lunedì 19 marzo 2012

Corsa per la vta

Michael Cimino ha diretto fino ad ora sette film, come Andrej Tarkovskij e Sergio Leone: Verso il sud (The Sunchaser) è del 19996 e come l’ultimo film del maestro italiano e stato prodotto da Arnon Miilchan.
A prima vista , era accaduto anche a me, sembra un soggetto che segue la moda New Age, in quegli anni molto in voga, come Grand Canyon di mastro Lawrence Kasdan. Non è così.
E’ un viaggio di purificazione ed è un incontro, come spesso è accaduto nel cinema di Cimino, tra due opposte culture; un incontro scontro con l’altro: qui un nativo, altrove uno slavo o un asiatico.
E’ pure una fuga, come Big Jane, verso territori ancora salvi dalla massificazione: le Montagne Rocciose ed i territori Navajo, dove per anni Edward Abbey, di cui ho parlato nei giorni precedenti, aveva svolto il  suo lavoro di ranger.
Possa la bellezza essere davanti a te!
Possa la bellezza essere dietro di te!
Possa la bellezza essere sopra di te!
Possa la bellezza essere sotto di te!
Possa la bellezza essere tutt’intorno a te!
Questo che sembra essere un salmo viene ripetuto varie volte durante il corso del film da Blue un mezzosangue, ripresa sicuramente da quella che ripeteva spesso il principe Miskin nell’Idiota  di Dostoevskij: “ la bellezza salverà il mondo “.
Per non diventar e noioso terminerò ricordando una scena molto significativa a tal proposito: accade quando i due protagonisti a bordo di una Cadillac che ha tutto il sapore di un brano spingsteeniano, per sfuggite all’inseguimento della polizia, sulle note della suite Appalachian Spring di Arnon Copland scritta per un balletto di Martha Graham, il bianco chiede aiuto ad un gruppo di Navajo che portavano al pascolo un branco di cavalli: mimetizzati dalla nuvola di polvere sollevata da questi riuscirà a sfuggire alla cattura e portare il compagno mezzosangue verso la montagna sacra, dove si dissolverà nella sua corsa verso la rinascita.


giovedì 15 marzo 2012

Il re di Montetauro

Nino Manfredi a Taormina (foto Mittiga)

mercoledì 14 marzo 2012

Cinemascope contro Panavision

OGGI


Gli schermi di oggi sono diversi da quelli di una volta, erano concavi e si restringevano verso il centro per via del Cinemascope, oggi sono piatti per via del Panavision. Il primo di questo genere a Messina fu l'Odeon quando fu ristrutturato negli anni sessanta, per la cronaca quando riaprì il primo film proiettato fu C'era una volta il west.
Un film come I quattro dell'ave maria non è godibile su questi schermi moderni. Al cinema Metropol in via Garibaldi mi avvolse con tutto il suo spettacolo, perche Giuseppe Colizzi ci sapeva fare, aiutato in questo da Eli Wallach, proveniente alla sua esperienza "brutta". Erano, quegli anni, senza dominio televisivo, e dentro il cinema si poteva incontrare il proletario caro a Pasolini come l'intellettuale caro a Bertolucci, anche l'odore del cinema era diverso, erano diverse anche le maschere, proletarie anch'esse.


lunedì 12 marzo 2012

Harvest


Tra i libri che portai con me quell’anno, c’era La linea d’ombra di Joseph Conrad. Rientrare a casa fu come superare quella linea, qualcosa era cambiata e sebbene stavo riprendendo la solita vita niente era più come prima.
Un fatto grave accadde quasi subito il mio rientro. La morte per cause accidentali di C. S., turbò tutti quelli che la conoscevano. Una volta, quasi come facendomi una radiografia, mi disse. “io ti vedo bene da solo”, non mi spiegò cosa pensasse ne io mi curai di chiederlo, ma quella frase mi accompagna ancora, e sono sempre da solo.

