Questa che segue è una delle prime pubblicazioni, come critico
cinematografico, di Sandro Anastasi, meglio noto come docente di diritto del
lavoro. Per molti la sua garbata figura è legata, oltre che alla sua attività giornalistica,
ad un momento irripetibile della cultura cinematografica messinese, gli anni sessanta/settanta
del Festival Cinematografico di Messina e Taormina, stagione che egli portò
avanti dapprima con la Settimana del
Filmnuovo all’interno del Festival
delle Nazioni e successivamente con l’esordio di Taormina Arte.
Oggi a sollevare le sue riserve al film di Sergio Leone ci
hanno pensato il tempo intercorso dalla prima apparizione e le innumerevoli
edizioni del film: dal 16 mm della Sanpaolo Film alle ultime edizioni in
digitale.
LE PRIME DEL CINEMA
C’era una volta il West
Sergio Leone, antesignano del «western all'italiana››, si è
impaniato in una narrazione complessa, involuta, sproporzionata e, se vogliamo,
narcisistica: con «C'era una volta il West», infatti, il regista italiano si
dilunga in uno spettacolo che si protrae per tre ore, nel
quale si diluiscono (fino a scomparire)
i dati positivi della sua fatica, senza che, peraltro, emerga la
impronta decisa dell'opera di valore.
Con film quali «Per
un pugno di dollari» e «Per qualche dollaro in più» l'ex ciacchista di Soldati
ha portato una ventata innovatrice nel genere western. Superati i moduli consolidati
dalla tradizione hollywoodiana, Leone è riuscito a realizzare lavori
stringenti, decisi, aggressivi, in una parola adeguati ai tempi, nel rifiuto di una vieta retorica
manieristica. Non si è trattato di opere d'arte, ma a Leone va ascritto,
comunque il merito di questa sua
sostanziale e comprovata capacità di superamento dello schematismo, in un
coraggioso(e riuscito) tentativo di modernizzare un parametro in sé
cristallizzato dal tempo. Questo suo slancio iniziale, tuttavia, si è andato
scemando; e la verifica che viene offerta da <<C'era una volta il West»,
trova riscontro, (a ben guardare) già ne «Il buono, il brutto, il cattivo››.
In realtà il limite di Leone (non sembri un controsenso) ci
appare quello di aver tentato (specie in questa ultima fase del suo impegno
cinematografico) di superare se stesso, rinunciando alla sua vocazione originaria e originale e, quindi, alla sua genuinità.
«C'era una volta il West», mentre si propone intenti di
analisi psicologiche, non regge al proposito; mentre nasce come western,
firmato da Sergio Leone (e ormai... «noblesse oblige»), si appesantisce involvendosi
in un ritmo, esasperatamente lento; mentre propone un tema narrativo, si
dissolve in piani diversi, che frazionano quella che dovrebbe essere la
sostanziale unitarietà della vicenda. In definitiva le cose buone, pur presenti
in questo film, vengono sommerse o non sono adeguatamente valorizzate,
disperdendosi nel complesso magmatico di situazioni,fatti e figure
rappresentati. Inoltre il tessuto connettivo del filmmostra l’usura delle
vicende, in fondo piuttosto comuni e ricorrenti nell’epica del western.
Ci troviamo, infatti, di fronte a due temi fondamentali,
dalle reciproche implicazioni: l’ansia dei cattivi di appropriarsi dei terreni,
il cui valore è destinato a salire in vista del giungere della ferrovia, e il
desiderio di un soggetto, «Armonica», di vendicare la morte del fratello.
Naturalmente il regista, che in effetti conosce il mestiere,
sfrutta lino in fondo le possibilità offerte da questi spunti; ne nasce un
intreccio elaborato che si sviluppa, giungendo infine ad una inevitabile
conclusione.
Ma vediamo, un pò più dettagliatamente la trama dei
soggettisti Argento e Bertolucci, avendo
cura di ricordare che in questa sede non è possibile precisare i diversi
passaggi filmici.
La vicenda è ambientata nella seconda metà del XIX secolo;
una donna deve difendersi dalle mire di un individuo senza scrupoli, che vuole
appropriarsi delle terre altrui, con evidenti intenti speculativi. Alla
poveraccia, rimasta sola perché il marito (che l’ha sposata in seconde nozze,
consentendole di rifarsi una vita) è stato ammazzato da un fuorilegge non mancherebbero le protezioni, però non del
tutto disinteressate. A sistemare la situazione ed a punire il cattivo,
sopraggiungono finalmente due strani figuri, dei quali uno è <<
Armonica», cosi trasparentemente battezzato perché suona sempre un'armonica a
bocca. Giustizia sarà fatta; molti moriranno e <<Armonica›>, per di
più potrà vendicare l’impiccagione del fratello, al quale - dopo la morte - era stata messa in bocca
proprio un'armonica.
Come traspare da questi brevi cenni, relativi alla storia
sviluppata in «C'era una volta il West», l’aspirazione di perfezionismo del
regista non trova riscontro nel fatto filmico. La confezione elaborata e poco spontanea, anche se elegante, non può
sanare le palesi deficienze di struttura e contenuto; in sintesi, Sergio Leone
può essere accusato di aver lavorato senza volgere lo sguardo al passato. In
vista di una, prospettiva, indimensionata, proponendosi obiettivi di ampio
respiro il regista ha reso opaco lo smalto che aveva caratterizzato sua m
migliore produzione senza acquisire gli elementi di una nuova, autonoma
vitalità narrativa
Gli interpreti, almeno per la maggior parte, hanno sostenuto
il peso di un lavoro che, su questo piano, può essere ritenuto più che
soddisfacente. Ottimo Henry Fonda, alle cui indubbie capacità si accoppia un apprezzabile senso di misura; gli specialisti (Charles
Bronson, Jason Robards, Frank Woolf e Woody Stroode) hanno lavorato con
inusitata sobrietà, mentre Gabriele Ferzetti e Paolo Stoppa sono incisivi
quanto basta. Claudia Cardinale, invece, ci sembra legata ad un cliché dal
quale - a nostro avviso - riesce a svincolarsi solo in qualche momento e con
molto sforzo.
Sandro Anastasi
GAZZETTA DEL SUD, Sabato 28 dicembre 1968
Il prof. Sandro Anastasi alla destra di Roger Corman
a lui è dedicata questa che è ormai la più riuscita cover del celebre tema musicale