Il primo film sonorizzato
Nel 1927 anche Robert Flaherty, dopo il successo di
Moana (
L'ultimo Eden, 1925) venne scritturato dalla M.G.M.: a Culver City egli si occupò fra l'altro di cinema a colori, ma venne infine inviato nuovamente nei Mari del Sud per iniziare, le riprese di un film assai impegnativo, intitolato
White Shadows in the South Seas (
Ombre bianche, 1928). Secondo le intenzioni dei dirigenti della casa, il film non doveva essere soltanto una replica di
Moana, bensì un vero e proprio film a soggetto, ispirato addirittura a un romanzo di Frederick O' Brien. In seguito a disaccordi col grande documentarista, il quale certo mal si adattava a realizzare un film sulla ferrea traccia di uno scenario prestabilito, la parte "romanzata" - cioè a dire l'intero film - venne a un certo punto affidata a un giovane, W. S. Van Dyke, che aveva già una lunga esperienza (con una trentina di films) specie nel genere western e nelle riprese all'aria aperta. Nonostante tutto, il risultato finale fu dei più felici, e la dissetante purezza dei paesaggi rivelati dalle magistrali riprese già effettuate da Flaherty, servi da suggestiva cornice a una storia semplice e abbastanza credibile, per quanto a tratti convenzionale: un dottore bianco (l'attore Monte Blue), unico superstite di una nave il cui equipaggio era stato distrutto dalla peste, sbarcato in un’isola ancora incontaminata, a contatto con la vita primitiva degli indigeni e per amore di una polinesiana (truccata - ahimè - come una diva di Hollywood: la messicana Raquel Torres, riusciva a dimenticare temporaneamente i suoi vizi (l'alcool, in primo luogo), ritrovando a poco a poco la gioia di vivere. Alla fine, però, il ricordo del passato aveva il sopravvento, ed egli con un falò richiamava l'attenzione di un veliero, aprendo in tal modo le porte del paradiso, fino a quel momento ·ignorato dai bianchi, alla civiltà e al male: dinanzi all'angoscia della sposina indigena, egli veniva assalito da tardivi rimorsi, e trovava la morte nel tentativo di respingere i trafficanti, i quali invece finivano per installare nell'isola un cabaret. Ombre bianche fu in sostanza uno dei tentativi più riusciti di documentario romanzato: dalla sua equivoca impostazione resa allora ancora accettabile, oltre che dalla preziosa presenza di Flaherty, anche dal fatto che tutte le riprese vennero effettivamente girate sul posto (senza alcuna ricostruzione ad Hollywood), deriverà in seguito purtroppo l'interminabile serie delle "evasioni" polinesiane, che da quel momento cominciarono periodicamente a imperversare (al di fuori di tal nefasta influenza rimarrà tuttavia il capolavoro di Murnau,
Tabu, 1931, cui come è noto lo stesso Flaberty collaborò). Al successo di Ombre bianche nel mondo contribuì infine notevolmente l'avvento del sonoro: il film venne infatti distribuito – secondo la consuetudine del periodo "del trapasso" - con una piacevolmente orecchiabile colonna sonora, i cui temi musicali – penetranti e sentimentali - rimasero a lungo impressi nel ricordo del pubblico. Comunque il ·film di Flaherty e Van Dyke deve essere senz'altro considerato l'ultimo grande film prodotto dalla M.G.M., interamente concepito come un film silenzioso. Ma il parlato è ormai alle porte: e, facendo buon viso a cattivo gioco anche la Metro Goldwyn Mayer incomincerà presto a produrre i suoi "All Talking" (i famosi parlati "al cento per cento") mentre il "Leone" di Howard Dietz, con grande spasso del pubblico, farà udire, d'ora in poi, il suo fonogenico ruggito.
FINE
Fausto Montesanti
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE
In apertura Raquel Torres e W. S. Van Dike sul set di
Ombre bianche (White Shadows in the South Seas) del 1928.