mercoledì 30 settembre 2015

Fuori sala


Cinema di Messina


L'Excelsior  sul viale Regina Margherita


Il Garden in via Antonio Martino


Il Lux in via Santa Marta prospiciente il LargoSeggiola

Dei tre resiste ancora il Lux, sebbene  a metà

lunedì 28 settembre 2015

Quattro risate naturali


CINECLUB MESSINA 
13 Agosto 1951

'Io gli voglio un monte di bene, e quando su che in qualche minuscolo cinema c'è RIDOLINI vado a trovarlo per farmi quattro risate naturali. Egli è un clown del circo equestre, ha  soltanto mutato il costume fiabesco a pagliuzze d’oro  per un abito dalla comicità operaia, ma la cipria sul volto e il segno profondo di bistro negli occhi gli sono rimasti, e PER FAR RIDERE  strafà  con i suo  colleghi in cappello a cono. I suoi umani sentimenti sono cosi diafani che nessuno gli scorge; combatte senza odiare, ama senza passione, ne busca  senza rancore; è dunque il vero pagliaccio passato dall’ arena al cinema. Ma s'é portato dietro quel fondo magico che é dei personaggi del circo; anche le sue bestie sono ammaestrate  e il  modo in cui agisce è pieno di  candidi trucchi del mestiere secolare. Ridolini è una specie di salta leone, di molla compressa, ogni volta che si tende mette in moto un congegno. Il successo sta nella sorpresa, tutto quello che fa  è inaspettato e decisivo,non ha mai un gesto che resti a metà, e fra lui e la macchina da presa  fanno a chi più corre, sicché le sue pellicole risultano vertiginose e attanaglianti. Afferrano con la prima scena che è già a pieno dramma, tengono stretto bombardando dl velocissimi paradossi,  e lasciano allucinati come un viaggio in tabogan.
Quando si accende la luce, ti guardi intorno e ti sembra di aver  preso terra dopo un volo stregato ..
 Paoio Cesarinl
 (Filmrivista  III. 8.  15 maggio 1946)

Ridolini pugilista (Horseshoes) 1923





domenica 27 settembre 2015

Modi e visioni




LE PHILOSOPHE ET LE CINEASTE ONT EN COMMUN UNE CERTAINE MANIERE D'ETRE, UNE CERTAINE VUE DU MONDE, QUI EST CELLE D'UNE GENERATION.

IL FILOSOFO E IL CINEASTA HANNO IN COMUNE UN CERTO MODO DI ESSERE, UNA CERTA VISIONE DEL MONDO, CHE E' QUELLA DI UNA GENERAZIONE.
J. L. G.

giovedì 24 settembre 2015

Piccoli critici in adolescenza


Relazione sul film:
TITANIC
 “ la nave che non poteva affondare “

Venerdì 27 febbraio 1998, la scuola media di Platì si è recata al cinema “ Vittoria “ di Locri per la visione del film “ Titanic “. A chiunque ci chiedesse cosa ne pensiamo del film ripeteremmo che è stato un “ escursus “ di sentimenti, emozioni, sensazioni che si sono susseguite dalla prima fino all’ultima scena. Il Titanic, maestoso transatlantico mai visto prima per dimensioni e conforts, affondò il 15 aprile del 1912, schiantato da un iceberg. Aveva a bordo 2200 persone, di queste solo 700 trovarono scampo e salvezza sulle scialuppe.
La storia d’amore, che si intreccia nella trama tragica del film, tra due giovani ragazzi di diversa estrazione sociale Jack e Rose, mette a nudo tanti sentimenti che a volte elevano la dignità umana, altre la fanno “ affondare “ nel baratro dell’egoismo e della prepotenza.
Sono tante le scene, come prima dicevamo, cariche di emozioni: l’amore dei due ragazzi, il coraggio di Ros di abbandonare la vita comoda e agiata dei ricchi; la prepotenza del fidanzato di Rose; la boriosità della madre di lei, che pur di salvare la propia posizione sociale, ormai al margine del fallimento, costringe la figlia ad un fidanzamento senza amore; la solidarietà di Jack fino al sacrificio estremo.
Ma quello che profondamente ci ha colpito è la profonda differenza di trattamento tra nobili e povera gente, che da tutto per tutto, pur di varcare l’oceano e trovarsi “ nella ricca terra d’America “. La scena dei cancelli chiusi per salvare prima i ricchi e poi, se fossero rimaste scialuppe, gli altri cioè i meno fortunati, ci è rimasta impressa come una lama nel cuore e ci a fatto meditare: “ Quando mai ci sarà uguaglianza tra gli uomini “?  Gli scienziati, che erano alla ricerca del famoso gioiello “ il cuore dell’Oceano “, rimangono esterrefatti sentendo il racconto di Rose, dimenticano lo scopo primario delle loro ricerche; meditano e fanno meditare anche noi spettatori.
Rose, ormai centenaria, conclude il film, restituendo all’immensità dell’Oceano quel gioiello  che gelosamente insieme ai suoi ricordi aveva custodito per tanto tempo. Questo film ha colpito soprattutto, noi ragazze e ha suscitato profondi ripensamenti sulla caducità delle cose, e sull’infinito valore di ogni creatura di Dio, ma ci ha fatto innamorare ancora di più di quel bellissimo ragazzo che è Leonardo Di Caprio, che già avevamo tanto ammirato e ritagliato da riviste e giornali per incollarlo sulle pagine dei nostri diari.
Grazie Signor Preside per averci permesso di rivedere il nostro idolo.
                                                                                                             
