Mexico, Maclovia, Río Escondido, Pueblerina, La malquerida, Enamorada (versione inglese con Paulette Goddard), Un dia dè vida, Victímes del pecado.
Tranne i primi due films in tutti gli altri ebbe come operatore Gabriel Fígueroa. Da Maclovía in poi Colomba Dominguez, sua moglie, ha partecipato a tutti i suoi films. Fernandez preferisce lavorare con collaboratori fissi che garantiscano l’affiatamento della troupe. Segue un metodo di lavoro piuttosto estemporaneo e gira senza una sceneggiatura rigorosamente stabilita. Politicamente Femandez e Figueroa sono a sinistra.
Devo queste ed altre notizie contenute in questo studio alla cortesia di Ruth Rivera e di Jaime Fernandez. (continua)
(1) André Camp: “Aperçus sur le cinéma mexicain” in «La revue du cinéma, n. 5, luglio 1948.

Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951


Nella foto: Emilio Fernandez e Rodolfo Acosta sul set di Vittime del peccato (1950)

domenica 3 novembre 2019

Waking is Life




Dream is destiny
Il sogno è destino
Richard Linklater, Walking Life, 2001