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domenica 26 gennaio 2020

Emilio "el Indio" Fernandez - Leitmotiv



Questa disorganizzazione narrativa, questa gratuità dell'analisi filmica si ripercuotono su tutta l’impostazione del linguaggio di Fernandez, determinando incertezze stilistiche ed ingenuità sintattiche. Il montaggio di Fernandez è generalmente sconclusionato manca di una base cronologica. Si veda per esempio in Enamorada, la sequenza, potenzialmente stupenda, del coro dei fanciulli nella chiesa. Fernandez escogita lente carrellate sulle volte floreali della chiesa, con accompagnamento del coro: sarebbe bellissimo se alcuni inserti di attacco, non distruggessero, con la loro gratuita brevità, il ritmo della sequenza.  In genere il montaggio di Fernandez tende alle clausole lunghe, ad un ritmo lento, eccessivamente analitico, in linea col ritmo sfilacciato dell'impostazione, narrativa. Donde quel senso di lentezza sciropposa, di freddezza che è caratteristico di tanti film di Fernandez e che è stato unanimemente segnalato dalla critica. In questo ritmo lento si inseriscono poi, oltre a rigonfi dialogici, anche certe preziosità figurative, certe ricerche fotografiche talvolta fini a se stesse f che raggelano ulteriormente il tono del racconto. Questo calligrafismo fotografico (la cui responsabilità è indubbiamente condivisa per buona parte da Figueroa) è forse una delle caratteristiche più appariscenti del cinema di Fernandez e su di esso la critica si particolarmente accanita, traendone tuttavia deduzioni talvolta inesatte. Si è creduto infatti da parte di alcuni che la povertà ritmica di Fernandez e la sua debolezza narrativa derivino appunto da ricerche figurative, mentre secondo noi queste ricerche non rappresentano che il momento culminante e conseguente di una particolare ispirazione, di un particolare abito narrativo, effetto e non causa.
La fotografia di Figueroa è infatti, nel suo complesso e coi suoi limiti, sostanzialmente coerente all'assunto lirico e al temperamento elegiaco di Fernandez. E' una fotografia dolce, languida a volte, che usa volentieri del filtro, ricca di toni sfumati e sfrangiati, una fotografia edonistica che si adegua naturalmente ad un ritmo rilassato di racconto e di montaggio. A nostro avviso Figueroa è però un fenomeno più modesto di quanto generalmente si crede. La sua fotografia deriva da quello standard fotografico che gli americani e francesi hanno derivato, in moneta speciale, dall`espressionismo tedesco e che tende ad effetti chiaroscurali in funzione psicologica. Su questo standard Figueroa innesta poi, conformemente al suo temperamento romantico, ricerche cromatiche, ricorrendo specialmente ad effetti di filtro e di flou; ma sostanzialmente la sua fotografia non differisce molto, come impostazione, da quella d'un Gregg Toland o, se vogliamo, d'uno Schüítan. E ne è la prova The Fugitive in cui il plasticismo di John Ford assimila con tutta naturalezza la fotografia di Figueroa, proprio perché questa fotografia costituisce la naturale conclusione di certe ricerche che Ford aveva condotto con operatori americani. Fra Long Voyage Home, fotografia di Gregg Toland, e The Fugitive, fotografia di Figueroa, non c'è che una differenza di grado, non di direzione.
L'esperienza di Figueroa - che è caratterizzata da un'assoluta mancanza di autosuperamento - si svolge quindi nell'ambito di una maniera, sia pure vivificata da un'eccezionale bravura tecnica, ed è ben lontana dall'originalità inventiva, per citare a caso, d'un Maté o d'un Aldo o, con riferimento proprio al Messico, d'un Tissé. D'altronde è proprio la sua bravura tecnica, non sempre superata in poesia, che finisce talvolta per pesare come un artificio ('l'abuso del filtro, per esempio, o del panfocus).
Anche per Figueroa, del resto, può valere quanto si è detto per Fernandez e cioè che il suo temperamento lirico gli concede scarse attitudini di racconto; cosicché certi artifici e certe forzature (per esempio certi sterili effetti di panfocus) derivano non tanto da acribia fotografica, quanto dallo sforzo di adeguarsi ad esigenze narrative che gli rimangono estranee. La fotografia di Figueroa ci sembra insomma perfettamente coerente alla regia di Fernandez e tale da smentire certe insinuazioni della critica circa un preteso influsso negativo, in senso calligrafico, di Figueroa su Fernandez. Al contrario, ci sembra che le loro personalità siano perfettamente affini: ciò spiega il loro affiatamento divenuto ormai proverbiale.
Del resto tutta l’opera di Fernandez appare, dentro i suoi limiti e le sue incoerenze pregiudiziali, improntata ad una sostanziale coerenza di tutti i suoi elementi.
Anche la recitazione è in linea. E' una recitazione, improntata ad un naturalismo lirico, che raggiunge il suo acme in certi atteggiamenti elementari, in espressioni distese di stati d'animo e che scade invece nella retorica più vieta quando tenta schemi convulsi di azione e di psicologia.
Recitazione estremamente discontinua, che passa dalla pura bellezza dei primi piani di Maria Felix in Enamorada alle insopportabili contorsioni di Dolores del Rio in Las abandonadas. A Fernandez va tuttavia riconosciuto il merito di aver saputo plasmare nell'ambiente provinciale messicano, privo di una tradizione e di un insegnamento recitativi, un nucleo di ottimi attori: Pedro Armendariz, Maria Felix, Columba Dominguez, Maria Elena Marquez. Alcuni di essi si impongono oggi anche all'estero: Pedro Arrnendariz lavora a Hollywood e Columba Dominguez a Cinecittà.
Questi, a grandi linee, i motivi tipici del cinema di Emilio Fernandez: esso ci appare come una singolare avventura sbocciata all'intersezione di civiltà contrastanti e nutrita di esigenze diverse. C’è nella
sua opera una ricerca di cultura e di tecnica tesa ad un esito di istinto e viceversa un fondo primitivo che cerca di chiarirsi e di esprimersi in termini di cultura e di eccellenza tecnica. Da quest’antinomia  costitutiva della sua personalità deriva la contaminazione che Fernandez compie fra i dati genuini della sua ispirazione lirica e la metodica corrente del racconto cinematografico.
Esperienza contrastata quindi, quella di Fernandez, che sotto una apparente facilità di canto cela uno sforzo doloroso di chiarificazione e di maturazione. Esperienza sincera, sofferta.
E' a questa sincerità soprattutto che si affidano gli elementi di una conclusione critica su Fernandez. La sua opera nasce dall'esigenza d'un clima assoluto, umano e geografico, e ci porge la suggestione d'un paesaggio mitico, l’immagine d'una evasione di cui, già prima di Fernandez, S. ,M. Eisenstein e André Breton avevano sentito il richiamo. A questo richiamo ha risposto recentemente sia pure con scarsa sincerità John Ford in The Fugitive. Si accinge ora a rispondervi anche Luis Bunuel.
Nel quadro odierno della produzione cinematografica mondiale ciò che Fernandez ci ha dato finora rimane un'affermazione latente di poesia che, per esplicarsi in pieno, attende, da una parte, una più matura coscienza del proprio temperamento e, dall'altra, una condizione produttiva più propizia ad un libero esercizio d'ispirazione.
Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951

