James Foley a Taormina ( polaroid Mittiga)
Mimmo Addabbo - Lolli,Ubaldo Vinci, Gianni Parlagreco,Catalfamo,Fabris, Valentino,Margareci,Crimi,Fano e i Sigilli
domenica 30 settembre 2012
giovedì 27 settembre 2012
Ward Bond e il Duca
Con John Ford non si finisce mai di imparare. Quello spolverino indossato da Ward Bond sarà portato da Terence Hill ne Il Mio nome è Nessuno.
mercoledì 26 settembre 2012
Harvest ... FINE
L’amore per Sergio Leone si intensificò irrimediabilmente dopo la visione di Giù la testa al Garden.
Prima di questo film, il regista cercò in vari modi di realizzare C’era una volta in America con viaggi inconcludenti negli States - posso dire di aver seguito passo dopo passo la gestazione di questo capolavoro del tempo perduto -le sceneggiature si susseguivano con gli sceneggiatori: la prima versione che doveva essere prodotta da Alberto Grimaldi portava il nome di Norman Mailer ed era completamente diversa e prevedeva tutt’altri attori.
Agli inizi degli anni ottanta il progetto si concretizzò, gli sceneggiatori erano quelli giusti, il nuovo produttore era ansioso di lavorare con Leone e l’attore era l’ideale per quel copione. Riuscite a immaginare quell’opera senza l’attore di Taxi Driver e Il cacciatore ?. Robert De Niro si può annoverare con tutti i diritti tra gli sceneggiatori del film senza aver preso parte alla sua stesura.
Il film arrivò nelle sale italiane in autunno. Lo vidi per tre volte all’Aurora di Gianni Parlagreco, lui conosceva la mia idolatria per Leone, e dopo lo rividi ancora per tre volte in altre sale. Misurando la sua durata posso dire di aver speso una giornata di ventiquatt’ore per la sua visione.
Il cinema era morto e sepolto e C’era una volta in America il suo necrologio.
Nel luglio del 1985, a Taormina il sogno diverrà realtà: una sera al Tout va, su segnalazione di Carlo Fichera, proprietario con i fratelli del locale, dove mi recavo con Adolfo per delle video proiezioni, potei incontrare Sergio Leone. Emozionato, come davanti al Messia, al momento di lasciare il locale, vi era giunto con la famiglia; avvicinandomi, gli sussurrai “Maestro!” e lui con un leggero schiaffo sulla guancia destra mi impresse il sacramento della cresima che ancora non avevo avuto, con buona pace dello zio Ernesto, dicendomi: “ come va caro ?”.
La sera successiva, al Teatro Greco, l’emozione si rinnovò: sempre per Carlo Fichera, riuscii ad avere il pass di fotografo e stando sotto il palco potei avvicinare, la prima di una serie di volte, maestro Morricone, dove assieme a Leone, Tonino Delli Colli e Carlo Simi, doveva ritirare il Nastro d’Argento per quel capolavoro.
Ci saranno ancora molti film da vedere, non più nella prima fila, al centro della sala.
Accanto alla persona amata ero un’altro, che stava per diventare un altro ancora, diverso dal bambino che entrava al cinema Loreto come per andare in chiesa, pieno di aspettative su quanto avrebbe visto sullo schermo e uscendone, correva per le vie del paese per giocare al film visto.
Il cinema era l’immaterialità, era l’anima, l’amore e chi lo innescava mi hanno catapultato nella materialità della terra. Amore è la terra. Quella vaghezza delle immagini mosse che creava spiriti non esisteva più, oggi è ora, dove non esistono anime e non ne esisteranno. Domani saremo niente e niente rimarrà di noi, peggio, perché chiusi in una cassa di zinco non potremo scomporci, anche per l’immane ingestione di sostanze conservanti contenute nei cibi preconfezionati, e ritornare nuovi, come il film che arrivato alla fine, viene riportato, dal proiezionista, all’inizio di una nuova proiezione.
E’ stato bello sognare di sognare il sogno di Noodles.
Non ho smesso di andare a letto presto.
