mercoledì 17 settembre 2014

La pietruzza e il buon Dio


“ Se sapessi a che cosa serve questa pietruzza sarei il buon Dio, che sa tutto, sa quando nasci, e sa quando muori. Questa pietruzza serve certamente a qualcosa. Se è inutile è inutile tutto il resto, persino le stelle “. Federico Fellini, La Strada

lunedì 15 settembre 2014

Tuco Benedicto Pacifico Juan María Ramírez


 7 dicembre 1915 – 24 giugno 2014


Quando devi sparare spara ... non discutere

Adios, Corbari

 OGGI


Ringo, Arizona o Corbari non è che un titolo per trovarci spettatori al cospetto di Giuliano Gemma, per una volta eroe della resistenza al nazi-fascismo. Valentino Orsini riprende il tema della lotta partigiana in chiave western all’italiana e non sbaglia, nelle intenzioni. Il felice esito finale, a suo tempo prodotto da Giuliani G. De Negri e distribuito dal Cidif, è deviato per colpa vuoi della sceneggiatura, vuoi, peggio, di Roberto Parpignani che coi tagli western si trova con una moviola non sua, e ben altrimenti più efficace con Bellocchio o Bertoluccci. Al suo posto gli Alabiso, Eugenio o Daniele, avrebbero fatto di meglio, come ad affiancare Valentino Orsini nella stesura della sceneggiatura ci voleva Luciano Vincenzoni o Sergio Donati. Ne viene fuori così un film singhiozzante che mette voglia di rifarlo se non fosse che Giuliano Gemma è passato ora nella parte degli angeli che mangiano fagioli.


mercoledì 16 luglio 2014

lunedì 7 luglio 2014

mercoledì 2 luglio 2014

Dopo il Neorealismo


La cosa che oggi mi pare più sorprendente nella produzione italiana è che essa sembra dover uscire dall’impasse estetica in cui si poteva credere che la tenesse il  “ neorealismo “.  Passata l’esplosione degli anni ’46 e ’47, si è potuto temere che questa utile e intelligente reazione contro l’estetica italiana della grande messa in scena e, d’altra parte, più in generale, contro l’estetismo tecnico di cui soffriva il cinema di tutto il mondo, non potesse andare oltre l’interesse di una sorta di super-documentario, o di reportage romanzati. Ci si è trovati a constatare  ch il successo di Roma città aperta, di Paisà, di Sciuscià era inseparabile da una certa congiuntura storica, che esso partecipava del senso stesso della Liberazione e che la loro tecnica era in qualche modo magnificata dal valore rivoluzionario del soggetto. Come certi libri di Malraux o di Hemingway trovano in una sorta di cristallizzazione dello stile giornalistico la forma di un racconto più appropriato alla tragedia dell’attualità, così i film di Rossellini o di De Sica dovevano solo ad un accordo accidentale della forma e della materia il fatto di essere delle opere maggiori, dei “ capolavori “. Ma una volta che la novità ma soprattutto il pimento di questa crudezza tecnica hanno esaurito il loro effetto sorpresa, che resta del “ neorealismo “ italiano, quando deve per forza di cose tornare a soggetti tradizionali: polizieschi, psicologici o anche di costume?  Passi ancora per la macchina da presa per le strade, ma la splendida interpretazione non professionale non si condanna da sola a mano a mano che le rivelazioni vanno ad ingrossare le file delle vedette internazionali? E per generalizzare questo pessimismo estetico: il “ realismo “ non può avere in arte che una posizione dialettica, è più una reazione che una verità- Resta da integrarlo in seguito all’estetica che sarà, così, venuto a verificare. Gli italiano non erano del resto gli ultimi a dir male del loro “ neorealismo “.   Credo che non ci sia un regista italiano compresi i più“ neorealisti “, che non assicuri energicamente che bisogna uscirne.
Così il critico francese si sente preso da scrupoli – tanto più che il famoso neorealismo ha dato ben presto segni di visibile stanchezza. Delle commedie, per altro abbastanza divertenti, sono venute a smerciare con una visibile facilità la formula di Quattro passi fra le nuvole o di Vivere in pace. Ma la cosa peggiore di tutte è statala comparsa di una sorta di super-produzione “ neorealista “ in cui la ricerca della cornice vera, dell’azione di costume, della pittura di un ambiente popolare, degli sfondi “ sociali “ diventava un luogo comune accademico. Cosi quest’anno, a Venezia, Patto col diavolo di Luigi Chiarini, cupo melodramma di amore campagnolo, cercava visibilmente di trovare in una storia di conflitto tra pastori e boscaioli un alibi secondo il gusto del momento. Per quanto riuscito da altri punti di vista, In nome della legge, che gli italiani hanno tentato di spingere avanti a Knokke-le-Zoute, non sfugge affatto agli stessi rimproveri. Si noterà di passaggio, con questi due esempi, che il neorealismo punta adesso sul problema rurale, forse per prudenza verso i successi del neorealismo urbano. Alle “ città aperte “ succedono le campagne chiuse.
Cominciavamo già a volgerci verso l’Inghilterra, la cui rinascita cinematografica è anch’essa in parte frutto del realismo: quello della scola documentaristica che, prima e durante la guerra, aveva approfondito le risorse offerte dalle realtà sociali e tecniche. E’ probabile che un film come Breve incontro sarebbe stato impossibile senza il lavoro decennale di Grierson, Cavalcanti o Rotha. Ma gli inglesi, invece di rompere con la tecnica e la storia del cinema europeo e americano, hanno saputo integrare all’estetismo più raffinato le acquisizioni di un certo realismo. Niente di più costruito, di più concentrato, di Breve incontro, niente di meno concepibile senza le risorse più moderne del teatro di posa, senza attori abili e consumati; si può immaginare tuttavia pittura più realistica dei costumi e della psicologia inglese?
Breve incontro fece allora quasi altrettanta impressione di Roma città aperta. Il tempo si è incaricato di mostrare quale dei due avrebbe avuto un avvenire cinematografico vero. Peraltro il film di Noel Coward e David Lean non doveva granché alla scuola documentaristica di Grierson.

