mercoledì 9 giugno 2021

Roger Corman 1985 Sicily Tour

Taormina Hotel San Domenico
with Sandro Anastasi

Messina Cinema Savio


 

lunedì 7 giugno 2021

Corrado Alvaro in URSS




 

IL PUBBLICO SOVIETICO
 

NOI siamo soliti considerare il film russo sulla misura di quelli veduti a Venezia, a Parigi, nelle Ambasciate Sovietiche: La corazzata Potemkine, La madre, Le notti di San Pietroburgo, La tempesta, Ciapaiev.
Ma sarebbe strano che proprio il cinema sovietico non avesse la sua volgarità, i suoi luoghi comuni, la sua convenzionalità, per quanto in un altro senso da quello del cinema occidentale. Bisogna dire subito che il cinema, nell'URSS, non gode della stessa fortuna che ha in Occidente; che il pubblico sovietico preferisce il teatro, essendo il teatro meglio adatto al suo gusto dello spettacolo, alla sua tendenza verso il prolisso, al suo piacere di ascoltare la parola, la frase, il discorso, la concione: infine, alla sua naturale tendenza ai lunghi discorsi. Difatti, i film sovietici sono lunghi e pausati, e se ci si provasse a doppiarli, si incontrerebbero difficoltà di nuovo genere, appunto per l'abbondanza e la lentezza del dialogo. Il pubblico sovietico ha ancora il gusto della letteratura e dell'attore: vuol vedere il suo attore da tutte le parti, come vuol sentirne il discorso in tutto il suo giro. Da ciò la tecnica della recitazione russa, in cui l'attore indugia negli atteggiamenti e pesa molto sugli effetti; e quel gusto particolare verso la commedia dell'arte che hanno ancora i russi, e con la lentezza che per forza porta l'improvvisazione o la calcolata improvvisazione. Questo atteggiamento del pubblico sovietico proviene sia dalla vecchia tradizione dello spettacolo russo, sia dalla nuova elementarità sua. È un pubblico semplice e in qualche modo primitivo. Gli attori vi sono quasi sempre eccellenti, se non altro per la loro diligenza. Non hanno paura di sembrare abietti in una parte abietta. Non cercano la simpatia umana altro che nel loro ruolo. E si sa che, in genere, per attori di scarsa qualità, voler essere simpatici a ogni costo al pubblico è una delle cause delle interpretazioni generiche e della decadenza del teatro. La simpatia nelle arti va acquistata facendo veramente l'arte. E noi conosciamo attori che, nelle parti ingrate, hanno l'aria di fare intendere: «Io non c'entro niente, queste cose non mi piacciono; sono stramberie dell'autore; ma io sono il vostro simpatico e affezionato attore Ipsilonne».
Non so a che punto sia oggi la produzione del cinema sovietico. Parlo di cose osservate cinque anni fa. Ma se il campione maggiore della cinematografia sovietica è oggi il film su Pietro il Grande, è segno che essa si aggira tuttavia su soggetti storici, e con la preoccupazione di rivalutare una storia fino a ieri rinnegata e spregiata; è segno che la produzione minore, oggi come ieri, ha fatto pochi passi verso l'interpretazione del mondo attuale, con una non del tutto ingiustificata preoccupazione di evitare argomenti di vita quotidiana. Essa rappresenta, piuttosto, una vita ideale, quale dovrebbe essere o quale sarebbe augurabile che fosse.
E in questo non mi pare che differisca troppo dalla posizione della cinematografia occidentale, da cui però si stacca in tutto quello che riguarda l'erotismo e l'amore.
Il tema predominante della produzione sovietica corrente è sempre il solito: la prepotenza delle classi distrutte dalla rivoluzione; la donna è quella che più subisce la prepotenza e l'oltraggio; sono scene di provincia, georgiane e caucasiane, dove il pittoresco è più facile; si vede l'oppresso e l'oppressore; inde irae, e trionfo finale.
Uno dei motivi di quella cinematografia è l'odio di classe: delle classi distrutte, nei film storici, e dei nemici del popolo, nei film di vita attuale. Si ricorderà che nel film Verso la vita, tutti i vagabondi riscattati e rimessi all'onore del mondo lottavano contro i sabotatori. (Il film ebbe un tale successo, che i vagabondi, scesi da tre o quattro milioni ad appena tre o quattrocentomila, si moltiplicarono improvvisamente). A parte l'odio, che è il fermento più comune di tutte le opere d'arte sovietiche, quel pubblico ricerca nel film le medesime emozioni di ogni altro pubblico. Se la ragazza occidentale va al cinema per vedere un piccolo paradiso che le è negato nella vita quotidiana, un paradiso di successi senza sforzo, o di piccoli sforzi coronati da grandi fortune, la ragazza sovietica va a gustarsi lo spettacolo d'una felicità simile trasferita sul piano sociale: difatti, quando in un film sovietico è scoppiata la rivolta contro il vecchio padrone o proprietario o borghese, viene il paradiso della conquista dei piccoli beni che sono al sommo di una mente sovietica.