“Di notte gli anni tornano e si mettono
appollaiati attorno al mio letto”
Walker Percy L’uomo che andava al cinena
martedì 25 settembre 2012
Totò revival
OGGI
Negli anni '70 sbocciò il revival di Totò, riapparvero molte pellicole disseminate qui e la nei cinema, a volte da sole, a volte accoppiate ad altri film di tutt'altro genere 47 morto che parla lo vidi al Metropol di via Garibaldi con lo zio Peppino, fu lui che mi trasmise la passione per i film del comico napoletano, ma ne vidi anche all'Orfeo di via Nino Bixio, accoppiati a western all'italiana o a film bondiani ed infine al Don Orione, dove facevo la maschera, accanto a Fabris, Catalfamo e Margareci in cabina di proiezione. Quei film erano la gioia dei piccoli che diventati adulti non li scordarono.
lunedì 24 settembre 2012
Un militante
The Edge Robert Kramer
Quando Robert Kramer fa The Edge non compie nessun tipo di delega dal momento che nella vita egli è veramente come uno dei protagonisti del suo film: un militante.
domenica 23 settembre 2012
Strani incontri: Sergio Leone meets Robert Bresson
At times one finds parallels in the oddest of places. One such place was found quite by chance at the intersection of two films made by distinctly dissimilar filmmakers. One a grand master who is spoken of in hushed tones of reverence even by fellow filmmakers of note, Robert Bresson. And the other an accomplished breaker of genre convention and baroque stylist, acknowledged in some circles as a master in his own right, Sergio Leone. The point of intersection was a 13-week course I was teaching on film montage. With my syllabus all but filled I was still feeling remorse for not being able to at least schedule a few excerpts from Leone’s Spaghetti Western masterpiece, Once Upon a Time in the West (1968), which would have offered a fascinating alternative to the many other editing styles represented in the course. Since I could not fit in the entire three hour film I decided I would show the long opening scene, which begins pre-credit and then runs through the credits. I felt this would work well because the opening functions like a self-enclosed short film, with a clear beginning, middle and end. But I still had the problem of finding a film to program it with which would serve a heuristic purpose. After thinking through all the films on the syllabus my eyes settled instinctively on Bresson’s Pickpocket (1959), which was long scheduled into the course. Something about their mutual sparseness and elliptical cutting styles made them fit in my mind. I only realized just how well they fit –in both the complementary and contradictory sense– after watching them blocked together. Pickpocket, loosely based on Dostoevsky’s Crime and Punishment (1866), tells the story of a young, directionless man, Michel (Martin LaSalle), who briefly finds a sense of quite solace and accomplishment leading a life of petty crime. The decision to turn to thievery –pickpocketing– is introduced to us through a diary entry as if it were some form of a spiritual calling. In the famous opening scene at the race track –where Michel brazenly approaches a woman in a crowd from behind and tries to steal from her purse– Michel is caught by authorities, but is released after a brief interrogation for lack of evidence. From this point on Michel becomes a hunted man, continually being tracked, questioned, and challenged by the father figure/police detective in charge of his case (Jean Pélégri). To the point where Michel even leaves Paris for two years abroad (Milan, Rome, then London) in an attempt to escape the police’s trace. In one of Bresson’s most daringly provocative ellipsis’, the ‘two-year’ interlude is represented in one single, 23 second close-up shot of Michel writing in his diary, and then we see him back on the Paris train platform wearing the exact same black suit, shirt and tie that we saw him wearing when he left two years ago! (This elliptical gesture has its reverse parallel in the Once Upon a Time in the West excerpt, to be discussed later.) While hunted by the police, Michel’s sense of confinement –suggested constantly through the film’s mise en scène of Michel’s cramped, seedy apartment, the narrow corridors of his tenement, and his eventual prison cell– can also be seen as a ‘spiritual imprisonment,’ or in the least, an emotional sterility. I do not want to get into the well-traveled critical debates over Bresson’s status as a ‘Jansenist’ director, but will merely lay the platform for the comparative analysis to follow. A great body of criticism surrounding Bresson’s works position him thematically within the religion of Jansenism, a 17th century ascetic school of Catholicism which strayed from orthodox Church Catholicism in France by believing in the principles of Fate/Predestination and Grace: Jansen argued in favor of absolute Predestination, in which humans are perceived as incapable of doing good without God’s unsolicited grace and only a chosen few are believed to receive Salvation. [1]Hence in Jansenism the notion of humans having a free will to choose their destination is a sham, an illusion, for “Christ did not die for all, but only for those who are predestined to salvation.” [2] A person who feels they have done well by God or feel they have achieved salvation through their