Il cinema di Fernandez si ispira appunto alla
particolare suggestione del paesaggio messicano e si avvale d’un repertorio
caratteristico di colore indigene. Diceva recentemente Figueroa ad amici romani
- e il suo discorso vale sicuramente anche per Fernandez - che egli non
potrebbe lavorare fuori del Messico, in un paese che non è il suo, in mezzo ad
una realtà che gli è estranea. E il fondamento della sua collaborazione con
Fernandez - diceva ancora Figueroa - è appunto nello stesso modo che entrambi
hanno di sentire il Messico.
Nella sua scoperta del paesaggio messicano Fernandez
ha tratto proficue indicazioni dalle esperienze compiute da artisti messicani
contemporanei attivi in altri generi, particolarmente dai pittori. Figueroa ha
dichiarato ad André Camp (1):
“Il nostro cinema è essenzialmente pittorico.
La scuola messicana di pittura, è la prima del mondo. Diego Rivera, Clemente
Orozco, David Alfaro Siquieros sono i maggiori pittori della loro generazione.
Essi hanno creato uno stile che esprime perfettamente l'anima e le aspirazioni
del paese. Per noi, la via era già tracciata: non avevamo che da tradurre in
immagini ciò che essi sviluppavano in quadri e affreschi”. I pittori messicani,
raccolti attorno al dottor Atl nell'Accademia di S. Carlos, fin dall’inizio del
secolo si ispirarono infatti, non senza intenzione polemica verso la cultura pittorica
europea, alla tradizione indigena.
Nella pittura del suo paese Fernandez trovò appunto,
già catalogato, tutto quel materiale illustrativo che egli andava cercando.
Molti spunti dei suoi soggetti erano già stati individuati dall’iconografia
della pittura messicana contemporanea. Il motivo di Enamorada, ci rinvia, per esempio, ad un quadro di Orozco “Le donne
dei soldati”, dipinto verso il 1928 e Maria
Candelaria fa subito pensare alle venditrici di fiori, così frequenti nei
quadri di Rivera.
Sappiamo inoltre che Fernandez e Figueroa
intrattengono stretti rapporti con i pittori messicani. Fernandez è amico
intimo di Diego Rivera, che egli venera come un maestro e cui sottopone, in
visione privata, i suoi film appena ultimati. Sappiamo anche che talvolta Figueroa
studia preventivamente assieme a Rivera il disegno delle sue inquadrature.
Alcune inquadrature di Maclovia sono
state integralmente dettate da Rivera. Rio
Escondido, nella versione originale, si apre con la visione degli affreschi
di Rivera nel palazzo del governo di Città del Messico (la sequenza è stata tolta,
naturalmente, nella versione nostrana, intitolata Il mostro di Rio Escondido, dal distributore italiano).
Va tuttavia rilevato che nonostante questi palesi
accostamenti, diciamo così, di genere, il cinema di Fernandez si distingue
dalla pittura messicana per un diverso stile figurativo. Mentre infatti la
pittura nonostante il suo assunto illustrativo, risente qua e là di stimoli
espressionistici, le immagini di Fernandez e di Figueroa non escono da un
romanticismo naturalistico. (continua)
(1) André Camp: “Aperçus sur le cinéma mexicain” in «La revue du cinéma,
n. 5, luglio 1948.
