domenica 9 ottobre 2016

La critica e l'ex ciacchista


Questa che segue è una delle prime pubblicazioni, come critico cinematografico, di Sandro Anastasi, meglio noto come docente di diritto del lavoro. Per molti la sua garbata figura è legata, oltre che alla sua attività giornalistica, ad un momento irripetibile della cultura cinematografica messinese, gli anni sessanta/settanta del Festival Cinematografico di Messina e Taormina, stagione che egli portò avanti dapprima con la Settimana del Filmnuovo all’interno del Festival delle Nazioni e successivamente con l’esordio di Taormina Arte.
Oggi a sollevare le sue riserve al film di Sergio Leone ci hanno pensato il tempo intercorso dalla prima apparizione e le innumerevoli edizioni del film: dal 16 mm della Sanpaolo Film alle ultime edizioni in digitale.



LE PRIME DEL CINEMA
C’era una volta il West
Sergio Leone, antesignano del «western all'italiana››, si è impaniato in una narrazione complessa, involuta, sproporzionata e, se vogliamo, narcisistica: con «C'era una volta il West», infatti, il regista italiano si dilunga in uno spettacolo che si protrae per tre ore, nel quale si diluiscono (fino a scomparire)  i dati positivi della sua fatica, senza che, peraltro, emerga la impronta decisa dell'opera di valore.
Con film quali «Per un pugno di dollari» e «Per qualche dollaro in più» l'ex ciacchista di Soldati ha portato una ventata innovatrice nel genere western. Superati i moduli consolidati dalla tradizione hollywoodiana, Leone è riuscito a realizzare lavori stringenti, decisi, aggressivi, in una parola adeguati ai tempi, nel rifiuto di una  vieta retorica manieristica. Non si è trattato di opere d'arte, ma a Leone va ascritto, comunque  il merito di questa sua sostanziale e comprovata capacità di superamento dello schematismo, in un coraggioso(e riuscito) tentativo di modernizzare un parametro in sé cristallizzato dal tempo. Questo suo slancio iniziale, tuttavia, si è andato scemando; e la verifica che viene offerta da <<C'era una volta il West», trova riscontro, (a ben guardare) già ne «Il buono, il brutto, il cattivo››.
In realtà il limite di Leone (non sembri un controsenso) ci appare quello di aver tentato (specie in questa ultima fase del suo impegno cinematografico) di superare se stesso, rinunciando alla sua vocazione originaria e originale e, quindi, alla sua genuinità.
«C'era una volta il West», mentre si propone intenti di analisi psicologiche, non regge al proposito; mentre nasce come western, firmato da Sergio Leone (e ormai... «noblesse oblige»), si appesantisce involvendosi in un ritmo, esasperatamente lento; mentre propone un tema narrativo, si dissolve in piani diversi, che frazionano quella che dovrebbe essere la sostanziale unitarietà della vicenda. In definitiva le cose buone, pur presenti in questo film, vengono sommerse o non sono adeguatamente valorizzate, disperdendosi nel complesso magmatico di situazioni,fatti e figure rappresentati. Inoltre il tessuto connettivo del filmmostra l’usura delle vicende, in fondo piuttosto comuni e ricorrenti nell’epica del western.