Nota Bibliografica
Per una bibliografia su Fernandez rimane ancora valida quella indicata per il cinema messicano da Mario Verdone in appendice al suo studio «Aspetti del cinema messicano» in «Bianco e Nero» aprile 1949. Ad essa è solo da aggiungere, ch'io sappia, la recensione di Massimo Mida su La Perla («Bianco e Nero ››, giugno 1949) e la già citata recensione di Glauco Viazzi su Enamorada, («Bianco e Nero , settembre 1949) i cui argomenti sono ripetuti anche in un altro scritto di Viazzi: «Il cinema nell'arte e nella vita messicana»  in «Ferrania» n. 7, 1949.
Tutti questi testi sono del genere da leggersi in treno. L'unico di essi che dia, sia pure sommariamente, un apporto concreto di critica è, al solito, quello di G. C. Castello («Infanzia precoce del cinema messicano» in «Cinema» n. s. n. 2, 10 novembre 1948). Dal punto di vista informativo ë interessante lo scritto di André Camp: « Apergus sur le cinéma mexicain ›› in «La Revue du cinéma» n. 15, luglio 1948. Chi volesse poi documentarsi sul clima culturale messicano in cui si è formato il cinema di Fernandez può consultare utilmente, prendendo però le dovute precauzioni, le corrispondenze dal Messico di André Bréton in «Minotaure», Parigi, annata 1939.

