giovedì 25 febbraio 2016

Lardani alla lotteria

Questa volta il supporto per i lavori di Iginio non è la pellicola bensì la carta come già successe con il manifesto di Mezzogiorno di Fuoco del 1952.





gli originali sono conservati qui:
http://www.catalogo.beniculturali.it/sigecSSU_FE/Home.action?timestamp=1456407293376



mercoledì 24 febbraio 2016

Mandrie di uomini e bestie

Howard Hughes gira dei film che, sfruttando lo stimolo dell'avventura esaltano la volontà e il coraggio (Scarface, Only angels have wings). I suoi personaggi sono semplicemente degli uomini e non possono trascendere una realtà opprimente e categorica che determina i loro pensieri e le loro azioni. Così fu per Red River (1948) che, partendo dallo studio di un tipico allevatore del Texas sviluppò questo tema sino a diventare il film tipo dell'epopea bovina sulle piste del Sud-Ovest. Nel 1866 le mandrie del Texas cominciarono le migrazioni periodiche verso il Nord. Il che significa che Red River ci riporta in regioni ben conosciute. Lungo il loro cammino nacquero le celebri «cowtons››, piene di polvere, di Whisky e di giovani robusti che, dopo vigorose bevute, fanno due chiacchiere con la pistola. Abilene, Dodge City, Denver, Ogallah, Santa Fe nasceranno dalla predilezione delle mandrie per i pascoli che le circondano. Il bestiame che aveva avuto sinora una parte di secondo piano nel Western, col film di Hughes diventa protagonista con un ruolo pari per importanza a quello di John Wayne che riveste i panni di Dowson.
François Timory ha scritto in L'Ecam français (22-8-49): «Questo film ricostruisce l’ incerta epopea di quella mandria di uomini e di bestie guidati da un capo volonteroso e ostinato che combatteva contro le avversità, i cataclismi, il deserto, le imboscate... Il capo è spietato: ha una legge tutta sua che gli consente di punire con la morte o di perdonare a seconda di ciò che gli detta il suo istinto primitivo ››.
Il film di Hawks, assai simile nel soggetto a The Overlanders * (l’odissea della mandria lungo i mille chilometri di pista che deve percorrere), si differenzia però da questo per l’importanza accordata all'elemento umano e, in particolare, alla figura di Dowson, il capo. Dowson è uno Scarface della prateria: lo studio del suo carattere è il tema principale di questa opera la cui forza rasenta l’orrore. Può questa rudezza essere rimproverata al regista del film? Hawks ha mostrato nelle opere precedenti tanta sincerità e tanto entusiasmo che non si può incolpare il suo Red River di essere frutto di pura fantasia. Egli ricerca un tipo d'uomo solido, sicuro di sé, padrone del suo destino e lo mette a confronto con difficoltà che gli permetteranno di superare sé stesso sia nel bene che nel male. Dowson non può sfuggire al male, persuaso com'è di agire nell'interesse suo e dei suoi uomini, legati a lui da un patto che garantisce loro cento dollari all'arrivo. Egli rappresenta un tipo di uomo che fu proprio del West in quell'epoca.
Strano personaggio questo Dowson che cosparge il suo cammino di orazioni funebri, sbrigative e stereotipate, per la pace eterna delle anime dei suoi uomini da lui stesso uccisi. Fino a che punto in questi momenti è sincero? Attribuire a un simile uomo un po' di fede potrebbe sorprendere, eppure quando legge la Bibbia non è un ipocrita. Questo libro ebbe una parte importante in quei luoghi maledetti, ma quel po' di interesse spirituale che poteva esercitare sugli uomini scompariva di fronte alle esigenze materiali e vitali di una esistenza troppo spesso in pericolo. Dowson, questo « self-made man ›› delle pianure non è che un campione, eccezionale fin che si vuole, di questa umanità composita in cui, chi fosse incerto fra il bene e il male, non poteva trovare un equilibrio se non sacrificando alternativamente all'uno e all'altro. La legge del più forte ha prevalso nel West, questa è una realtà che bisognerebbe ricordare una volta per tutte prima di criticare la realtà degli eroi del Western.
Red River, valido per l’umanità dei personaggi, «magistralmente ambientati», è impeccabile da un punto di vista formale, e altrettanto valido per l'aspetto documentario. Non è esagerato a questo proposito parlare di una vera iniziazione alle pratiche che erano familiari al cow boy del «long drive ›› (1) : la partenza, la ricerca dei guadi, dei luoghi dove accamparsi la notte, le ronde notturne degli uomini di guardia (2), il timore degli uragani e tutte le alee di un viaggio tanto più difficile e pericoloso quanto più desolate erano le regioni da attraversare. Da questo film più che da The Overlanders, possiamo farci un”idea dei disagi affrontati da quegli uomini e capire come la loro esistenza giustificasse le burrascose vacanze nei saloon delle «città del bestiame». Hughes raccogliendo una documentazione umana e reale sul West e facendola rivivere con una intensità di cui ben pochi specialisti del « genere ›› sarebbero stati capaci, fece con Red River un Western tipo di stile rigoroso. Evitando di cadere nell'oleografico, il suo film raggiunse un valore uguale a quello raggiunto dalle migliori pellicole sul West della frontiera.
(1) Lunghi percorsi. In questo caso la pista di Austin (Texas) a Sedalia (Missouri) utilizzata fino al 1871 prima che venisse aperta la famosa pista di Chisholm, più corta, Red River-Abilene, dove arrivava la ferrovia.
(2) «Noi conducevamo una vita libera e coraggiosa col cavallo e il fucile. Lavoravamo sotto il sole bruciante dell’estate quando le vaste pianure tremolavano e vibravano per il calore, e conoscevamo l’avvilimento del freddo quando cavalcavamo durante le notti di guardia intorno alla mandrie riunita verso la fine di autunno... Ma sentivamo nelle nostre vene il palpito della vita spericolata e cantavano in noi la gloria del lavoro e la gioia di vivere» (Th. Roosevelt).
 J. L.  Rieupeyrout e A. Bazin Il western,  Cappelli editore 1957 Trad. Franco Calderoni