Ci troviamo, infatti, di fronte a due temi fondamentali, dalle reciproche implicazioni: l’ansia dei cattivi di appropriarsi dei terreni, il cui valore è destinato a salire in vista del giungere della ferrovia, e il desiderio di un soggetto, «Armonica», di vendicare la morte del fratello.
Naturalmente il regista, che in effetti conosce il mestiere, sfrutta lino in fondo le possibilità offerte da questi spunti; ne nasce un intreccio elaborato che si sviluppa, giungendo infine ad una inevitabile conclusione.
Ma vediamo, un pò più dettagliatamente la trama dei soggettisti  Argento e Bertolucci, avendo cura di ricordare che in questa sede non è possibile precisare i diversi passaggi  filmici.
La vicenda è ambientata nella seconda metà del XIX secolo; una donna deve difendersi dalle mire di un individuo senza scrupoli, che vuole appropriarsi delle terre altrui, con evidenti intenti speculativi. Alla poveraccia, rimasta sola perché il marito (che l’ha sposata in seconde nozze, consentendole di rifarsi una vita) è stato ammazzato da un fuorilegge  non mancherebbero le protezioni, però non del tutto disinteressate. A sistemare la situazione ed a punire il cattivo, sopraggiungono finalmente due strani figuri, dei quali uno è << Armonica», cosi trasparentemente battezzato perché suona sempre un'armonica a bocca. Giustizia sarà fatta; molti moriranno e <<Armonica›>, per di più potrà vendicare l’impiccagione del fratello, al quale  - dopo la morte - era stata messa in bocca proprio un'armonica.
Come traspare da questi brevi cenni, relativi alla storia sviluppata in «C'era una volta il West», l’aspirazione di perfezionismo del regista non trova riscontro nel fatto filmico. La confezione elaborata  e poco spontanea, anche se elegante, non può sanare le palesi deficienze di struttura e contenuto; in sintesi, Sergio Leone può essere accusato di aver lavorato senza volgere lo sguardo al passato. In vista di una, prospettiva, indimensionata, proponendosi obiettivi di ampio respiro il regista ha reso opaco lo smalto che aveva caratterizzato sua m migliore produzione senza acquisire gli elementi di una nuova, autonoma vitalità narrativa
Gli interpreti, almeno per la maggior parte, hanno sostenuto il peso di un lavoro che, su questo piano, può essere ritenuto più che soddisfacente. Ottimo Henry Fonda, alle cui indubbie capacità si accoppia un apprezzabile senso di misura; gli specialisti (Charles Bronson, Jason Robards, Frank Woolf e Woody Stroode) hanno lavorato con inusitata sobrietà, mentre Gabriele Ferzetti e Paolo Stoppa sono incisivi quanto basta. Claudia Cardinale, invece, ci sembra legata ad un cliché dal quale - a nostro avviso - riesce a svincolarsi solo in qualche momento e con molto sforzo.
Sandro Anastasi
GAZZETTA DEL SUD, Sabato  28 dicembre 1968
Il prof. Sandro Anastasi alla destra di Roger Corman
a lui è dedicata questa che è ormai la più riuscita cover del celebre tema musicale