Gli spettatori più accaniti agli spettacoli nell'URSS sono le donne. Siccome la donna è più sensibile alle differenze sociali, e la più pronta e tesa ai mutamenti di condizione, e questo per molte ragioni, e per la possibilità che essa ha di mutare già col semplice fatto del matrimonio, le donne costituiscono il pubblico più vivace ed eccitato dello spettacolo sovietico. E come altrove si imita l'eroina del cinema, quanto a modi, a morale, ad aspirazioni, così si imitano nell'URSS gli atteggiamenti e la mentalità che fornisce lo spettacolo. Teatro o cinema concorrono a prospettare il tipo della cittadina e del cittadino che spregiano ogni forma di vita borghese, ma d'altra parte propongono il tema della nuova borghesia russa coi suoi ideali nuovi, che sarebbero quelli antichissimi: cioè di stare un po' meglio. Quello che in altri film è dato come benefizio improvviso del lavoro, o capriccio della ricchezza, nei film sovietici è dato come beneficio partorito dalla solidarietà collettiva della vita sociale.
Lo spirito sovietico si sta solidificando intorno alla creazione d'una classe media burocratizzata; è insomma il popolo che diventa piccola borghesia, o tende con tutte le sue forze a diventarlo, fenomeno non nuovo e, neppure questo soltanto russo. Bisogna considerare che il pubblico sovietico è composto per la maggior parte di gente venuta dalla provincia, e da province remote come possono essere quelle d'un continente che si stende sulla sesta parte del mondo. Si tratta, inoltre, di generazioni quasi interamente nuove, le quali, venute alla luce o per lo meno cresciute nel clima sovietico, sono abituate a considerare il vecchio mondo come un'accozzaglia di persone ricche e crudeli le quali tenevano sotto il giogo un popolo miserrimo e chiuso in una vita selvaggia come nell'interno della Mongolia o in Siberia. Questa nuova classe fa la scoperta dei benefizi della vita civile e in qualche modo solidale, dei comodi d'una vita servita dall'industrialismo, del diritto di vestirsi discretamente, di avere tutta gli stessi diritti. Crede in buona fede che questo sia una promessa nuova del suo assetto sociale e non immagina che altrove un tale patrimonio, più o meno grande, è già acquisito e perduto e riacquistato molte volte. Siccome poi, per forza di cose, una nuova borghesia si deve costituire, e cioè una nuova classe dirigente, un certo odio è accumulato verso questa inevitabile formazione. Grida e risa di trionfo accolgono da parte del pubblico ingenuo le vicende della conquista materiale del benessere nei film, come pressappoco da noi il pubblico saluta festante la giovane donna che riesce a farsi sposare dal milionario. Insomma, il materialismo dei film americani, trasferito su un altro piano, non differisce che nelle forme da quello sovietico.
Nel tempo del mio soggiorno laggiù, ebbi l'occasione rarissima di vedere il pubblico anche di fronte a un film occidentale. Fu a Mosca; si proiettava un vecchissimo film americano dei tempi del muto, intitolato La sciarpa. La vicenda, come succede spesso nell'arte occidentale che sottintende quasi sempre una critica del costume, poteva servire anche per le menti sovietiche, e con opportuni tagli era una testimonianza alla propaganda in vigore, nella lotta di classe alle nazioni capitaliste. (Mentre l'arte occidentale si può ridurre a una critica della società operante, quella sovietica si può definire come una critica a un mondo distrutto il cui fantasma domina ancora la fantasia dei superstiti). Si faceva la coda al botteghino; la sala era affollatissima: il pubblico femminile era avido di vedere i vestiti delle attrici, sia pure secondo la moda di dieci anni prima. Un altro film occidentale lo vidi a Baku, un pomeriggio, con oltre quaranta gradi all'ombra. Era un film ingiallito come un vecchio libro, e quasi incomprensibile. Non si vedeva altro che gente che liticava, veniva alle mani, si uccideva. Era di ambiente marinaro. Molti tagli lo avevano ridotto a un frenetico litigio di fantasmi. Nella sala c'erano una dozzina di persone. Tra il caldo e l'afa mi addormentai.
Il biglietto costava venti lire.
CORRADO ALVARO
CINEMA quindicinale di divulgazione cinematografica ANNO IV – 10 dicembre 1939 XVIII

giovedì 3 giugno 2021

CINE LUX play it again

Gli sparvieri dello stretto (Sea Devils)
Raoul Walsh, 1953

I fucilieri del Bengala (Bengal Brigade)
László Benedek, 1954


Il terrore dei gangster (Cry Vengeance)
Mark Stevens, 1954


Il Visconte di Bragelonne
Fernando Cerchio, 1955



 Johnny Guitar
Nicholas Ray, 1954

martedì 25 maggio 2021

Sperduti nel buio - A Drama in Nine Acts

 