* Film inglese di Harry Watt del 1946 di ambientazione australiana che riscosse un enorme successo nelle patrie d’origine.

Howard Hawks
1896 - 1977

lunedì 22 febbraio 2016

Otto minuti alla fine




Un fotografo, Sam. e sua moglie Susy, cieca, vengono casualmente in possesso di una bambola il cui colpo è pieno di eroina. Tre delinquenti, approfittando dell'assenza del marito, si presentano a Susy sotto le vesti di un poliziotto, di un intimo amico di Sam, e di un uomo alla vana ricerca della moglie scomparsa, cercando di
farsi consegnare la bambola.
Susy, però, non sa dove cercare il giocattolo e, nel susseguirsi delle scene ella, con la sensibilità tipica dei ciechi, riesce a rendersi conto dell'inganno. Ma purtroppo, ormai, è alla merce dei delinquenti che, per evitare ogni e qualsiasi comunicazione con l'esterno, hanno anche tagliato i fili del telefono. Ad un certo punto, Susy riesce a scovare la bambola fatidica e a salvarsi momentaneamente dai malviventi, il più spietato dei quali, eliminati i complici, tenta di sopraffarla. Susy approfitta di un attimo di distrazione
del suo persecutore per eliminare qualsiasi fonte di luce nella casa. ln questo modo la cieca. Che è avvezza a muoversi nelle tenebre, potrebbe avere la meglio sul suo cacciatore improvvisamente piombato nel buio. L'uomo, però, si ricorda del frigorifero e, aprendolo, improvvisamente riesce ad illuminare la scena. E' soltanto la forza della disperazione che permetterà a Susy di sottrarsi all'assalto del criminale sino all'arrivo del marito e della polizia.
A CURA DELL'UFFICIO PROPAGANDA E PUBBLICITÀ
15 NOVEMBRE 1961 -
PERSONAGGI ED INTERPRETI
Susy AUDREY HEPBURN
Roat ALAN ARKIN
Mike RICHARD CRENNA
Sam EFREM ZIMBALIST, Jr
Carlino JACK WESTON
Lisa SAMANTHA JONES
Gloria JULIE HERROD
Shatner FRANK O'BRlEN
Il ragazzo GARY MORGAN

Le frasi di lancio
Durante gli ultimi 8 minuti di agghiacciante tensione voi potrete chiudere gli occhi- per Susy sarà impossibile...
IMPORTANTISSIMO
Un segnale luminoso nell’atrio annuncerà l’inizio degli ultimi 8 minuti di agghiacciante tensione durante i quali sarà rigorosamente vietato l’ingresso in sala.