giovedì 6 ottobre 2016

Something - very little - about me


Opere di
 Novella Aurora Spanò e Piergiorgio Scuteri





mercoledì 5 ottobre 2016

Le Divine popolo bambino

OGGI



GIANNA MARIA CANALE  -   GRAZIA MARIA SPINA

In quel tempo in cui il cinema era il CINEMA e quando le sale adibite a quel tipo di spettacolo erano più o meno diffuse lungo la penisola e le isole, tra il pubblico vi era il popolo bambino la cui fantasia veniva eccitata da avventure di vario genere e tipo. A far nascere contese ludiche tra il popolo bambino con innocenti sogni muliebri in Totalscope ci pensavano regine principesse o popolane vestite alla moda che andava dalla mitologia alla bibbia arrivando ai tempi di Victor Hugo, Alexander Dumas, Emilio Salgari. Il gentile volto spesso corrispondeva a quello di Gianna Maria Canale contrapposto a Grazia Maria Spina, in competizione  con Ettore Manni,  Gordon Scott o a minacciosi sfidanti come Livio Lorenzon. Quelle muse ne uscivano sempre vittoriose sui loro colleghi maschi che le impalmavano, arrossando gli occhi di quel pubblico bambino non ancora contaminato, se non da Topo Gigio o dalla Nonna del Corsaro Nero.