Sperduti nel buio, Morgana Film 1914
Nino Martoglio director, editor
Roberto Bracco script
Luigi Romagnoli cinematograph
Giovanni Grasso, Virginia Balistreri, Dillo Lombardi, Maria Carmi, Ettore Mazzanti cast

domenica 16 maggio 2021

Lilia, Irasema & Carla: Violette nei capelli



Tratto dal romanzo omonimo di Luciana Peverelli, Violette nei capelli ha conservato tutta la fresca e tenere poesia che il titolo stesso promette. Mai più forseci sarà dato di vedere in uno stesso film un complesso così completo di gioventù, di grazia e di talento come è quello rappresentato da Lilia Silvi, Irasema Dilian e Carla del Poggio, le tre attrici più giovani e più celebri del nostro Cinema, tanto diverse per temperamento e personalità artistica, ma così vicine al cuore del pubblico che ha già imparato ad apprezzarle ed amarle! A questo trio di freschezza,
vanno aggiunti nomi non meno simpatici e cari come Roberto Villa, Carlo Campanini, Aristide Baghetti, Enzo Biliotti, la Giglio ecc. che completano degnamente la indovinata distribuzione artistica del film. Non bisogna dimenticare anche una brillante macchietta di Steno che fa una fugace per quanto divertente apparizione, oltre che l'Aiuto Regista del film insieme a Cattozzo*.
Violette nei capelli ha tutti i caratteri per essere veramente il successo dell'annata cinematografica: scene comiche e brillanti si alternano a quelle sentimentali e toccanti, di profonda umanità e sensibilità.
Dalla prima inquadratura, che ci presenta una stranissima situazione di Lilia Silvi, al finale, nuovo e commovente, lo spettatore è avvinto e interessato come poche volte lo è stato e lo sarà.
Il film è ora già montato e nei prossimi giorni passerà in programmazione nei principali cinema per la distribuzione della «Lux Film».

CINE-NOSTRO NOTIZIARIO DELLA FONO ROMA ANNO I  N.1 GENNAIO 1942-XX

Nelle immagini: al centro Irasema Dilian, Carla Del Poggio e Lilia Silvi, di seguito la sola Silvi. In apertura le tre attrici e Roberto Villa.

Violette nei capelli è un film di Carlo Ludovico Bragaglia; al film presero parte i futuri registi Stefano Vanzina, alias Steno e Marino Girolami ed il futuro montatore, nonché inventore di una diffusissima giuntatrice, Leo Catozzo (*altrove Cattozzo).

venerdì 14 maggio 2021

3 survival pandemic books





 JESSIE L. WESTON, FROM RITUAL TO RAMANCE (Indagine sul Santo Graal), 1920

SIR JAMES G. FRAZER, THE GOLDEN BOUGH (Il ramo d'oro), 1915

We are the hollow men
We are the stuffed men
Leaning together
Headpiece filled with straw. Alas!
Our dried voices, when
We whisper together
Are quiet and meaningless
As wind in dry grass
Or rats' feet over broken glass
In our dry cellar

THOMAS STEARNS ELIOT, THE HOLLOW MEN (Gli uomini vuoti), 1925

Francis F. CoppolaApocalypse Now, 1979


lunedì 10 maggio 2021

Michelangelo Antonioni: Why and for whom did Mr. Hays speak?



 I CUSTODI DELLA CIVILTA'