domenica 21 febbraio 2016

Le ceneri della morte


The ashes of death


If the birds and beasts could read it,
they'd all flee Japan
Akira Kurosawa, Testimonianza di un essere viventeI Live In Fear (生きものの記録 Ikimono no kiroku ), 1955


Takashi Shimura
12 marzo 1905 - 11 febbraio 1982

giovedì 18 febbraio 2016

Colore addio



Technicolor Italiana
1955 - 2013

le foto in originale sono qui:
https://eastman.org/technicolor/rome

mercoledì 17 febbraio 2016

La signora e la coscienza del colore



Alla base del colore nel cinema c’era la Technicolor e il suo padre padrone era Joseph Kalmus. Quando questi si unì a nozze con Natalie Mabelle Dunfee gli studi sulla percezione del colore, la psicologia e la psicanalisi che stavano intorno catturarono lo spettatore più refrattario con opere come E’ nata una stella (1937) o Il mago di Oz (1939) per citarne che pochi. In questi ed in molti altri lavori dietro la sedia del direttore ci sarà la sedia Mrs. Kalmus. Molti registi la riterranno una zarina e molti la odieranno, le sue teorie anche digitalizzate resteranno eterne








lunedì 15 febbraio 2016

Esordio in prossimamente










Da varie testimonianze questo prossimamente per il film di Vittorio De Sica Il Giudizio Universale del 1961 risulta il primo lavoro di Iginio Lardani: grandioso,inconfondibile, umoristico, divertente,indimenticabile, zavattiniano, imprevedibile, originale, per citare le didascalie.

domenica 14 febbraio 2016

Aurelia, Savina e Alberto



Alberto Sordi
!5 giugno 1920 - 24 febbraio 2003

giovedì 11 febbraio 2016

天国と地獄 Tengoku to jigoku

OGGI
al Circolo di Cultura Cinematografica “ Yasujiro Ozu


 Anatomia di un rapimento (天国と地獄 Tengoku to jigoku, 1963) di Akira Kurosawa lo si può tranquillamente suddividere in tre parti: il rapimento, la ricerca dei rapitori, la cattura del principale responsabile. Nella prima parte il protagonista è Gondo l’industriale che deve subire e pagare il riscatto; nella seconda è Tokura, l’ispettore capo che porta avanti le indagini; nella terza è Takeuchi il giovane studente che ha organizzato il rapimento. Su tutto e tutti il vero protagonista è il Giappone dei primi anni sessanta del secolo scorso, quello del boom economico succeduto alla disfatta bellica. Kurosawa in un apparente giallo ci mostra le disparità tra chi è diventato ricco, anche a seguito di enormi sacrifici e di chi invece deve rimanere a tutti i costi a galla per non sprofondare negli abissi che sono sia sociali come psicologici. Il primo abita in una villa costruita su una collina che domina la parte più povera di Yokohama. L’architettura esterna ed interna sono di tipo occidentale. Il secondo è un povero studente che vive nei bassifondi ancora arcaici ed è sovrastato da una realtà per lui irraggiungibile: «Dalla finestra della mia stanza ghiacciata d'inverno e torrida d'estate la sua casa sulla collina mi sembrava un paradiso... A forza di guardare in alto ho cominciato ad odiarla... Quest'odio è diventato la molla della mia vita... Non mi importa di andare all'inferno, tutta la mia vita è stata un inferno...» così dirà all’industriale il giovane studente in medicina. Gondo e la polizia sembrano capire il povero studente, questi però deve essere fermato e soppresso prima che sia troppo tardi per il nuovo Giappone.
Siccome abbiamo visto molti film e letto molti romanzi i nostri pensieri vanno a Umberto D e a Delitto e Castigo e forse siamo in accordo con Kurosawa. Rimane da dire sui pregi dall’uso magistrale del cinemascope al taglio in fase di montaggio, ma andremmo a ripetere sempre le stesse cose che si dicono per ogni film di Kurosawa. Suggeriamo di studiarvi soltanto l’incipit del film e confrontarlo con quello di Taxi Driver (1975) di Martin Scorsese. Sono identici: stesso landscape, stesso noise, stesso sound. Ma si sa, chi non ha plagiato Scorsese?
Qui ci si riferisce alla visione originale con sottotitoli della durata di due ore e ventitre minuti rispetto all’edizione italica di un’ora e quarantaquattro seppure con un pregevole doppiaggio d’epoca.