lunedì 3 ottobre 2016

Prossimamente miracoloso



Questo che ora vedete di seguito, presentato dall' ENIC,  è più che un prossimamente al cinema. Oggi si svela come il più bell'omaggio a Vittorio De Sica (l'amico dei ragazzi) o, per lo meno, un omaggio al regista ed ai suoi film sino all'anno di uscita di Miracolo a Milano (1951). Il merito è soprattutto di Francesco Golisano, in quel celebre film interpretava Totò, che con il suo volto bonario ci introduce nei precedenti lavori del maestro De Sica e soprattutto nella sua poetica.


domenica 2 ottobre 2016

CHARLES FARREL

 Un giovanotto snello, robusto, dalle chiome increspate e dalla fisionomia dolce, un uomo semplice dal sorriso franco e ingenuo, un giovanotto dall’aria socievole e bonario, ecco in brevi parole la presentazione di Charles Farrel.
Questo attore che improvvisamente si è elevato alla categoria di “ astro ” nel firmamento cinematografico, era circa due anni fa uno dei tanti innominati che lavoravano nella settima arte, uno degli innumerevoli che aspiravano a poter circondare il proprio nome dell’aureola della fama. Gli è bastata una opportunità e ha saputo raggiungere di colpo il posto che tanti e tanti si erano sforzati invano di raggiungere e che non erano mai riusciti a conseguire. La dea fortuna ama i giovani e specialmente i giovani dal sorriso luminoso come Charles Farrel, e un bel giorno la tanta sospirata dea si è lasciata conquistare anche essa dal bel fanciullo e gli ha concesso la gloria e la ricchezza.
Ciò che colpisce la fantasia di molti aspiranti agli onori dello schermo è la facilità con cui sembra si possa raggiungere tale scopo, ma invece non è così; non basta possedere buoni muscoli, un’andatura elegante, o un viso regolare per poter riuscire, la cinematografia ha una grandezza spirituale sua propria e soltanto chi riesce ad esprimerla raggiunge la notorietà. Le complesse attitudini dell’animo umano richiedono una comprensione che solo un cervello raffinato e una sensibilità squisita possono raggiungere; la bellezza il più delle volte si accompagna con la povertà d’intelletto e quindi il successo che talvolta è facilmente raggiunto è effimero come la vita di un fiore e con eguale prestezza viene dimenticato.
Nel caso di Charles Farrel abbiamo invece un giovane pieno di naturalezza e intelligenza che ha perseguito la sua meta con pazienza, con tenacia, con sacrificio fino a che nel giorno della prova la preparazione ha dato i suoi frutti ed ecco che in Settimo Cielo segna un trionfo con la creazione di un personaggio che resterà indimenticabile in quanti hanno avuto la fortuna di vederlo. In tutte le parti del mondo il nome di Charles Farrel è passato su tutte le bocche con ammirazione, con meraviglia, con entusiasmo.
Nessun altro attore nella storia della Cinematografia ha saputo raggiungere così di colpo la fama e la notorietà conseguite da Charles Farrel nell’interpretazione di Settimo Cielo  e non è ha dirsi che il successo del giovane attore sia stato dovuto a un caso fortuito perché dopo Settimo Cielo Charles Farrel ha entusiasmato i pubblici di tutto il mondo nella sua interpretazione di Danzatrice Rossa e Angelo della Strada e ora ha riportato un grande successo nel film Il Fiume e si prepara a un nuovo trionfo nel suo grande capolavoro per la prossima stagione La stella della fortuna.
Come tutti i giovani attori celebri anche egli ha trovato una rispondenza, diremmo quasi un comunione di sentimento con Janet Gaynor, la piccola grande attrice che come nessuna altra ha saputo interpretare il film già sopra nominato, e la direzione di un uomo di nobile intelletto come Frank Borzage con fine intuito e squisita sensibilità ha saputo comprendere l’animo dei due attori appassionandoli nella interpretazione dei drammi da lui diretti.
Come Janet Gaynor si direbbe creata per interpretare i drammi cinematografici accanto a Charles Farrel così reciprocamente si potrebbe dire che Charles Farrel è l’unico uomo che può stare accanto a Janet Gaynor, e infatti a riprova di ciò basterebbe considerare l’interpretazione che Charles Farrel ha fatto accanto a un’altra grande attrice, a la Greta Nissen nel film L’oasi dell’amore.
Per quanto il successo sia stato caldo e universale ciò non pertanto tutti gli ammiratori dello schermo cercavano invano accanto alla maschia figura del giovane la piccola ombra di Janet Gaynor, si avvertiva nell’azione dell’eroe del dramma come un vuoto, una mancanza non ben definita e tutto il bellissimo film ricordava stranamente una sinfonia incompleta, una musica mirabile a cui pertanto mancava una nota, la nota della perfezione e cioè la suggestiva interpretazione di Janet Gaynor.
Charles Farrel inoltre a differenza di molti altri attori del cinematografo si è laureato regolarmente in legge presso l’Università di Boston e molto probabilmente avrebbe seguitato la sua regolare professione se il richiamo di Hollywood non fosse stato più forte e più invitante di quello delle pratiche legali.
Come ogni giovane americano che si rispetti è anch’egli uno sportivo eccellente, tira di boxe con rara abilità; prima di cominciare la sua carriera vinse parecchi tornei studenteschi, anche il foot-ball esercita una grande attrattiva per il giovane attore e indubbiamente conferisce al suo corpo la elasticità di cui egli è orgoglioso.
Con l’avvento della cinematografia sonora Charles Farrel è uno dei pochi attori della scena muta che ha superato con successo la prova del film parlato e non è probabile che nella prossima stagione i suoi ammiratori possano sentire la sua voce calda e armoniosa; la sua giovine età (egli è appena  ventisettenne) gli assicura un avvenire luminoso e per molti anni ancora egli seguiterà a interpretare sullo schermo la figura del giovane buono e innamorato un po’ ingenuo e un pò sentimentale: l’eterna figura dell’eroe romantico e dell’amante appassionato.
Bollettino della Fox Film Corp. 1 giugno 1929 (VII), numero 8