In apertura screenshot da The Fugitive, 1947 di John Ford

giovedì 16 gennaio 2020

Emilio "el Indio" Fernández - Flor silvestre

Un giudizio di valore sull'opera di Fernandez, oggi, non può non tener conto di questo peccato originale, di questa deviazione radicale subita dal suo lavoro. I segni autentici della sua personalità vanno perciò cercati in frammenti della sua opera, in qualche sequenza isolata (ve ne sono di bellissime) in cui egli si abbandona alla sua vena. Ecco allora in Enamorada la scena della serenata, sostenuta quasi per intero dal primo piano di Maria Felix, e nel finale la partenza notturna dell'esercito, i soldati che sfilano al rullo dei tamburi proiettando lunghe ombre sui muri delle case; ecco in Flor silvestre la fuga di Esperancia dalla casa dei banditi e l'esecuzione di Jose Luis; ecco in La perla la lotta a coltello sulla spiaggia; ecco in Maria Caldelaria le scene sul fiume, Maria che porta a vendere i fiori ed è respinta dalla folla, il funerale in barca; ecco in Rio escondido la processione per invocare la pioggia. Sono pagine purissime di cinema in cui Fernandez, momentaneamente liberato da preoccupazioni estranee esprime liberamente il suo mondo.
Egli fallisce invece quando affronta motivi di una drammaticità esteriore, elie rimangono lontani dalla sua sensibilità. Si veda per esempio l'inizio di Enamorada, la battaglia e l'ingresso in città dell'esercito rivoluzionario: tutto rimane oleografico e privo di nervi (quelle granate fumogene!). E si veda ancora in Maria Candelaria la ridicolaggine della cattiveria di Don Damiano e nel finale di La Perla, l'opprimente retorica di quel campo lungo con Pedro Armendariz in piedi sopra la rupe, dopo l’uccisione del rivale. 
Una zona marginale della sua personalità è costituita da certa verve umoristica che affiora qua e là con` accenti intrinsecamente validi (la fotografia del bambino in Las abandonadas, la scommessa dei due gauchos in Flor silvestre, l'oratore e la visita del generale in casa della fanciulla amata in Enamorada, ma che provoca sempre una frattura stilistica nel tono generale del film. Osserva giustamente G.C. Castello (1 a proposito di Enamorada, (in cui questa verve umoristica è forse più scoperta) che il racconto oscilla fra il dramma e il vaudeville. Anche indipendentemente da queste apparizioni umoristiche è però raro che  Fernandez sappia conservare un tono unitario di racconto. (continua)
(1) G. C. Castello: «Infanzia precoce del cinema messicano», in si «Cinema ›› n. s. n. 2, Milano, 10 novembre 1948.

Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951

lunedì 30 dicembre 2019

Emilio "el Indio" Fernández - la mano di Steinbeck

I film di Fernandez mancano, in genere, di articolazione narrativa.
Il suo modo più naturale di racconto è l'elencazione: egli allinea i suoi argomenti uno dopo l'altro, in un discorso lento e pacato; dicendo assolutamente tutto, con quel compiacimento del pleonasma che è tipico del primitivo. Non riesce a stabilire una gerarchia fra i termini del suo discorso, a cogliere l'essenziale e a rivelarlo mediante l'ellissi, non riesce a svolgere una concatenazione serrata di avvenimenti. La sua analisi filmica ha un andamento sfilacciato che soggiace allo scrupolo descrittivo dell'inventario: il materiale plastico si impone talvolta non per una propria intima dinamica, ma per una specie di vischiosità esterna. Donde certe complicate ed involute simmetrie di costruzione, certi stanchi e forzosi ritoni di situazioni. Un esempio tipico del suo procedimento di elencazione si ha in Las abandonadas (uno dei più brutti film di Fernandez): si vede Dolores del Rio che imbuca una lettera, dissolvenza, imbuca un’altra lettera, dissolvenza, un'altra lettera, dissolvenza, e così via. Poi Dolores bussa ad una porta, dissolvenza, bussa ad un`altra porta, dissolvenza, un'altra porta, dissolvenza, ecc... .
Altre volte questa meccanica scenaristica si sposa alla tecnica del racconto teatrale, determinando allora una prevalenza dialogica. Flor silvestre, per esempio, non è altro che una successione di dialoghi, cioè di situazioni risolte verbalmente e collegate fra loro dal filo rettilineo del rapporto cronologico: dialogo del colonnello con Don Francisco, dialogo di Donna Clara e di Esperancia al letto di questa, del nonno di Esperancia con José Luis, dei due mezzadri che si congedano da Don Francisco, ecc. Anche questa tecnica primitiva di racconto non è priva di riferimenti con le arti figurative locali. Essa trova infatti riscontro nell' iconografia orizzontale ed inconclusa degli antichi affreschi indios (manifestazione istintiva dell'anima popolare messicana; gli affreschi di Teotihuacan risalgono al VI secolo a. C.). Quest’andamento lento e circospetto, comune ai film di Fernandez e agli affreschi indios, non fa che ripetere certi atteggiamenti di vita degli indios, il loro modo di parlare, le lunghe perifrasi con cui sono soliti introdurre un argomento, anche urgente, secondo una tradizionale liturgia del discorso.
Le ragioni dell'impotenza narrativa di Fernandez vanno quindi cercate in una deficienza organica di temperamento, se non addirittura di razza. La migliore delle sue sceneggiature è quella di La perla, dove si avverte la mano di Steinbeck. La sua adesione (non si sa quanto volontaria e cosciente) al genere narrativo appare quindi come un limite della sua ispirazione. Fernandez e, in fondo, una delle tante vittime` di quella formula narrativa che esigenze mercantili impongono oggi ad ogni regista. Tutta la sua opera rivela lo sforzo doloroso ed inutile di adeguarsi agli schemi di quella precettistica narrativa, derivata dal romanzo verista, che da Griffith in poi governa la confezione dei film. 
Finché rimarrà prigioniero di questa formula Fernandez non potrà mai darci il suo vero volto e la misura piena del suo talento, davvero non comune. (continua)

Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951

Nella foto, lo scrittore John Steinbeck sul set di The Pearl (1947)
l'originale è qui: 