mercoledì 10 febbraio 2016

Juan e John


Se premi il grilletto e mi colpisci io cado ... e, se io cado ... si dovranno rifare tutte le mappe ... e con me sparirebbe metà di questo fottuto paese ... compreso te.

lunedì 8 febbraio 2016

Lettera a John Ford

  John Ford 
1894 -1973

Caro Signor John Ford, dopo Bret Harte nessuno meglio di lei ha saputo cantare la canzone epica, rauca e sentimentale di questo West la cui selvatichezza è temperata dalla amicizia fra i compagni più disparati che il fato unisce, in cui l’amore di un ragazzo per una ragazza ricorda, nelle asperità di una vita continuamente minacciata da un colpo di pistola, che nel mondo c’è ancora un pò di gentilezza ragion per cui vale la pena di diventare buoni e pacifici.
Jean Georges Auriol, Revue du cinémà, n.6, 1947

domenica 7 febbraio 2016

venerdì 5 febbraio 2016

Angeli del set

         
                                    Katinka Fraragò                        Suzanne Schiffman tra Godard e Truffaut

Alma alle spalle di Hitchcock

Nel cinema ci sono dei compiti che sembrano isolare chi li svolge ai margini del lavoro che si va a intraprendere. Prendete le script girl altrimenti dette segretarie di edizione o addette al continuity, tutte la stessa funzione: angeli custodi del regista. Per questi angeli non esiste premio che sia oscar, david o nastro di canapa . Katinka Faragò lo era per Ingmar Bergman, Suzanne Schiffman per François Truffaut e Jean-Luc Godard; Alma Reville per suo marito Alfred Hitchcock. In Italia c’era Serena Canevari della quale beneficiarono Bernardo Bertolucci, Francis Ford Coppola e Sergio Leone con il quale si può dire cominciò dal Buono/Brutto/Cattivo per continuare con C’era una volta il west, L’ultimo Imperatore, i set italiani del Padrino. I lavori della Canevari oggi non vengono riconosciuti da nessuno come è toccato invece per la Schiffamn o la Faragò, e i suoi padrini sono estinti o in via di estinzione.

Serena Canevari tra Clint Eastwood, Tonino Delli Colli, Sergio Leone

                       qui la Canevari è alla sinistra di Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramirez detto il ....

giovedì 4 febbraio 2016

Four strong guns for Billy the kid

“ Prendete per esempio il curioso personaggio di Billy the Kid. Gli episodi della vita di questo ragazzo di 21 anni sono più appassionanti di quelli di una dozzina di eroi fabbricati dallo schermo... Non ci sono, nei film dettati dalla fantasia, fucilate più drammatiche di quelle sparate durante il famoso assedio della casa MacSween . Con questo assedio, che durò tre giorni, dal 15 al 18 luglio 1878, e raggiunse momenti di insuperabile drammaticità, il disordine e la illegalità che allora caratterizzavano quelle lontane regioni toccarono il massimo vertice. Quando Billy aprì la porta della casa Sween in fiamme per mettersi al riparo dalle scariche di fucileria, cominciò l’ultimo atto della tragedia recitata da questi uomini selvaggi insofferenti di qualsiasi legge “.
King Vidor



Caro Luigi
sono qui. Mi sto divertendo molto. L'altro giorno ho visto la tomba di Billy the kid. Ora sono a Texas. Ieri sono andato sul cavallo. Ho portato due nastri di Ennio, quindi non manca la musica. Ho visto un villaggio indiano.
Ci vediamo, adios
Nigel

Ennio dopo quanrant'anni ha rifatto le musiche per un western, è tornato troppo tardi per Nigel a cui va questo post e una canzone di Neil Young

mercoledì 3 febbraio 2016

Fuori catalogo 1969-1970. Western adìos






Sergio Leone sta pensando di dare l'addio ai western-spaghetti: «Vorrei fare qualcosa di più intimista», confida, «Non so, potrei portare sui grande schermo Voyage au bout de la nuit, di Céline.Intanto continua a cercare soldi per il suo attesissimo C'era una volta I'America, la storia di quarant'anni di vita americana attraverso le avventure di quattro gangster: «Mi mancano ancora un pò di capitali, per il momento sono in panno, ma ne uscirò». A consolarlo, sono le notizie dalla Tour Eiffel: i francesi impazziscono per lui. A Parigi quest'anno, anche con il caldo, fanno la coda per assistere alle retrospettive dei  suoi film. Quelli western-spaghetti, ovvio.