LA LEGGEREZZA e l'ingenuità con cui gli americani trattano e risolvono talvolta le più grosse questioni restano, e resteranno sempre per fortuna, fuori della logica europea. Ce ne giunge l'eco a quando a quando ed è come di fatti che ci spingono dapprima al sorriso e poi ci fanno meditare; perché tutto ciò che è fatto dai nostri simili di ogni latitudine e longitudine ha sempre fatto meditare gli europei. La qual cosa, se è sintomo di una superiore intelligenza o per lo meno di una più robusta preparazione intellettuale, è anche dimostrazione chiara e lampante di una maggiore serietà.
Pare invece che agli americani questa parola non susciti alcuna soggezione a giudicare appunto dalla leggerezza, dall'avventatezza, dalla vacuità di certe loro asserzioni. Tanto che ormai risulta perfettamente inutile esprimere giudizi, fare valutazioni, eccetera, troppo essendo diversa la nostra unità di misura dalla loro. Conviene limitarsi a constatazioni le quali molto spesso hanno tanta evidenza che si commentano da sé.
Cosi quando apprendiamo che il senatore Borah per impedire che fosse approvata dal Congresso una legge che lo seccava, ha preso a parlare all'apertura della sessione e, approfittando del fatto che nessuno aveva il diritto di togliergli la parola, ha continuato fino alla chiusura della sessione stessa, interrompendosi solo per mangiare e dormire, è superfluo fare considerazioni.
Ed è inutile lambiccarsi il cervello per tentare di capire gli americani quando accettano ascoltandole attentamente e in buona fede relazioni come quella pronunciata da Will H. Hays alla radio. Tre ore filate ha parlato Will H. Hays, Presidente dell'Associazione Produttori e Distributori della cinematografia americana. Evidentemente la situazione europea preoccupa i cinematografari d'oltreoceano se il loro capo si è preso tanto disturbo. Di che cosa sia fatta poi codesta preoccupazione vedremo in seguito; intanto riconosciamo che il discorso del Presidente può benissimo riassumersi in poche righe.
«Oggi — ha detto Will Hays — che il mondo è impazzito per la guerra, l'America rappresenta più che mai un grande ideale. Essa ha il dovere di custodire la civiltà politica culturale e spirituale della razza umana: per questo non può entrare in guerra. Donne e uomini di tutti i partiti politici devono compiere ogni sforzo per mantener il paese fuori della guerra, perché solo in tal modo noi potremo adempiere il nostro più grande dovere, quello di custodi della civiltà, della libertà umana e della pace. I rappresentanti del cinema americano faranno bene a ritenere questa la più grande delle loro responsabilità in tale momento».
Veramente, quale sia il compito specifico del cinema in rapporto alla situazione, Hays non dice; ma è facile intendere che anch'esso dovrebbe svolgere quella propaganda intesa a preservare l'America dalla guerra.
«Malgrado l’handicap della perdita di molti mercati — ha concluso Hays — l'industria cinematografica americana riuscirà nel suo intento».
Ora, questa potrebbe anche essere una bellissima chiacchierata se non avesse un difetto fondamentale: quello di non convincere. Hays prima di tutto, così parlando, dimostra di essere in mala fede. E stupisce com'egli pensi di darla a bere agli industriali del cinema americano, gente astuta e tutt'altro che moraleggiante. Ma forse codesti industriali sanno che il loro presidente ha indirizzato ad altri le sue parole. A loro aveva già parlato in precedenza. E forse in questi tempi ha ripreso un discorso cominciato nel settembre dello scorso anno, quando le cose politiche d'Europa cominciarono a ingarbugliarsi. Fin da allora Hays aveva chiamato a rapporto i pezzi grossi dell'industria cinematografica americana e li aveva esortati a tenersi pronti per qualsiasi evenienza. Il che significava — e Will Hays era stato chiarissimo, tanto che poco dopo poteva contare su scenari già pronti per essere girati, come li voleva lui — preparare pellicole adatte ai tempi. Viene la guerra? Produrre pellicole per la guerra. Non vi è momento migliore per invadere i mercati. Né è da credere che oggi Hays abbia parlato diversamente. Non ci immaginiamo i Fox, i Goldwyn o i Warner preoccupati di salvaguardare la pace prima del loro interesse finanziario.
Comunque, venga dall'alto il consiglio o no, un fatto è certo: che l'America sta preparando pellicole di guerra. Il che è logico. L'America ha sempre avuto in determinate circostanze un fiuto particolare che le ha permesso di volgere a suo favore il corso degli eventi. Così quando l'Inghilterra tentò di sfondare le barriere americane per farvi passare i propri film, Hollywood rispose con una serie di ottimi lavori esaltanti l'imperialismo britannico, grazie ai quali il tentativo andò a vuoto. Si ricordano IL CONQUISTATORE DELL’INDIA, I LANCERI DEL BENGALA, LA CARICA DEI SEICENTO e altri. Per cui non meraviglierebbe, domani, la notizia che un film di propaganda nazista sta per essere varato nei cantieri hollywoodiani, e questo dopo LE CONFESSIONI DI UNA SPIA NAZISTA. Oppure una pellicola sul valore polacco. Il torto sarebbe nostro a mostrare sorpresa, entrando un fatto di tal genere nella logica americana.
Ma allora, viene da chiedersi, perché e per chi ha parlato il signor Hays?
MICHELANGELO ANTONIONI
CINEMA, 1 ottobre 1939, XVII