mercoledì 11 dicembre 2019

Emilio "el Indio" Fernández - Lirico ed ingenuo

Si è dunque visto che la nota più genuina dell’ispirazione di Fernandez è nella scoperta d'un paesaggio. Questo paesaggio in tutte le sue accezioni - è da Fernandez sentito in una dimensione essenzialmente lirica. Fernandez tende spontaneamente a parlare per miti, a trasporre la materia narrativa su un piano lirico. Anche i dati razionali della sua ispirazione si avvolgono d'un'aria di favola e si risolvono in un disegno semplicistico che ha il colore del mito: assunti etici, sociali, pedagogici, si congelano in uno schematismo insistito ed ingenuo (di qua i buoni, di là i cattivi, i ricchi e i poveri, ecc.) che risponde ad un' impulso di semplificazione d'ordine essenzialmente fantastico tipico del temperamento indio. Un volta Figueora a chi gli obbiettava questo lirismo mitico di cui si caricano nei suoi film certi contenuti rivoluzionari o, come si suole dire da noi, progressivi, rispose che solo così si può far vibrare l’anima sognante degli indios. E' una risposta scultorea che dovrebbe dar da pensare a certi propagandisti politici, avvezzi a far d’ogni erba un fascio.
Il mondo di Fernandez è un mondo di romanticismo primitivo, legato a motivi elementari di umanità la bellezza, la bontà, la ricchezza, la miseria, ecc., un mondo attento ai movimenti istintivi dell'animo: l'amore, l’odio, la gelosia, la pietà, ecc., C'è un tema che ricorre con particolare insistenza nella sua opera ed è il tema di dedizione totale d'amore: in Las abandonadas, in Flor silvestre, in Maria Candelaria, in Maclovia, ma soprattutto in Enamorada c'è un uomo o una donna che si sacrificano per amore.
I personaggi di Fernandez sussistono solo come supporti di questa sua tematica mitica. Non si trova in Fernandez una definizione organica e razionale della materia psicologica. Se si eccettua il personaggio
di Maria Felix in Enamorada, reso con una intensità e una delicatezza che per certi aspetti ricordano il “Kamrnerspiel” - non c'è nei suoi film un carattere compiutamente delineato.
Anche l’immagine del Messico che egli ci dà è, in fondo, un'immagine mitica e fuori del tempo, è un paesaggio interiore, sentito come assoluto. Si cercherebbe invano in Fernandez, non diciamo una presentazione realistica del suo paese, ma nemmeno un paesaggio posto in termini di efficienza narrativa (e si pensi, per contrasto, al ruolo della natura in certo cinema scandinavo), “Un arbre et un âne se detachant sur le ciel - diceva ancora Figueroa ad André Camp (1) -  et vous avez tout le Méxique”. In Fernandez il paesaggio rimane sostanzialmente avulso dall'azione narrativa. Tutta la sua opera risente di questo squilibrio di impostazione e, più generalmente, di una certa imperizia di racconto che deriva proprio dai suoi interessi prevalentemente lirici. (continua)
Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951


martedì 26 novembre 2019

Emilio "el Indio" Fernández - S. M. Eisenstein e il cinema sovietico

Anche dall'architettura del suo paese Fernandez ha saputo trarre effetti specifici. Si veda infatti la pertinentissima funzione scenografica di certa architettura coloniale: la chiesa di Enamorada, il cortile del
collegio in Las abandonadas, il cortile che percorre il fucilando in Flor silvestre, il lunghissimo portico di Enamorada, (ripreso poi anche da Ford in The Fugitive). Si veda anche, per la parte sonora, il commento
musicale, originalissimo - anche se talvolta troppo facilmente insistito - a base di canti corali indios.
Talvolta però Fernandez  mosso da preoccupazioni narrative, se non addirittura da costrizioni produttive - è indotto ad un folclorismo di maniera, quasi ad una standardizzazione turistica, con accostamento agli schemi delle “follie” hollywoodiane (per esempio la festa popolare in La perla).
D'altronde già nel cinema questa individuazione d'un repertorio indigeno aveva avuto un precedente illustre in S. M. Eisenstein. Eisenstein, col distacco lucido dello straniero, aveva colto, nella sua incompiuta epopea di Que viva Mexico i motivi più caratteristici della civiltà e del folclore messicani. Benché il suo atteggiamento di fronte al Messico sia improntato ad una estrema libertà di ispirazione – Que viva Mexico, svolge dialetticamente una tesi marxista - Eisenstein ha tuttavia sentito il senso, quasi mistico, della tradizione millenaria messicana, la grandezza eroica degli Aztechi che sopravvive nello stoicismo disperato dei “peoñes”. Que viva Mexico doveva aprirsi con una rassegna di antiche sculture messicane (il motivo dei volti di pietra è stato poi ripreso da Fernandez in Maria Candelaria, ma con ben altro temperamento). In Eisenstein troviamo già accuratamente inventariati gli elementi d’un'immagine mitica del Messico, un Messico romantico e leggendario, che certamente offrì a Fernandez una suggestione specifica forse più importante dell'esempio pittorico. Ma come l’influsso della pittura anche quello di Eisenstein non va oltre quest'indicazione di genere. Il Messico di Fernandez, sfumato ed elegiaco, è infatti ben diverso dal Messico di Eisenstein, eroico e crudele, perché diversi sono i temperamenti dei due registi. E profondamente diversi sono anche i mezzi di linguaggio e di grammatica.
Quanto poi ad un'influenza sia pure “di complesso” (sic) del cinema sovietico sul cinema messicano e su Fernandez, influenza escogitata da Glauco Viazzi (1) (< dietro a Rio Escondido pare profilarsi Il Maestro di Gherassimov; e dietro a Enamorada: Il commissario di brigata di Rasumny >) ci sembra un'ipotesi piuttosto aerea, che cede forse a suggestioni e a lusinghe, per così dire, extra-estetiche. (continua)
(1) Glauco Viazzi: Enamorada in Bianco e Nero n. settembre 1949.
Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951