martedì 2 febbraio 2016

Tavola rotonda a Locri

La realtà calabrese
è spesso
deformata dal cinema

Dal corrispondente
Aristide Bava

SIDERNO - La tavola rotonda organizzata a Locri dall'<<Associazione culturale jonica» per fare il punto sulla
prima rassegna cinematografica che si sta svolgendo nella zona jonica meridionale, è stata preceduta -come annunciato -  da una breve conferenza stampa del regista Nino Russo, autore del film «Il giorno dell'Assunta››, che avrebbe dovuto essere proiettato in anteprima nazionale ad inaugurazione della rassegna. Il regista ha spiegato che la proiezione del film non è stata permessa dalla Italnoleggio - casa di distribuzione del film - perché avrebbe potuto poi provocare danni economici per il normale sfruttamento del soggetto nel circuito nazionale. Almeno questa sarebbe la motivazione ufficiale.
Subito dopo il saluto di Domenico Speziale, sindaco di Locri, con una relazione di Ferdinando Bruno è cominciata la tavola rotonda sul tema: «Cinema e società in Calabria». A dire il vero, Bruno, nella sua relazione, si è occupato più del lato tecnico cinematografico inquadrato nel contesto nazionale che nel
cinema calabrese o della Calabria vista dal cinema. Un aspetto che in certo senso contrasta con le intenzioni degli organizzatori e che, in ogni caso non ha impedito lo sviluppo di un approfondito dibattito.
In effetti, più che ad una tavola rotonda si è assistito appunto a un dibattito con qualche accenno critico all’organizzazione e a qualche spunto polemico verso la politica meridionalistica del passato e anche del momento attuale (si è accennato al quinto centro siderurgico).
Il discorso si è anche spostato alla letteratura calabrese per merito soprattutto del critico Walter Pedullà che in riferimento a una specifica domanda su quanto possono dare i calabresi al cinema nazionale, ha inteso vedere specificatamente in due autori, vale a dire Vincenzo Guerrazzi, con il «Nord e Sud uniti» e <<La fabbrica del sogno» e quindi Vincenzo Bonazza, con <<L'emigrante>›, validi esponenti della cosiddetta «letteratura selvaggia».
Alcune puntualizzazioni ha poi fatto il sen. Sisinio Zito che ha inteso dare anche una giustificazione a qualche carenza organizzativa che certamente non si verificherà - è questo l'augurio - negli anni a venire.
Ha preso poi la parola regista Mimmo Rafele, che ha un po' lasciato l’ama in bocca al pubblico, accostandosi alla relazione di Ferdinando Bruno. «Per me - ha detto - la calabresità è un aspetto secondario del mio lavoro». ›
Altro intervento - apprezzato - è stato di Salvatore Santagata che, pur accennando ai problemi attuali della
Calabria, ha riportato il dibattito sul tema specifico.
Ha parlato poi il critico cinematografico Vittorio Ciacci, il quale ha ricordato che la Calabria viene spesso isolata da un certo «giro» proiezioni a causa di una selezione che avverrebbe a monte dei circuiti distributivi.
Un altro intervento interessante è stato quello del giornalista Mario Accolti Gil che ha messo a fuoco determinati e particolari problemi locali, che vanno dalla necessità di una sensibilizzazione cinematografica a quella di offrire al pubblico un aspetto non deformato della Calabria, cosa che purtroppo è avvenuta e
continua ad avvenire.
A conclusione sono anche intervenuti il consigliere regionale Guido Laganà, che ha sottolineato gli aspetti positivi di questo tipo di informazioni e il sindaco di Locri che ha tratto le conclusioni del dibattito.
In serata a Siderno ha avuto luogo la proiezione de <<Il nero muove», di Gianni Serra, film sui fatti di Reggio.
La rassegna jonica si concluderà stasera. Sono in programma proiezioni, come al solito, nei centri di Siderno, Locri, Roccella Jonica e Monasterace Superiore.

