Howard Hughes gira dei film che, sfruttando lo stimolo dell'avventura
esaltano la volontà e il coraggio (Scarface,
Only angels have wings). I suoi personaggi
sono semplicemente degli uomini e non possono trascendere una realtà opprimente
e categorica che determina i loro pensieri e le loro azioni. Così fu per Red River (1948) che, partendo dallo studio
di un tipico allevatore del Texas sviluppò questo tema sino a diventare il film
tipo dell'epopea bovina sulle piste del Sud-Ovest. Nel 1866 le mandrie del
Texas cominciarono le migrazioni periodiche verso il Nord. Il che significa che
Red River ci riporta in regioni ben
conosciute. Lungo il loro cammino nacquero le celebri «cowtons››, piene di
polvere, di Whisky e di giovani robusti che, dopo vigorose bevute, fanno due
chiacchiere con la pistola. Abilene, Dodge City, Denver, Ogallah, Santa Fe
nasceranno dalla predilezione delle mandrie per i pascoli che le circondano. Il
bestiame che aveva avuto sinora una parte di secondo piano nel Western, col film
di Hughes diventa protagonista con un ruolo pari per importanza a quello di
John Wayne che riveste i panni di Dowson.
François Timory ha scritto in L'Ecam français (22-8-49):
«Questo film ricostruisce l’ incerta epopea di quella mandria di uomini e di bestie guidati da un capo
volonteroso e ostinato che combatteva contro le avversità, i cataclismi, il deserto, le imboscate... Il capo
è spietato: ha una legge tutta sua che gli consente di punire con la morte o di
perdonare a seconda di ciò che gli detta il suo istinto primitivo ››.
Il film di Hawks, assai simile nel soggetto a The Overlanders * (l’odissea della
mandria lungo i mille chilometri di pista che deve percorrere), si differenzia
però da questo per l’importanza accordata all'elemento umano e, in particolare,
alla figura di Dowson, il capo. Dowson è uno Scarface della prateria: lo studio
del suo carattere è il tema principale di questa opera la cui forza rasenta l’orrore.
Può questa rudezza essere rimproverata al regista del film? Hawks ha mostrato
nelle opere precedenti tanta sincerità e tanto entusiasmo che non si può
incolpare il suo Red River di essere
frutto di pura fantasia. Egli ricerca un tipo d'uomo solido, sicuro di sé,
padrone del suo destino e lo mette a confronto con difficoltà che gli permetteranno
di superare sé stesso sia nel bene che nel male. Dowson non può sfuggire al
male, persuaso com'è di agire nell'interesse suo e dei suoi uomini, legati a
lui da un patto che garantisce loro cento dollari all'arrivo. Egli rappresenta un
tipo di uomo che fu proprio del West in quell'epoca.
Strano personaggio questo Dowson che cosparge il suo cammino
di orazioni funebri, sbrigative e stereotipate, per la pace eterna delle anime
dei suoi uomini da lui stesso uccisi. Fino a che punto in questi momenti è
sincero? Attribuire a un simile uomo un po' di fede potrebbe sorprendere,
eppure quando legge la Bibbia non è un ipocrita. Questo libro ebbe una parte importante
in quei luoghi maledetti, ma quel po' di interesse spirituale che poteva esercitare sugli uomini scompariva
di fronte alle esigenze materiali e vitali di una esistenza troppo spesso in pericolo. Dowson, questo «
self-made man ›› delle pianure non è che un campione, eccezionale fin che si
vuole, di questa umanità composita in cui, chi fosse incerto fra il bene e il
male, non poteva trovare un equilibrio se non sacrificando alternativamente
all'uno e all'altro. La legge del più forte ha prevalso nel West, questa è una
realtà che bisognerebbe ricordare una volta per tutte prima di criticare la
realtà degli eroi del Western.
Red River, valido
per l’umanità dei personaggi, «magistralmente ambientati», è impeccabile da un punto
di vista formale, e altrettanto valido per l'aspetto documentario. Non è
esagerato a questo proposito parlare di una vera iniziazione alle pratiche che
erano familiari al cow boy del «long drive ›› (1) : la partenza, la ricerca dei
guadi, dei luoghi dove accamparsi la notte, le ronde notturne degli uomini di
guardia (2), il timore degli uragani e tutte le alee di un viaggio tanto più
difficile e pericoloso quanto più desolate erano le regioni da attraversare. Da
questo film più che da The Overlanders,
possiamo farci un”idea dei disagi affrontati da quegli uomini e capire come la
loro esistenza giustificasse le burrascose vacanze nei saloon delle «città del
bestiame». Hughes raccogliendo una documentazione umana e reale sul West e
facendola rivivere con una intensità di cui ben pochi specialisti del « genere
›› sarebbero stati capaci, fece con Red River
un Western tipo di stile rigoroso. Evitando di cadere nell'oleografico, il suo
film raggiunse un valore uguale a quello raggiunto dalle migliori pellicole sul
West della frontiera.
