giovedì 13 febbraio 2014

C'era una volta in Calabria


Con tutti i difetti che derivano dalla sceneggiatura, dello stesso regista, e dai tagli subiti nelle corso delle prime proiezioni, in origine superava le tre ore abbondanti, rimane ancora oggi il film più importante girato in Calabria. I temi che affronta, il brigantaggio e le lotte contadine finite con l’occupazione delle terre, lo collocano tra le poche pellicole che affrontano il meridionalismo con ardore.
La storia riprende quella che fu del Musolino di Mario Camerini innestandola con le rivolte agrarie nel crotonese ed a Melissa in particolare, insanguinate da parte della celere statale che uccise tre poveri braccianti i cui nomi qui si vuole ricordare: Angelina Mauro, Francesco Nigro e Giovanni Zito.
L’opera rievoca quanto accadde nella Calabria  a partire dagli anni fascisti, anni di ruberie da parte di chi rappresentava il potere centrale a spese di chi lavorava la terra; al ritiro dei soldati tedeschi in fuga verso il nord; all’arrivo degli americani, che instillarono un barlume di speranza tra quanti subivano, inermi, lo strapotere dei latifondisti; sino al ritorno sotto nuove divise, questa volta bianche, degli stessi uomini con nuove promesse mai mantenute. Il film è una favola, in cui tutto resta uguale malgrado gli sforzi degli uomini ( Sergio Trasatti).
Oggi la pellicola ricorda i futuri Novecento di Bernardo Bertolucci, I cancelli del cielo di Michael Cimino e per certi aspetti della storia del ragazzo in crescita, spettatore di quanto accade, Malena di Giuseppe Tornatore.
Renato Castellani è saggio nel servirsi delle luci di Armando Nannuzzi, operatore Giuseppe Ruzzolini ; delle forbici di Jolanda Benvenuti e della partitura di Nino Rota che a tratti riecheggia quella composta per Il Padrino di Francis Ford Coppola dieci anni più tardi.
Il regista girando il film tra Santo Stefano d’Aspromonte ed il crotonese tenta di recuperare gli stilemi, ormai abbandonati, neorealisti, per l’uso che ne fa degli attori quasi tutti non professionisti: ora si menzionano Giovanni Basile, l’appuntato Fimiani, e Mario Jerard che interpreta Pataro, uomo di molte donne e di molti figli la cui storia era l’origine del film.
Ancora una volta, non si comprende bene perché, in un film di ambientazione squisitamente calabra, si fanno doppiare gli attori in ispanico-siciliano ,e, a livello più basso, si mette in bocca ad uno dei protagonisti maschili Ciuri ciuri, canzone sicula più che mai. Lasciamo da parte Calabrisella mia che in quanto a testo e musica sono quel che sono, che Mino Reitano era ancora un infante ed il Boss di là da venire con Bad Lands, ma a livello popolare qualche refrain verdiano doveva pur sempre serpeggiare. Cade così, infine, quell’adesione al neorealismo che abbiamo citato prima. Del resto Castellani era stato accusato, ai suoi tempi, di aver reso quel movimento cinematografico, di color rosa.


giovedì 23 gennaio 2014

Quando il giovane cede al vecchio


Uno scossone di natura tellurica ha sovvertito dalle fondamenta il comitato centrale del Cineforum “ Peppuccio Tornatore “ provocando lacerazioni e crisi di coscienza se non di identità. Una frattura insanabile ha diviso in due opposte rive quello che è stato il nucleo dirigenziale e come sempre i giovani hanno allontanato i vecchi. I vincitori per mezzo di un  comunicato molto reticente hanno annunciato che dalle ceneri ancora calde dell’ex Cineforum è nato il  Circolo di Cultura Cinematografica “ Yasujiro Ozu “. Ubaldino ancora ieri presidente del Cineforum,  sgomento, chiedendo asilo al vicino oratorio non ha voluto rilasciare nessuna dichiarazione. Caratozzoli dalla cellula del Partito dove stabilmente staziona ha affermato che una linfa nuova dilaga tra i suoi soci e collaboratori.
A questo punto c’è da chiedersi com’è che questi sedicenti giovani trascendano da Tornatore, simbolo in questi ultimi anni di un cinema esuberante e vigoroso , a Ozu eroe del cinema del passato e geograficamente lontano, solo recentemente scoperto alla visione occidentale!

mercoledì 18 dicembre 2013

a Messina Natale era il cinema

 Cinema Teatro Mastroeni 1910 - 1930
la via non è identificata




 Cinema Teatro Peloro 1932 - 1959
era in via dei Mille, ang. via Tommaso Cannizzaro


Cienema Teatro Savoia 1944 - 1970
era in via XXVII Luglio, ang. via Natoli

martedì 10 dicembre 2013

Yasujiro Ozu e il cinema italiano




Regia Yasujiro Ozu

Il cinema italiano (e non solo), ignaro, deve tutto a Yasujiro Ozu. Ben prima che De Sica, Rossellini e Zavattini formulassero il neorealismo Ozu aveva portato la cinepresa all’aria aperta delle campagna come della città; ben prima che Michelangelo Antonioni puntasse alla dissoluzione borghese Ozu aveva scarnificato la famiglia; Sergio Leone è Ozu con il tempo più dilatato.