own will has in fact only ‘become’ free by picking the predetermined will of God. Although Pickpocket is by no means a case study of these Jansenist principles, there are elements in the film’s editing structure, mise en scène, and plot development which can certainly be read in light of them. For example, the film’s extensive use of pathways, portals and transitional spaces (staircases, corridors, doors, train platforms, elevators) are suggestive of the several life choices ahead for Michel, who appears indecisive in making them. Throughout the film we see Michel enter and exit numerous doors and, more tellingly, leave doors unlocked, ajar, or open. Not only do the doors and corridors symbolize Michel’s possible pathways in life, but his perplexing (and unrealistic) habit of leaving his apartment door ajar when he leaves for the day can only be made sense of in a metaphorical manner: a symbolic (or unconscious) fear of closing off possible life choices. This latter reading is given a fair amount of credence in one striking scene. Michel leaves his apartment and, as usual, leaves his front door unlocked and ajar. He begins to walk down the stairs but is stopped by something he sees off screen. The camera frames him in a medium long shot, with his eyes gazing intently in the direction of the bottom of the stairs. Where we would expect a cut to what he sees, the camera stays on him, until he looks down (as if in shame) and then back up. We finally cut to his point of view: a young man, a stranger, dramatically framed through the open front door of the building. He leaves frame left, but returns a few seconds later to return the gaze in Michel’s direction. The camera cuts back to Michel, still looking at the stranger, who then slowly turns and walks back up to his room to sit on the side of his bed in deep thought. Why does he decide to return to his apartment? A few seconds later his friend Jacques and Jeanne arrive unannounced. He intuits the reason for their presence: they want him to go see his dying mother. He refuses, an act which should make us feel antipathy toward him, but which strangely does not. They leave, as he soon does (leaving his front door open), to meet with the strange man seen moments earlier. He approaches him on the sidewalk and asks, “What is it? Who are you?” The man does not respond, but merely motions for him to follow, which Michel does. The whole playing of this scene –the night time setting, the silent yet provocative gazes, the body language– suggests a male pickup. From this point on Michel meets the other male pickpockets and joins their collective. His ‘initiation’ includes a quick study in the skills and techniques of the trade. On the manifest level this scene can be read as Michel deliberating between a life of crime and a life of normality, and in saying no to Jeanne and Jacques, opts for the life of crime. On the psyhso-sexual or ‘latent’ level, this scene can be read as Michel deliberating between a life of homosexuality or heterosexuality, opting (at least for the time being) for homosexuality by joining the all-male pickpocket cell. I’ll now move on to the comparative analysis part of this exercise. The comparisons I see between Pickpocket and the opening of Once Upon a Time in the West are both formal and thematic. In some cases the comparison is one of similarity, in other cases the comparison is one of parallel or contrast. In some cases the end result is the same, but the means used to achieve the effect or meaning is different. For example, in both cases the mise en scène renders the feel of containment/imprisonment, but in completely different ways. In Pickpocket Bresson frames Michel in tight, small spaces, like his tiny apartment, narrow corridors, staircases, and, ultimately, a prison cell. In the opening of Once Upon a Time in the West Leone suggests imprisonment by setting his characters against vast, open spaces, with large mountain ranges in the background of shots which shuts off the horizon. Leone also evokes imprisonment in other ways more similar to the methods used by Bresson, such as the moment where Jack Elam traps a fly in the barrel of his gun (with the sound of the buzzing fly magnified), the presence of a bird in a cage being taunted by one of the outlaws, a claustrophobic shot of the camera framed from the underside of an oncoming train, or the shot when the gunslingers are boxed in by foreground and background space when the train transporting the Harmonica Man arrives on the platform. Parallels and affinities between these two films (Pickpocket and the opening of Once Upon a Time in the West) also exist at the level of theme, subject, or action. To begin, the Western is the popular genre par excellence when it comes to religious symbolism and imagery, beginning as early as 1916 with William S. Hart’s Hell’s Hinges. Religious and Biblical stories and imagery abound in the Western: the return of the Prodigal son, Christ figures, redemption stories, the west as a ‘garden of Eden,’ etc. (See Irini Stamatopoulos’s essay in this issue.) In Pickpocket I discussed the possibility of reading Michel’s decisions concerning his pathways in life in terms of the Jansenist belief in Predestination. In this reading (though by no means exclusive) the “strange path” that