Nella foto "El Indio" durante le riprese di Duelo en las montañas, 1950

mercoledì 13 novembre 2019

Emilio "el Indio" Fernández - & Gabriel Figueroa

Il cinema di Fernandez si ispira appunto alla particolare suggestione del paesaggio messicano e si avvale d’un repertorio caratteristico di colore indigene. Diceva recentemente Figueroa ad amici romani - e il suo discorso vale sicuramente anche per Fernandez - che egli non potrebbe lavorare fuori del Messico, in un paese che non è il suo, in mezzo ad una realtà che gli è estranea. E il fondamento della sua collaborazione con Fernandez - diceva ancora Figueroa - è appunto nello stesso modo che entrambi hanno di sentire il Messico.
Nella sua scoperta del paesaggio messicano Fernandez ha tratto proficue indicazioni dalle esperienze compiute da artisti messicani contemporanei attivi in altri generi, particolarmente dai pittori. Figueroa ha
dichiarato ad André Camp (1):  “Il nostro cinema è essenzialmente pittorico. La scuola messicana di pittura, è la prima del mondo. Diego Rivera, Clemente Orozco, David Alfaro Siquieros sono i maggiori pittori della loro generazione. Essi hanno creato uno stile che esprime perfettamente l'anima e le aspirazioni del paese. Per noi, la via era già tracciata: non avevamo che da tradurre in immagini ciò che essi sviluppavano in quadri e affreschi”. I pittori messicani, raccolti attorno al dottor Atl nell'Accademia di S. Carlos, fin dall’inizio del secolo si ispirarono infatti, non senza intenzione polemica verso la cultura pittorica europea, alla tradizione indigena.
Nella pittura del suo paese Fernandez trovò appunto, già catalogato, tutto quel materiale illustrativo che egli andava cercando. Molti spunti dei suoi soggetti erano già stati individuati dall’iconografia della pittura messicana contemporanea. Il motivo di Enamorada, ci rinvia, per esempio, ad un quadro di Orozco “Le donne dei soldati”, dipinto verso il 1928 e Maria Candelaria fa subito pensare alle venditrici di fiori, così frequenti nei quadri di Rivera.
Sappiamo inoltre che Fernandez e Figueroa intrattengono stretti rapporti con i pittori messicani. Fernandez è amico intimo di Diego Rivera, che egli venera come un maestro e cui sottopone, in visione privata, i suoi film appena ultimati. Sappiamo anche che talvolta Figueroa studia preventivamente assieme a Rivera il disegno delle sue inquadrature. Alcune inquadrature di Maclovia sono state integralmente dettate da Rivera. Rio Escondido, nella versione originale, si apre con la visione degli affreschi di Rivera nel palazzo del governo di Città del Messico (la sequenza è stata tolta, naturalmente, nella versione nostrana, intitolata Il mostro di Rio Escondido, dal distributore italiano).
Va tuttavia rilevato che nonostante questi palesi accostamenti, diciamo così, di genere, il cinema di Fernandez si distingue dalla pittura messicana per un diverso stile figurativo. Mentre infatti la pittura nonostante il suo assunto illustrativo, risente qua e là di stimoli espressionistici, le immagini di Fernandez e di Figueroa non escono da un romanticismo naturalistico. (continua)
 (1André Camp: “Aperçus sur le cinéma mexicain” in «La revue du cinéma, n. 5, luglio 1948. 
Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951