Yasujiro Ozu è Edward Hopper in chiave zen.

martedì 19 novembre 2013

The true story of the bandit Mittiga


Il critico Johnny Carteri di Bovalino  su Calabria Forever,  che si pubblica a New York, ritiene poco probabile questa storia girata in anni in cui il neorealismo italiano trapassava in realismo di maniera. Noi non siamo d’accordo. Girato in un contrastato bianco e nero, la famosa Pancro  C. 7 della Ferrania, da Leonida Barboni alla fine convince più del precedente  Tacca del  lupo. Questa volta più che alle opere fordiane della frontiera la direzione di Germi si rifà a La via del tabacco ma soprattutto a Furore, con  Raf Vallone che molto bene sottolinea lo sradicamento del protagonista. Ferdinando diventa brigante perché destinato. Al destino danno una mano i notabili latifondisti ed i loro sgherri passati dalla parte del nuovo padrone piemontese. Ferdinando sceglie la tradizione non il progresso che risulta un voltafaccia, un rimescolare più che un rinnovamento a vantaggio delle classi più umili.
Gian Luigi Rondi sull’Osservatore Romano lo definì di propaganda populista mente Guido Aristarco sull’Unità lo bollò come nocivo per le lotte contadine della Calabria.

Da notare che un decennio dopo fu ricavato un  remake da Antonio Margheriti con Rick Battaglia nelle vesti di Ferdinando.

lunedì 18 novembre 2013

L'immaginazione al potere


Partner  Bernardo Bertolucci
   L’immaginazione al potere. Dire che si tratta di schizofrenia politica, cioè storicamente determinata, significa dire troppo poco. Solo a costo di una riduzione estrema la si può piegare a specchio della malattia dell’artista Bertolucci.

venerdì 15 novembre 2013

Briganti?

Il brigante di Tacca del Lupo (1952) non dovrebbe rientrare in questa retrospettiva dedicata ai film che trattano della Calabria. I riferimenti che le azioni danno collocano la vicenda nella Lucania, a Melfi, nell’estremo nord di quella regione, accanto alla provincia di Foggia.
La lavorazione, invece, per gli esteri, si svolse nel reggino: riconoscibile tra tutti la fiumara di S. Elia presso Melito Porto Salvo con Pentedattilo , il cui sfondo ricorre spesso anche da angolazioni diverse. Ma anche S. Stefano d’Aspromonte, paese natale di don Peppino Musolino e ancora le Rocche Prastarà di Montebello Ionico. Senza notare che in quegli anni non si badava alla filologia e nei film gli attori che interpretavano personaggi calabresi, lucani o pugliesi  venivano doppiati tutti col siculo-partenopeo.
Le vicende di briganti, ex borbonici, contro i nuovi arrivati piemontesi è comune a tutto il Regno delle due Sicilie. Vi passò don Peppino Garibaldi, e con lui vi passarono le speranze; tutto rimase come sotto Francesco II. Questo lo aveva anticipato e chiarito meglio di me don Fabrizio, principe di Salina, noto come il Gattopardo.
Si è detto molto sulla pellicola di Germi, il primo a vedere il sud italiano senza abbellimenti di sorta, spartano, come lo era il regista nella vita e nella professione. Si è detto del meridionalismo come dei riferimenti filmici cui il lavoro rende omaggio : John Ford ed i film con il seventh Cavalry; su tutti il più noto, quello che qui si riprende, Il massacro di Fort Apache (Fort Apache, 1948) interpretato da Henry Fonda e John Wayne, ambedue riveduti sotto la mano di Germi con i volti di Amedeo Nazzari e Fausto Tozzi.  Del resto il Regno delle due Siciliè è l’unico paese al mondo assieme all’ovest americano dove realtà, miti e leggende si confondono e impastano.
Non viene messa in luce, ancora oggi è così, nel film come nelle critiche ad esso rivolte, l’intera vicenda del brigantaggio come lotta dei poveri. Nell’opera di Germi, ed è quello che maggiormente dispiace e non convince, l’intero episodio è risolto con la vendetta-salvezza dell’onore coniugale che adombra il motivo per il ricongiungimento delle regioni italiane.
Forse il brigantaggio deve ricondursi alle lotte partigiane che scossero l’intero globo terrestre, dall’America del sud alla Russia, alla Cina e via col vento. Forse il brigantaggio deve essere associato al terrorismo che insanguinò ed insanguina le nazioni ed i terroristi manovrati ora da questo ora da quel governo, che se ne serve buttandoli infine in pasto ai tribunali se non vengono fatti tacere per sempre.
In Calabria dei briganti si servirono tutti, governanti e latifondisti, armando i poveri per difendere i loro interessi, per poi lasciarli ai boia. I poveri non si resero conto di niente, passarono di mano in mano, per essere sempre manovrati dai Borboni ai Piemontesi, dai bianchi (il papato) ai neri ai rossi, strumentalizzati per sempre. Così avvenne che il meridione italiano fu, con ingegno, fatto restare nell’arretratezza e sotto il giogo dei militari come della polizia di stato. Del resto questi signori in armi ( in questi ultimi tempi diplomati e laureati, senza contare le signorine )vengono dal proletariato e contro di esso mandati a soggiogarlo, come i bersaglieri nel film di Pietro Germi che erano contadini del nord scagliati contro i contadini del sud.