                                                                                                             La III a C
tratto da IL GIORNALINO numero unico
della Scuola Media Statale “ D. Perri “
Platì - Cirella  a. s. 1997/98





Di mio non posso fare a meno che citare questa canzone di Francesco De Gregori quando ancora non nascondeva la nuca con cappelli e cappellini

mercoledì 23 settembre 2015

lunedì 21 settembre 2015

Il buono, la bella, il cattivo

OGGI


Siamo sul finire degli anni cinquanta del secolo scorso. Ancora devono venire fuori alcuni giovani autori che cambieranno la faccia al Cinema per Eccellenza: il western.  In quei tempi John Sturgess, uno dei massimi direttori per questo genere, confeziona un film che visto oggi presenta delle attrattive che definiamo, con un’espressione dei giorni nostri, intriganti.
Tutto merito di un paesaggio quanto mai selvaggio e di due attori, Robert Taylor e Richard Widmark, recuperati ormai avanti con gli anni. Era consueto in quel periodo affiancare una giovane e bella ragazza con un maturo eroe degli anni  andati. Qui sono Robert Taylor e Patricia Owens, altrove Gary Cooper con Julie London, per non tacere del “ duca “ John Wayne con Angie Dickinson. Aggiungete a questi due vecchi infantilmente innamorati qualche altro caratterista con problemi freudiani e il soggetto galoppa fino alla resa finale.
Il 35 mm impresso col cinemascope, ancora di più con le luci date da Robert Surtees, sul grande schermo del cinema Garden di via Antonio Martino o dell’ Odeon sul  “ Viale “ di certo facevano bella mostra di sé; il piacere era sedersi nella prima fila sotto lo schermo possibilmente nella poltrona centrale.
In Sfida neIla città morta ( The Law and Jack Wade, 1958) i tre del nostro titolo incattiviti tra di loro partono per recuperare un bottino sepolto in un cimitero. Non è la fossa anonima accanto a quella di Archie Stanton resa celebre a causa di tre altri sciagurati che si contendono il contenuto sepolto sotto la sabbia. Nel titolo di quel film fu oscurata la Bella e messo in mezzo il Brutto che andava per nome: Tuco, Benedicto, Pacifico, Juan Maria Ramirez. 


domenica 20 settembre 2015

L' AUTUNNO DI ANDRZEJ MUNK


ANDRZEJ MUNK 16 Ottobre 1920 -  20 Settembre 1961

Amore mio, anche ì miei pensieri sono sempre con te. lo sono sempre con te. Non devo neppure chiudere gli occhi per sentirti vicino,  è come se bastasse allungare una mano. Amo la tua mano, le tue braccia.
Amore, amore mio grande, non importa che tu non mi possa parlare, conosco bene la tua voce.
E anche se non puoi starmi vicino, posso parlare con te.  Possiamo parlarci, dirci tutto.
Amore, è già autunno? Sono distesa vicino a te sull'erba. Ci sono tante foglie rosse. Tra poco pioverà.
Mi riparerai dalla pioggia, coprirai i miei capelli. Cammino nel fango e non ci sono foglie.
Amore, e tu? E' un bene che tu esista. Bacio le tue labbra perché non siano tristi. Bacio i tuoi occhi
perché mi diano la buonanotte. Fine