I miei dubbi sul cinema italiano non sono andati tanto in là …. Ma c’è Ladri di biciclette.
Infatti con Ladri di biciclette De Sica ce l’ha fatta ad uscire dall’impasse, giustificare di nuovo tutta l’estetica del neorealismo.

Il neorealismo e il post-neorealismo.
Il cinema italiano secondo André Bazin, op. cit.















lunedì 30 giugno 2014

Capri 17 maggio 1963 ore 17,00

OGGI
al Circolo di Cultura Cinematografica " Yasujiro Ozu "
    



Nella primavera del 1963 Jean-Luc Godard sbarca a Capri per  girarvi, set villa Malapartre, Le mepris. Non era solo, non lo poteva mai essere,  avendo scelta come protagonista del film Brigitte Bardot. Neanche lei era sola, si portava dietro un codazzo lungo quanto la distanza che c’è tra Capri e Napoli di paparazzi. Esseri molto avventurosi e intraprendenti di fotografi il cui soprannome fu regalato  loro da Federico Fellini. I protagonisti di questo documentario di Jacques Rozier sono loro e i teleobiettivi delle macchine fotografiche a tracolla  che cercavano di rubare una posa inedita, quanto sconcia, alla bella Brigitte. Le guardie cercavano invano di tenere a bada i caparbi  rubapose, essi saltavano da tutte le parti, dal mare o come capre dalle rocce capresi. Forse quello fu il momento più alto vissuto da questa categoria di artisti finiti a rubare immagini anche ai più insignificanti divi televisivi per copertine di giornali spazzatura che finiscono sui tavolini delle sale d’attesa di medici e assicuratori. Nel documentario Rozier monta con gusto nouvelle vague, alle musiche di Antoine Duhamel e alla voce di Michel Piccoli, immagini di copertine di riviste con fotogrammi frammentati della Bardot, ricreandone un mito ad libitum.

·         Regia,Montaggio e Testo: Jacques Rozier . Voce: Michel PiccoliJean Lescot et Davide Tonelli
·         Assistente regia : Michel S. Cavillon, Hubert Watrinet -Musica : Antoine Duhamel
·         Photographie : Maurice Perrimond
·         Suono : Jean Baronnet - Mixage son : Louis Perrin