Franco Venturini in
BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -APRILE
1951
Nella foto il cinematographer Gabriel Figueroa con Emilio Fernandez sul set di Duelo en las montañas, 1950
Il complesso industriale della M.G.M. risiede in una
località che dista una decina di miglia da Hollywood: "Culver City", una città vera e
propria, il cui nome deriva da
quello di Harry Culver, un proprietario che nel lontano 1915, allo scopo di attrarre nella
zona - allora poco frequentata - la gente del cinema, ebbe la furberia di
offrire gratuitamente nientemeno che a Thomas H. Ince, uno dei maggiori pionieri del cinema
americano, un vasto appezzamento di terreno. Ince, che proprio in quel momento stava
per fondare unanuova casa di produzione ed aveva bisogno di uno studio più
vasto di quello di Santa Monica (che era
oltre tutto troppo distante da Los Angeles,
sua residenza abituale), accettò la proposta e dopo aver costruito quattro teatri diposa, inaugurò nel
marzo del 1915 la produzione della cosiddetta"Triangle " (nome derivato dalla forma del terreno occupato)con il film Civilization. Lavoravano in quel tempo per Ince alcuniattori già popolari: William S. Hart, Dorothy Dalton, Lew Cody,Billie Burke, Leo Carillo e Jean
Hersholt. Al fallimento della"Triangle", gli studios vennero occupati nell'estate del 1918 daun produttore di
New York, Samuel Goldwyn, il quale dopoquattro anni di fortunata attività, seguendo l'indirizzo generale
della produzione, volle tentare l'esperimento
del grande film
di prestigio, un film "colossale" sulla scia dei
mastodontici spettacoliitaliani di Guazzoni e Pastrone, già ripresi da Griffith e poida De Mille: la
riduzione cinematografica cioè del romanzo diLew Wallace, Ben Hur, che tanti guai
aveva già procurato alla"Kalem" quando nel 1907 ne aveva effettuato una versione inuna sola bobina e
in sedici quadri senza preoccuparsi di acquistarnei diritti. Goldwyn
si accinse all'impresa con
grande impegno:accaparratosi i
diritti di riduzione del
testo nel 1922, inviòin
Italia due registi, Charles Brabin e Christy Cabanne, lascenarista e
incaricata della supervisione June Mathis, e un atleticoattore già affermatosi in vari film, che avrebbe sostenuto ù ruolo del
protagonista, George Walsh. Ma i mezzi dei produttorenon risultarono
sufficienti, e l'impegnativa produzione venne interrotta,con una perdita di
oltre un milione di dollari. E' a questopunto che intervengono i nomi di Marcus Loew e di LouisB. Mayer, cui faceva capo una ditta costituitasi da qualche tempo,la "Metro Picture Corporation", i quali avevano
appuntointenzione di
acquistare gli studios di Culver City. (continua)
Fausto Montesanti
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE
Nella foto gli studios come si presentavano nella prima metà degli anni '50.
Infine, un'altra iniziativa
partita dalla stessa Hollywood ha contribuito all'eliminazione del western
B. Circa un dieci
anni fa i film western si potevano dividere in due categorie: quelli
grandiosi ed epici, e quelli d'ordinaria amministrazione, modesti, a buon mercato, senza categorie intermedie. Oggi invece,
siccome il genere western piace
sempre,
si è
creato a Hollywood, un qualcosa di mezzo tra il grande e il piccolo western, e precisamente "il nuovo westen B" che permette uno
spettacolo d'ottanta minuti, è in technicolor ed è interpretato da attori come
Sterling Hayden, Audie Murphy e Randolph Scott. Questi film costituiscono uno
spettacolo completo e hanno subito avuto una larghissima diffusione, e non si può
quindi dare tutti i torti al distributore se, dovendo scegliere tra un filmetto del genere di
quelli che si possono vedere alla televisione, e un altro invece che, con pochi
dollari di differenza, garantisce un buon colore, un eccellente interpretazione
e la durata di proiezione di un film normale, preferisce i nuovi western B.
La fine dei western
B era quindi questione di poco tempo ancora. Anche la Republic che si era specializzata
nei western musicali, conservò soltanto la serie del cow boy-cantante
Rex Allen.
Gli Allied Artists, già
Monogram, furono l'unica società cinematografica rimasta ancora sulla breccia. Ma il totale di
cinque westen per il
1954,
se paragonato ai 145 per anno di non molto tempo prima, è la dimostrazione più
evidente della crisi, anche se gli Allied Artists fecero tutto il possibile per
ridare ai western di seconda categoria la fama e il successo di una
volta.