Nella foto il cinematographer Gabriel Figueroa con Emilio Fernandez sul set di Duelo en las montañas, 1950

lunedì 4 novembre 2019

Emilio "el Indio" Fernández




Motivi di critica sull’opera di Emilio Fernandez

Nell'ambito del cinema messicano, per lo più legato agli schemi e metodi di Hollywood, l'opera di Emilio Fernandez  rappresenta finora un fenomeno isolato e, in un certo senso, di avanguardia. I suoi film riscuotono nel Messico uno scarsissimo successo di cassetta (André Camp ci informa (1) che La perla ha tenuto più a lungo il cartellone a New York che a Città del Messico).
In sostanza l’opera di Fernandez è un fenomeno di cultura che traspone nel cinema i motivi di una ricerca spirituale che impronta oggi tutto il panorama dell’arte e della cultura messicane, Questa ricerca, che si presenta con caratteri tipicamente nazionali, tende a individuare nella storia millenaria del Messico gli elementi personificatori di una tradizione spirituale e di una sensibilità espressiva. L'arte messicana di oggi trae ispirazione dalla terra e dal popolo del Messico, riallacciandosi deliberatamente alle antiche e primitive manifestazioni indigene precolombiane (aggiornate però, sia pure polemicamente, ai risultati della cultura moderna).
Emilio Fernandez, di razza india, è nato a Hondo, stato di Coahuila, confederazione del Messico, il 26 marzo 1904. Frequentò l’accademia militare e seguì la carriera delle armi come ufficiale d'artiglieria. Come tale combatté nella rivoluzione.
Dimessosi dall'esercito fu attore di teatro e di cinema (come i suoi quattro fratelli: Fernando - che è uno dei più noti cantanti messicani, Augustin, Rogelio e Jaime). Come attore lavorò per qualche tempo anche a Hollywood dove conobbe John Ford che l’incoraggiò alla regia. Fernandez ha conservato per Ford – che egli considera suo maestro - una sincera e profonda amicizia.
Diresse il suo primo film nel 1941. Ecco, in ordine progressivo, l'elenco completo dei films da lui diretti: Isla de la passión, Soy puro Mexicano, Flor silvestre, Las abandonàdas, Maria Candelaria, Bugambília, La perla, Pepita Jiménez, Enamorada (versione messicana), Salon Mexico, Maclovia, Río Escondido, Pueblerina, La malquerida, Enamorada (versione inglese con Paulette Goddard), Un dia dè vida, Victímes del pecado.
Tranne i primi due films in tutti gli altri ebbe come operatore Gabriel Fígueroa. Da Maclovía in poi Colomba Dominguez, sua moglie, ha partecipato a tutti i suoi films. Fernandez preferisce lavorare con collaboratori fissi che garantiscano l’affiatamento della troupe. Segue un metodo di lavoro piuttosto estemporaneo e gira senza una sceneggiatura rigorosamente stabilita. Politicamente Femandez e Figueroa sono a sinistra.
Devo queste ed altre notizie contenute in questo studio alla cortesia di Ruth Rivera e di Jaime Fernandez. (continua)
(1) André Camp: “Aperçus sur le cinéma mexicain” in «La revue du cinéma, n. 5, luglio 1948.

Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951


Nella foto: Emilio Fernandez e Rodolfo Acosta sul set di Vittime del peccato (1950)