Tratto da La Passeggera (Pasażerka. 1961)




giovedì 17 settembre 2015

Da Robert Bresson a Gustave Flaubert

In un paese che, per molte ragioni, e malgrado tutto, è ancora legato al rispetto di certi valori tradizionali, a Robert Bresson è riuscito il colpo incredibile di trovare dei finanziatori per tradurre in un film il romanzo del povero Georges Bernanos, il << Journal d'un cure de campagne >>. Si tratta di un’opera cinematografica di raro interesse; anche se è chiaro che sul piano morale quei bei tipi di capitalisti che hanno affidato i loro milioni a Bresson meritano almeno la stessa riconoscenza, da parte degli spettatori illuminati, guadagnata dal regista. I problemi del male, della grazia, della carità, del destino com’è abbastanza noto, sono affrontati nel suo maggior romanzo dal Bernanos attraverso la figura d’un prete di campagna candido, disarmato, malato ma dall'incorruttibile fede. È un dramma quasi sempre interiore, e spinto, ai fini artistici, ai limiti delle possibilità romanzesche. La Chiesa chiede infatti ai suoi servi impegnati << nel secolo >> che siano di buona salute, apostoli vigo-rosi e soldati senza debolezze fisiche. Accade invece che il giovane protagonista del Diario sia affetto- da un tumore mortale, malattia piuttosto rara nei giovani e ad ogni modo difficile da diagnosticare alle origini. Il sacerdote trova nel piccolo centro, delle cui anime è il pastore, diffidenza cocciuta, inerte, cieca da parte dei villici mentre il << castello >> ospita un << nodo di vipere >> difficile da sciogliere. Malato a morte, ma senza saperlo, il prete ha la fatale rivelazione da un medico volteriano; scrive le ultime pagine del Diario in uno di quei caffeucci vicino alle stazioni ; poi va a morire tra le braccia di un compagno di seminario, che ha lasciato la veste sacerdotale per accompagnarsi con una donna. Prima di morire mormora: << Tutto è grazia >> .
Bresson, scegliendo il prete di Bernanos a protagonista del suo film, sapeva di porsi una sorta di scommessa. Nel Diario di un curato di campagna non vi è nulla di ciò che non solo i maneggioni ma i teorici dello << specifico filmico >> -ritengono << cinematografico >>. Manca il sesso; manca l’avventura; non c’è ombra di trama; non c’è << lieto fine >>. E manca soprattutto il << movimento >>. A parte le difficoltà tecniche, penso che sia più facile ricavare un film da Proust, dal romanzo nel romanzo intitolato << Un amour de Swann» per esempio (idea che, a quanto ne so, non è ancora venuta in testa a nessuno), che dal romanzo di Bernanos. Eppure Bresson ha quasi vinto la scommessa. Il suo film, senza essere <<d’avanguardia >>, ha un fascino singolare. Non ha, a propriamente parlare, una tradizione cinematografica. Soltanto, ma in un’altra direzione spirituale, la coppia Coward-Lean con Breve incontro in Inghilterra ha tentato di dirci, come Bresson, qualcosa di ineffabile. E sempre sul terreno della lezione, del messaggio, di una certa letteratura francese che si rivolge << all’uomo interiore >>: per Breve incontro la lezione viene dalla << Princesse de Clèves >> di Madame de La Fayette, per il film di Bresson bisogna rimontare, attraverso Bernanos, alle << Pensées >> di Pascal. Un particolare rivelatore consiste, nel Journal di un curé de campagne, nella parte artisticamente più debole: quella che si svolge nel << castello >> tra i ricchi, affetti, direi organicamente, da alcuni peccati mortali. Che è l’unica che offra partiti di interesse pratico, nella quale affiori  l’ombra d'una trama. Soltanto dalla civiltà francese, da una nazione in cui una società è ancora viva e in fermento, in cui la passione delle idee riesce ancora a muovere il capitale privato, ci poteva venire il segno, restato quasi unico a Venezia, che il cinema non è morto, e che la Francia è il luogo fisico e spirituale delle sue prove più durature e virili.
Per dare maggiore autenticità al racconto, il Bresson è ricorso a un giovane, Claude Laydu, che era alla sua prima interpretazione; mentre l’ambiente, campagne deserte, strade  autunnali, caffeucci, povere case, è lo stesso, nel nord della Francia, che ha ispirato il testo originale di Bernanos. Altissima prova di stile, il Diario- non ha un cedimento: è visto e raccontato con una puntualità stilistica da dar le vertigini. È una di quelle opere che si accettano << in toto->> o si respingono senza remissione. Di fronte a film pur importanti e vitali come L’asso nella manica, il Diario fa la figura di << mo-stro >> sacro'. Ma è certo che alcuni passi: le attese mistiche all’alba e al tramonto, il dialogo finale con il buon curato di- Torcy, sono di tale potenza da commuovere anche lo spettatore più distratto, il più tenace ammiratore dei tipetti formato Esther Williams.
È curioso questo fatto: mentre tra il diario-romanzo e il diario-film i << contenuti >> sono quasi identici, tra Bernanos, l'autore, e Bresson, il regista, dal punto di vista espressivo, c’è una differenza sostanziale. Bernanos è un narratore romantico, impegnato, pieno di furore biblico, di canonico disprezzo per gli atei, contro i quali, nelle sue pagine, balenano, d’improvviso, fulminanti invettive. Bresson è, invece, un narratore avviluppante e pacato, lucido e puntuale. Un tipo per cui la lingua, lo stile son tutto: come il Dreyer  di Dies irae. E se volete un paragone letterario', pensate al Flaubert moralista e stilista di <Madame Bovary >> e di <<Un coeur simple >>.
                                                                                                             1951.
 Pietro Bianchi, Maestri del cinema