Bitter
Creek, The FortyNine's e The Despeado
sono piccoli westen ma ben fatti nella linea della vecchia tradizione di
Bill Hart e di Tom Ince, con una trama non banale e un interesse mantenuto vivo
sino alla fine. Però, con l'assunzione di John Huston, William Wyler e Billy
Wilder, non soltanto come
registi ma anche in veste di consiglieri e, sotto sotto, di direttori di
produzione, si può star certi che i western B anche presso gli Allied
Artists, abbiano i giorni
contati.
Ciò non vuol dire
che i western B siano scomparsi per sempre e nel modo più assoluto: se
ne vedrà, ogni tanto, qualche apparizione. Per esempio, ci sono, produttori indipendenti come Edward Finney, Jack Schwarts,
Alex Gordon e John Carpenter, i quali contro ogni previsione hanno avuto recentemente
un buon successo con Buffalo Bm in Tomahawk Territory e con The
Lawless. Ma sono casi isolati, che non hanno importanza per la speranza di ripresa dei western B.
Per contro, anche
le ultime notizie confermano che la Universal, la Columbiae gli Allied Artistsin modo particolare, e le altre case cinematografiche con minore
ma sempre notevole impegno, stanno preparando il lancio su vasta scala dei "nuovi western
B",
quelli
cioè che non sono e non vogliono essere colossi né propriamente storici, e che
in sostanza conservano le caratteristiche del western minore, con
l'aggiunta però di una durata superiore di proiezione, di una tecnica più
raffinata e puntualizzata nel colore, e di un'accurata scelta di interpreti, tanto da
avvicinarsi piuttosto al western della categoria A. Si vede che
Hollywood ha saputo trarre qualche profitto, quel poco che c'era da imparare,
dalle edizioni più economiche e popolari dei western. Uno degli ultimi grandi
della Universal, Saskatchewan, ricorda molto quelli d'una volta. Nonostante gli
interpreti (Alan Ladd, Shelly Winters), il regista Raoul Walsh, che ai suoi tempi diresse film
passati alla storia del cinema ormai, come The Big Trail e The Dark
Command e l'appropriato commento musicale, può tuttavia fare una certa impressione
solo superficialmente. L'illusione di grandezza è data dalla suggestività dell'ambiente
e del colore, e da un illimitato numero di comparse. Ma a bene considerare, lascena madre, il pezzo forte,
mancano. Anche le scene che
dovrebbero riuscire più emozionanti sono state riprese da lontano, in campi
lunghi, con la macchina
ferma. Infine, in tutto il film, c'è soltanto una scena che si svolge in interni. Quando Alan Ladd
entra sotto la tenda, la macchina da presa rimane fuori; quando Shelly Winters si
ritira nella sua stanza, la macchina da presa si limita a inquadrare dall'esterno
la finestra, e basta. I vecchi maestri del westen,Sam Newfield,
Leslie Selander,Lambert Hillyer e altri ancora,hanno pur insegnato qualcosa, infatto d'economia,
con i loro poveriwestern, a buon mercato.
Perciò, se è vero
che i western della categoria superiore hannotalmente influito sui minori, daschiacciarne la produzione, è anchevero che i piccoli, i poveri western non sono passati
sullo schermosenza lasciare una traccia, unloro ricordo, che è
appunto quellasensazione di freschezza immediata,di vivacità,
di vita insomma,che, se ottenuta anche nei nuovi western, potrà
continuare, siapure con ben altre pretese, latradizione in
certo modo gloriosa,lo spirito, delle umili e ingenueleggende,
ormai, dei cavalieri spericolati,irruenti al grido, ch'eragià tutto un programma, di
"arrivanoi nostri!".
WILLIAM K. EVERSON
CINEMAquindicinale di
divulgazione cinematografica Volume XII Terza serie Anno VII – 1954 10-25 Dicembre
In apertura: George
O'Brien e Marguerite Churchill nel film di Hamilton MacFadden L'amazzone mascherata (Riders of the Purple Sage). Sotto: Irene Dunne e Richard Dix in Cimarron (I pionieri), 1931.