Michel claims to have taken to arrive at Jeanne’s love is in fact one already chosen for him by God. This fits in with all the images of imprisonment, the open doors, and prescribed physical spaces (corridors, staircases) which in effect ‘lead’ Michel to Jeanne. Jeanne becomes the light which leads Michel along the path to his salvation. In a wholly different, yet parallel sense, the fate of the three gunslingers are also predestined: a gunfighter must live and die by the gun. As many westerns dealing with the ‘tired’ gunslinger motif have already articulated, death becomes the only means of escape from a life of constant showdowns and challenges. (The exemplary model here being Henry King’s The Gunfighter, 1950). Death embodies freedom. In this respect the Harmonica Man becomes the equivalent of Jeanne: the figure who leads the gunslingers to their salvation. Other parallels exist on a more superficial level. For example, in both cases the films feature all-male groups in a homosocial world –pickpockets and outlaws. In what could only be a fortuitous (for this comparison) fact, the two constant icons of the western genre –the horse and the ‘iron horse,’ the train– appear in Pickpocket. In the opening racetrack scene we hear the off-screen sounds of the horses running around the track, and in the later train station scenes when Michel leaves Paris to go abroad (and then returns) we see a train. Even the less constant but common western genre site of the prison cell appears in Pickpocket. As a general statement, one can say that both Pickpocket and Once Upon a Time in the West are ‘art films’ in the disguise of a popular genre (the crime film and the western). If anything, this analysis demonstrates how affinities can exist in the most unlikely of places, or, in another sense, that if one looks long and hard enough, similarities will begin to surface. My initial intuition of pairing these two films together was borne out by my class experience, with my students also seeing parallels on many different levels between the two films (on my prompting). Writing this has been an interesting exercise in ‘creative’ interpretation, renewing old viewing habits, and in cultivating the lateral thinking process; and perhaps it will encourage other film critics and writers to begin looking at films with a renewed perception and an open mind at ‘seeing’ through surface differences at strange affinities which may lurk below the threshold of critical orthodoxy. Endnotes
1 Jansenism. Accessed 02/26/07.
2 Catholic Forum. Accessed 02/26/07
3 This observation is made by James Quandt in his commentary track on the Criterion release of Pickpocket.
4 All quotes by Robert Bresson are taken from Notes on the Cinematographer. 1975 With an Introduction by J.M.G. Le Clézio. Translated from the French by Jonathan Griffin (London: Quartet Encounters, 1986).
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mercoledì 19 settembre 2012
Un femme douce
Un monologo sul tempo, un film del dopo tutto al presente (Giorgio Tinazzi).
Un film gelido (François Truffaut).
La prima idea che mise piede nella mia mente alla visione di Così bella, così dolce è stata: “ come è possibile che un film inserito nel catalogo della San Paolo Film possa contenere delle scene di nudo e non essere sforbiciato”. La risposta era ovvia, Robert Bresson è un regista cattolico e quindi può. La perplessità nasceva perché mi ricordavo di quando in collegio, durante la proiezione di Ursus nella valle dei leoni il prete protezionista metteva il dito sulle scollature della protagonista, anch’esso della San Paolo Film.
Dire che Robert Bresson è un regista cattolico è come dire che Clint Eastwood è di destra o Johann Sebastian Bach un luterano.
Rispetto al racconto di Dostoevskij, il film mi pare che tratti più benevolmente il marito, un meschino usuraio, che ripensa il rapporto con la giovane moglie suicida e nel suo egoismo quasi spinge oltre la finestra dopo averle negato la personalità.
Solo al momento dell’uscita di casa del corpo esanime si accorge della sua estrema solitudine che cercherà di alleviare trasponendo la sua vita in un diario.
"Immaginate un uomo, accanto al quale giace, stesa su di un tavolo, la moglie suicida, che qualche ora prima si è gettata dalla finestra. L'uomo è sgomento e ancora non gli è riuscito di raccogliere i propri pensieri...Ecco, parla da solo, si racconta la vicenda, la chiarisce a se stesso..." (F.Dostoevskij) lunedì 17 settembre 2012
Problemi?
Non esiste un problema così grosso da cui non si possa scappare a gambe levate. Snoopy,
citato da Nick Ray
domenica 16 settembre 2012
Sono scappato da tutto
OGGI
AL CINEFORUM PEPPUCCIO TORNATORE
Sono scappato da tutto. Da mia moglie. Dalla mia casa. Da un figlio adottato. Da un lavoro di successo. Da tutto eccetto le cattive abitudini di cui non riesco a liberarmi. (David Locke)
L’avventura e Deserto (rosso) sono due titoli che ci conducono dentro questo film antonioniano del 1975, la sua opera definitiva.
L’avventura è quella del doppio David - Locke e Robertson –, il deserto è quello reale, africano, e quello metaforico che circonda la vita quotidiana del reporter e del trafficante d’armi, che diverranno un’unica identità e con questa il David sopravvissuto abbraccerà volontariamente, senza grido, la morte.