(1) Lunghi percorsi. In questo caso la pista di Austin
(Texas) a Sedalia (Missouri) utilizzata fino al 1871 prima che venisse aperta la
famosa pista di Chisholm, più corta, Red River-Abilene, dove arrivava la
ferrovia.
(2) «Noi conducevamo una vita libera e coraggiosa col cavallo
e il fucile. Lavoravamo sotto il sole bruciante dell’estate quando le vaste
pianure tremolavano e vibravano per il calore, e conoscevamo l’avvilimento del
freddo quando cavalcavamo durante le notti di guardia intorno alla mandrie
riunita verso la fine di autunno... Ma sentivamo nelle nostre vene il palpito
della vita spericolata e cantavano in noi la gloria del lavoro e la gioia di
vivere» (Th. Roosevelt).
J. L. Rieupeyrout
e A. Bazin Il
western,
Cappelli editore 1957
Trad. Franco Calderoni
* Film inglese di Harry Watt del 1946 di ambientazione
australiana che riscosse un enorme successo nelle patrie d’origine.
Un fotografo, Sam. e sua moglie Susy, cieca, vengono casualmente
in possesso di una bambola il cui colpo è pieno di eroina. Tre delinquenti,
approfittando dell'assenza del marito, si presentano a Susy sotto le vesti di
un poliziotto, di un intimo amico di Sam, e di un uomo alla vana ricerca della moglie
scomparsa, cercando di
farsi consegnare la bambola.
Susy, però, non sa dove cercare il giocattolo e, nel
susseguirsi delle scene ella, con la sensibilità tipica dei ciechi, riesce a
rendersi conto dell'inganno. Ma purtroppo, ormai, è alla merce dei delinquenti
che, per evitare ogni e qualsiasi comunicazione con l'esterno, hanno anche
tagliato i fili del telefono. Ad un certo punto, Susy riesce a scovare la
bambola fatidica e a salvarsi momentaneamente dai malviventi, il più spietato dei
quali, eliminati i complici, tenta di sopraffarla. Susy approfitta di un attimo
di distrazione
del suo persecutore per eliminare qualsiasi fonte di luce
nella casa. ln questo modo la cieca. Che è avvezza a muoversi nelle tenebre,
potrebbe avere la meglio sul suo cacciatore improvvisamente piombato nel buio.
L'uomo, però, si ricorda del frigorifero e, aprendolo, improvvisamente riesce
ad illuminare la scena. E' soltanto la forza della disperazione che permetterà
a Susy di sottrarsi all'assalto del criminale sino all'arrivo del marito e della
polizia.
A CURA DELL'UFFICIO PROPAGANDA E PUBBLICITÀ
15 NOVEMBRE 1961 -
PERSONAGGI ED
INTERPRETI
Susy AUDREY HEPBURN
Roat ALAN ARKIN
Mike RICHARD CRENNA
Sam EFREM ZIMBALIST, Jr
Carlino JACK WESTON
Lisa SAMANTHA JONES
Gloria JULIE HERROD
Shatner FRANK O'BRlEN
Il ragazzo GARY MORGAN
Le frasi di lancio
Durante gli ultimi 8 minuti di agghiacciante tensione voi
potrete chiudere gli occhi- per Susy sarà impossibile...
IMPORTANTISSIMO
Un segnale luminoso nell’atrio annuncerà l’inizio
degli ultimi 8 minuti di agghiacciante tensione durante i quali sarà
rigorosamente vietato l’ingresso in sala.
Alla
base del colore nel cinema c’era la Technicolor e il suo padre padrone era
Joseph Kalmus. Quando questi si unì a nozze con Natalie Mabelle Dunfee gli studi sulla percezione del colore,
la psicologia e la psicanalisi che stavano intorno catturarono lo spettatore
più refrattario con opere come E’ nata
una stella (1937) o Il mago di Oz
(1939) per citarne che pochi. In questi ed in molti altri lavori dietro la
sedia del direttore ci sarà la sedia Mrs.
Kalmus. Molti registi la riterranno una zarina e molti la odieranno, le sue
teorie anche digitalizzate resteranno eterne
Da varie testimonianze questo prossimamente per il film di Vittorio De Sica Il Giudizio Universale del 1961 risulta il primo lavoro di Iginio Lardani: grandioso,inconfondibile, umoristico, divertente,indimenticabile, zavattiniano, imprevedibile, originale, per citare le didascalie.