lunedì 26 settembre 2016

To Iginio Lardani: "Regards."


Realtime Conf 2013 Opening Credits from &yet on Vimeo.

Credit sequence by Robbie Augspurger featuring drawings by Jaime H. Robles. Realtime Conference collateral designed by Amy Lynn Taylor. An &yet production. To Iginio Lardani: "Regards."

domenica 25 settembre 2016

Una congiunzione astrale

ATTORE O REGISTA
di  A. Consiglio e G. Debenedetti

L’evoluzione di una grande attrice, non come pretesto all’aneddoto o al pettegolezzo, ma come tema per indagare i rapporti tra regia ed interpretazione. Fino a qual punto l’attore si riduce a materia plastica nelle mani del regista. E con quali risultati nel campo artistico, sociale e di costume.
1. Una piccola attrice di varietà. Ruolino di marcia: non particolarmente bella, non particolarmente promettente. Nessuno punterebbe su di lei. Perché un grande regista come Tourneur le affida una parte di protagonista senza importanza nella Nave degli uomini perduti?
2.  Una congiunzione stellare: l’incontro con Sternberg in un Caffè-Concerto. S’inventa una stella. Il divismo esclusivo e schiacciante di Jannings è finalmente equilibrato dalla presenza non meno autoritaria e realistica della nuova diva. L’Angelo Azzurro. Quale il segreto di Sternberg? Risolvere in poesia tragica e magia l’ambiente originario di Marlene e l’appello un po’ torbido della sua femminilità.
3. Il tema pareva inesauribile. Ma già l’invenzione minaccia di spezzare i polsi dell’inventore. Sternberg si tormenta per modulare in forme inedite quella roca e perversa seduzione. La riesplora in nuovi climi. Marocco. Ma tra il lusso dei colori e dei pimenti esotici, si intravvedono le prime stanchezze del poeta.
4.  Nello sforzo di rinnovarsi, Sterberg corre faticosamente verso l’insuccesso. Angelo Azzurro lo ossessiona. Evadere dal capolavoro: ecco il problema! Anche a costo di ispirazioni abusate (guerra, spionaggio; Crepuscolo di Gloria). In realtà siamo in una fase di pure esperienze plastiche. Per strappare Marlene al suo ambiente inevitabile, il regista approda ad una illusione: che basti cambiarle di veste e d’acconciatura. Disonorata.
5. A questo punto, come accade, non rimaneva che l’oriente. Incantesimo di maniera. Seduzione di continenti dove l’avventura sembra legge. Paradisi artificiali. Fatale luogo di convegno per tutti i naufraghi. E l’ostinata Lola-Lola dei bassifondi amburghesi prende lo Shanghai-Express per la Cina dei banditi, dei bolscevichi, dei missionari e degli umanitari.
6. Per il momento Sternberg rinuncia a nuove esplorazioni. Entra in campo l’autore di Vie della Città con le sue supposte risorse di osservazione dal vero. Ma l’astuto Mamoulian non fa che derivare, in un grave e raccogliticcio mosaico di stili, le scoperte di Sternberg: nelle sue mani la vagheggiata Marlene – l’etera, la contadina rifoderata di ingenuità, la sirena del prof. Unrath – diventa la statua, il calco di gesso. Falsa poesia di luoghi comuni. Il Cantico dei Cantici.
7. Su quel calco, il divismo si fabbrica un nuovo ideale, la bellezza femminile un nuovo modello- Il figurino di Marlene, ormai irrigidito nello stucco di Mamoulian, ossessiona la fantasia degli uomini, la volontà di seduzione delle donne, la scelta degli arruola tori di “ stelle “ per il cinema. I produttori vedono in quel tipo una sicura certezza di successo e di lucro. Il mondo della realtà, e non solo quello dello schermo, formicola di Marlene speciose e senza contenuto.
8. Sternberg ritorna. L’inventore spezza il calco. Ma non torna il poeta. Con fallace alchimia egli si prova a trasfigurare la venere degli angiporti nella casta ed “ eroica “ madre di famiglia. Ma se le dolci linee del volto di Marlene obbediscono alla virtuosità del fotografo, le leggi incoercibili di una materia fissata per sempre in un capolavoro riprendono il loro dominio.
9. In una sorta di esasperazione Sternberg ricorre agli ultimi espedienti. Sottilizza la sua modella in una ingenua principessina. Tenta di riscattare la cortigiana nell’equivoco di una vita romanzata: e fa della selvaggia e sensuale imperatrice rossa la fragile vittima d’una corte di mostri e di fantasmi. Sontuoso trionfo di uno sterile cerebralismo. Il film non raggiunge che una larva di coesione nella continuità della cifra fotografica e decorativa. Ridondante poema sinfonico, trova un filo soltanto nelle prolisse didascalie. E l’eroina affoga nell’irta decorazione barocca.
10. Ultima prova, perduta in anticipo. Sterberg non ha più animo per forzare una via nuova: ritenta con la Spagna l’esperimento fallitogli con la Russia. La Spagna delle gitane, delle galline che razzolano per strada, dei pettini, dei patios, e del sole convenzionale. E mendica un tema di maniera dal decadente estetismo di Pierre Louis (La femme et le pantin). Dal rococò moscovita al barocchismo dei merletti: affogare per affogare. Capriccio Spanuolo!
11. Subentra Lubitsch che, influenzando maliziosamente la regia di Borzage, svuota il mito. Fa della Circe mondiale una donna come tutte le altre, che porta il suo romanzetto alla Jeannette Mac Donald tra galanterie alla viennese, spiagge alla moda, romitaggi sentimentali, operetta europea, ragazzoni all’americana. Maniera di risolvere? o maniera di concludere? o semplicemente maniera?


CINEMA Quindicinale di divulgazione cinematografica, Anno I, Luglio Dicembre 1936-XV