Con tutti i difetti che derivano dalla sceneggiatura, dello stesso
regista, e dai tagli subiti nelle corso delle prime proiezioni, in origine
superava le tre ore abbondanti, rimane ancora oggi il film più importante
girato in Calabria. I temi che affronta, il brigantaggio e le lotte contadine
finite con l’occupazione delle terre, lo collocano tra le poche pellicole che
affrontano il meridionalismo con ardore.
La storia riprende quella che fu del Musolino di Mario Camerini innestandola con le rivolte agrarie nel
crotonese ed a Melissa in particolare, insanguinate da parte della celere
statale che uccise tre poveri braccianti i cui nomi qui si vuole ricordare: Angelina
Mauro, Francesco Nigro e Giovanni Zito.
L’opera rievoca quanto accadde nella Calabria a partire dagli anni fascisti, anni di
ruberie da parte di chi rappresentava il potere centrale a spese di chi
lavorava la terra; al ritiro dei soldati tedeschi in fuga verso il nord; all’arrivo
degli americani, che instillarono un barlume di speranza tra quanti subivano,
inermi, lo strapotere dei latifondisti; sino al ritorno sotto nuove divise,
questa volta bianche, degli stessi uomini con nuove promesse mai mantenute. Il film è una favola, in cui tutto resta
uguale malgrado gli sforzi degli uomini ( Sergio Trasatti).
Oggi la pellicola ricorda i futuri Novecento
di Bernardo Bertolucci, I cancelli del
cielo di Michael Cimino e per certi aspetti della storia del ragazzo in
crescita, spettatore di quanto accade, Malena
di Giuseppe Tornatore.
Renato Castellani è saggio nel servirsi delle luci di Armando Nannuzzi,
operatore Giuseppe Ruzzolini ; delle forbici di Jolanda Benvenuti e della
partitura di Nino Rota che a tratti riecheggia quella composta per Il Padrino di Francis Ford Coppola dieci
anni più tardi.
Il regista girando il film tra Santo Stefano d’Aspromonte ed il
crotonese tenta di recuperare gli stilemi, ormai abbandonati, neorealisti, per
l’uso che ne fa degli attori quasi tutti non professionisti: ora si menzionano
Giovanni Basile, l’appuntato Fimiani, e Mario Jerard che interpreta Pataro,
uomo di molte donne e di molti figli la cui storia era l’origine del film.
Ancora una volta, non si comprende bene perché, in un film di
ambientazione squisitamente calabra, si fanno doppiare gli attori in
ispanico-siciliano ,e, a livello più basso, si mette in bocca ad uno dei
protagonisti maschili Ciuri ciuri,
canzone sicula più che mai. Lasciamo da parte Calabrisella mia che in quanto a testo e musica sono quel che sono,
che Mino Reitano era ancora un infante ed il Boss di là da venire con Bad Lands, ma a livello popolare qualche
refrain verdiano doveva pur sempre serpeggiare. Cade così, infine,
quell’adesione al neorealismo che abbiamo citato prima. Del resto Castellani
era stato accusato, ai suoi tempi, di aver reso quel movimento cinematografico,
di color rosa.