Dopo un anno di vita regolata dalla disciplina e dalla gerarchia, da un illusorio senso del dovere, come da fantomatiche aggressioni esterne, ancora per molto, e nei sogni notturni, continuerà l’ansia di non poter tornare liberi a casa o dal richiamo forzato a svolgere compiti inutili con gente sempre più giovane.
Per fortuna l’anno è trascorso, si è vivi e si è felicemente costretti a riprendere da dove si era interrotta la sequenza quotidiana della vita.
A fatica ripresi il lavoro all’E. dopo il rischio di una possibile estromissione per non dire licenziamento. Il mio direttore S. M. da amministrativo pensava di inquadrarmi come docente. La materia la conosceva soltanto lui, io da perenne autodidatta non sapevo cosa poter insegnare e quale era la disciplina a me più congeniale: ho vissuto e vivo in una continua condizione di stare sbagliando qualcosa nel meccanismo del compito a me affidato. Del resto, non sono un pensatore, non ho la pistola carica come il buono, io sono come il brutto, scavo.

L'architettore delle immagini

Amos Gitai a Taormina ( polaroid Mittiga)

giovedì 8 marzo 2012

Big Jane & Big Michael




La retrospettiva che inizia oggi è dedicata al più grande emarginato hollywoodiano: Michael Cimino
Sarà un viaggio a ritroso, dalla sua opera più recente che risale al 1996 al debutto del 1974.
Per cominciare invece di un film vi presento un libro, l’unico ancora pubblicato dal regista. Si tratta di Big Jane uscito dapprima in Francia e successivamente in Italia. A suo tempo fu presentato, come un opera filmica, al festival di Venezia.
Il pregio di tutta l’opera di Michael Cimino è che lui sa raccontare le storie con la  Panavision e anche con la penna non difetta per niente.
Di solito è lo scrittore che passa dietro la cinepresa, vi cito solo due a cui sono affezionato: Pier Paolo Pasolini e Peter Handke, scusate se è poco. L’unico regista che conosco passato alla scrittura è stato Eric Von Stroheim che scrisse Paprika. Von Stroheim ha in comune proprio con Cimino l’ostracismo degli studios dopo un flop con gli incassi di un capolavoro.
E’ un road- book che narra le peripezie di una statuaria bionda, per giunta bella,  in un andirivieni da costa a costa, dalla Long Island di Lou Reed alla California dei Grateful Dead di Jerry Garcia, a cavallo di una Indian.
Sembrerà strano ma il libro sembra scritto alla moviola con tagli nervosi e stacchi quasi bruschi da un’inquadratura all’altra ed ogni capitolo è aperto da una citazione del Don Chisciotte di Cervantes
Non mi va di raccontarvi tutta la storia, dico solamente che Big Jane e Michael Cimino hanno in comune l’amore per la cultura dei nativi americani , presso cui il regista ama passare parte dell’anno.
Per Herman Melville il tema era lo spazio, per Jack Kerouac la velocità, per Jane Kiernan tutt’e due.



mercoledì 7 marzo 2012

OGGI
AL CINEFORUM PEPPUCCIO TORNATORE
Il romanzo di Edward Abbey da cui è tratto Solo sotto le stelle (The Bave Cowboy) è del 1956,molti anni prima che Cormac  McCarthy modellasse i suoi personaggi simbolo: John Grady  Cole, Billy Parhman e lo sceriffo Bell.
Jack W. Barnes e lo sceriffo  Johnson, con i volti di Kirk Douglas e Walter Matthau, potrebbero esserne i loro prototipi.
L’elemento base di questo film, il vero capolavoro, è la sceneggiatura di Dalton Trumbo. Trumbo aveva sceneggiato per Kirk Douglas Spartacus, poi tradotto sullo schermo da Stanley Kubrick che lo rinnegò successivamente; i due tipi, distanti duemila anni, si assomigliano: voglia di libertà, lotta contro ogni tirannia, individualismo, forte legame con la natura; alla fine della loro corsa saranno inseguiti e stroncati dall’apparato repressivo della società . L’attore ancora oggi lo indica come il suo preferito.
Purtroppo David Miller non è Kubrick, ma non gliene vogliamo, il film l’ha diretto bene, tenendo “per le redini “ Kirk Douglas, fuori misura in altre occasioni. E, concedetemelo, Walter Matthau  aveva molto meglio dello insignificante T. L. Jones, il volto ideale e l’umanità della figura, per interpretare lo sceriffo Bell di Non è un paese da vecchi dei Coen.
Per tornare al romanzo di Edward Abbey, mai tradotto in Italia,dove però sono stati pubblicati Deserto solitario, Fuoco sulla Montagna e I sabotatori, contiene i temi cari al suo autore, un partigiano  della wildness cara a  Henry David Thoureau.