Gazzetta del Sud 7 Anno 26 n. 186 / Domenica 17 Luglio 1977


 Nella foto, una rara immagine di Carla Dal Poggio in Il sentiero dell'odio di Sergio Grieco, film del tutto invisibile.

lunedì 1 febbraio 2016

Something Wild pt. two from Proust to Zampanò

Diremmo che Jack Garfein è più vicino ai registi europei che a quelli del suo paese. Sono registi marcati da un certo tipo di cultura, e abbastanza libreschi per non saper dimenticare che la nostra epoca è di crisi, e che forse conviene cercare vie nuove. Noi non diciamo che abbiano ragione, cerchiamo soltanto di capirli. Prima ancora che fisici e matematici come Heisemberg, Fermi ed Einstein mandassero a carte quarantotto il razionalismo dei nostri padri, personaggi lontanissimi dalla scienza come Proust e Joyce avevano fracassato la psicologia tradizionale. È un fenomeno che non si ricorda mai a sufficienza. Una delle nostre grandi impressioni di lettura fu quel romanzo nel romanzo (alludiamo alla Recherche du temps perdu) in cui Swann, nello sfortunato amore per Odette, prefigura le ambasce del personaggio che dice <<je >> nel gran libro. Oppure è Saint-Loup che reca nel cuore un sentimento profondo per una donna che l'amico narratore non riesce a comprendere. Ogni uomo è una entità a sé stante che, come le monadi leibniziane, è senza finestre. I segni attraverso i quali è possibile l'esistenza civile sono sommari, utilitaristici, ma scevri della verità ultima delle anime.
A ben riflettere, in una società come quella americana di pieno impiego e di diffuso benessere, il modo di sfuggire al conformismo può essere di due tipi: o l’evasione amorosa, che si attua necessariamente con un << partner», o quella solitaria dell'alcool. Introversi, molto occupati, malinconici, è noto che gran parte dei cittadini USA preferisce il Bourbon alla compagnia femminile. Momento selvaggio ci è parso interessante perché vi si cerca una conciliazione delle due nevrosi. Né, al solito, vi inganni il lieto fine, che è un modo come un altro di sciogliere un nodo tra i più aggrovigliati.
Nella prima parte di Momento selvaggio ci sono momenti di grande bellezza, di un fascino tutto particolare. È girato in esterni, mostra quell’America insolita che è cosi magica, di essenza si direbbe Stregata, e che i registi più sensibili hanno imparato a farci vedere. Gli Stati Uniti quali appaiono in Momento selvaggio sono altrettanto patetici, ma di una qualità più accessibile, più intima. L'osservazione più giusta è che il paesaggio s’accorda al dramma della protagonista che si dibatte nello sforzo di ritornare ad essere, dopo il fattaccio, quella di prima. Si capisce, se no non ci sarebbe più il film, che lo sforzo è vano.
Ci siamo chiesti, anche perché la seconda parte del racconto, pur fatta bene, non ha il valore della prima, cosa è che ci ha turbato nel dibattersi di Mary contro una realtà spaventosa; insomma perché la storia, ispirata da un romanzo, Mary Ann, di Alex Karmel, ha finito per prendere al laccio uno spettatore incallito. Crediamo di aver trovato la risposta, anche se non sappiamo se apparirà soddisfacente ad altri spettatori. Mary è vittima, sia pure non consenziente di un peccato feroce, dettato dal furore erotico. Ma, proprio come nel mito del peccato originale di Adamo ed Eva, essa vive nel ricordo del paradiso perduto, e che sa irrecuperabile. Insomma, Garfein ha lavorato in terreno conosciuto, in un universo culturale e sensitivo comune a molte persone. È lo stesso caso accaduto a Federico Fellini per La strada. Ottuso, egoista, violento Zampanò finiva per riconoscere, attraverso il rimorso' e la nostalgia della perduta Gelsomina, la fraternità, il senso di appartenere a una famiglia unanime, dotata delle stesse. aspirazioni e paure. Siamo tutti d’accordo sul fatto che Mary a differenza di Zampanò e di Eva, è innocente. Ma il problema psicologico è sempre quello di chi è precipitato in fondo a un abisso e ha perso la luce consolatrice che scalda i suoi simili.

                                                                                 1962
Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972