Questo ultimo titolo del regista ferrarese ci riporta al suo particolare sguardo, fotografico, - arricchito nel finale da un piano-sequenza che dura otto minuti - di riprodurre il paesaggio: l’Emilia ne Il grido, la Sicilia ne L’avventura, l’ovest americano in Zabriskie Point, l’Africa e l’Almeria in questo Professione: reporter.
Un’ultima annotazione, come un ricordo: siamo nella metà degli anni ’70 e Jack Nicolson li sta cavalcando alla grande: L’ultima corvé, Chinatown, Qualcuno volò sul nido del cuculo per citarne alcuni.
La ragazza: Tutti i giorni sparisce qualcuno.
David Locke: Ogni volta che uno esce da una stanza.
David Locke: Ogni volta che uno esce da una stanza.
Qui sotto il piano sequenza citato
venerdì 14 settembre 2012
Livio Lorenzon must die
OGGI
Dario, Sira, Rezius, Rabirius, Itus, Vibio, Semanzio, Euclante, Xena.
Livius Livio Lorenzon su tutti, e ritorno bambino.
mercoledì 12 settembre 2012
Finale senza respiro
Ci sono sequenze finali e sequenze finali, quella del primo Jean Luc non finisce dal 1960, perché è incollata senza respiro sullo schermo.
lunedì 10 settembre 2012
Film maledetto
Je t’aime, je t’aime di Alain Resnais
continuerà ad essere accompagnato da bisbigli se non dal silenzio, come si conviene al film maledetto di un autore che tutti più o meno dichiarano di ammirare.
venerdì 7 settembre 2012
Bresson, il mite
Questa nuova retrospettiva dedicata al francese Robert Bresson comprende le sue opere tratte da due racconti brevi di Dostoevskij - La Mite e Le notti bianche - uno di Tolstoi – La cedola falsa o Denaro falso - e due romanzi – Diario di un curato di campagna e Mouchette - Georges Bernanos. Tutta questa letteratura è accomunata dalla nuova scrittura che ne fece con le immagini Bresson. A vederli con un gusto particolare che non a niente a che vedere con le immagini di un qualsiasi Cameron o Moretti, si potrebbero prendere per dei film muti, la parola conta poco rispetto ai dialoghi originali degli scrittori sopra citati. E’ cinema scarno, sobrio che ha affascinato due uomini diversi ome Anderj Tarkovskij e Paul Schrader.
Forse, certo, mi ripeto, ma devo aggiungere che oggi l’unico regista da accostare a Bresson è Clint Eastwood, lui solo riesce a fare una cinematografia morale.
mercoledì 5 settembre 2012
martedì 4 settembre 2012
La melodia e la mano sinistra
Quello che Nick sta cercando di dirti, giovanotto, è che la melodia è negli occhi, mentre le parole sono solo la mano sinistra
Nick Ray, op. cit.
lunedì 3 settembre 2012
Diabolicamente servo
OGGI
AL CINEFORUM PEPPUCCIO TORNATORE
In una invernale swinging London prima maniera, folgorata dalle luci di Douglas Slocombe e tinteggiata dalle musiche raffinatissime di John Dankworth si muovono ( mi viene da scrivere danzano) Dirk Bogarde, Jame Fox, Sarah Miles e Wendy Craig nella prima collaborazione tra Joseph Losey e Harold Pinter che è poi un adattamento di uno sconosciuto romanzo di Robin Maughan. La vicenda è a dir poco umana: la presa del potere di un servo contro il padrone. Questa esperienza servirà al grande Dirk per tratteggiare, dieci anni dopo, Il portiere di notte. In questo film si muove diabolicamente in un appartamento locato dal giovane, biondo, sessualmente ambiguo, e ricco Tony: ecco ancora una lettura diversa, il povero contro il ricco.
L’arma di cui si serve Hugo Barrett è la psicologia, con quella frantuma lo status, anche sociale, di Tony, avendone afferrata la natura debole e corrotta.
Non so con quali agganci accosto questo film a quelli successivi di Pier Paolo Pasolini, Teorema del 1968 e Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci del 1972, non credo però di prendere abbaglio.
Un ultima annotazione: Joseph Losey, assieme ad un altro eccellente immigrato, Stanley Kubrick, portò nel Regno Unito una ventata di rinnovamento in quella cinematografia, che sboccerà con le opere dei giovani del free cinema.
domenica 2 settembre 2012
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