mercoledì 16 settembre 2015

Kinuyo vs Hideko


Tell me, what is the modern thing? You are modern? You do not believe that you are obsolete? I ask it you to you.
 It pleases you to visit temples and gardens, for example. That is obsolete? Perhaps it is ill?
I believe that "to be new" Is "not to age".
The things that are really new, never age. You understand?
What signifies "new" for you? The short skirts? The nails painted of the color fashionable?
Pleases you today because is "new", but tomorrow will be "old".

Dimmi, che cos’è moderno? Tu sei moderna?  Tu non credi che sei antiquata?  Lo chiedo a te.
Ti piace visitare templi e giardini, per esempio.  E' una cosa fuori moda? E' sbagliata?
Credo che "essere nuovo"  è " non invecchiare".
Le cose che sono veramente  nuove, non hanno  età.  Hai capito?
Cosa significa "nuovo" per te?  Le gonne corte?  Le unghie dipinte del colore alla moda?
Ti piace oggi, perché è "nuovo", ma domani sarà "vecchio".
                                                                                                                                             

Yasujiro Ozu, Le sorelle Munekata (THE MUNEKATA SISTERS) , 1950

lunedì 14 settembre 2015

Compromessi in cinema e musica




Raccontai al regista  ( Brian De Palma ) la mia idea per musicare questa sequenza. Volevo mettere un suono di carillon, che esprimeva un motivo popolare, accompagnandolo con la musica molto dura, dissonante. Questa contrapposizione sembrò al regista un po` troppo grottesca. E lo era. lo dissi che in una scena di sette minuti, ripresa poi per altri tre minuti dopo gli spari, era necessario un po' di grottesco. De Palma non era d`accordo. Io registrai lo stesso e De Palma alla fine convenne che era giusto agire in questo modo. Quindi con il regista si può andare d`accordo, in generale; trovare dei punti in cui non si è in sintonia con lui: trovare dei compromessi o delle soluzioni dove uno subisce l`altro. compromessi non sempre sono dei pataracchi, come succede in politica; qualche volta, nella creazione artistica, quando la tecnica e la fantasia riescono a dare dei risultati, il compromesso produce dei risultati eccellenti, che prima non si sarebbero immaginati.

 Ennio Morricone, Il cinema è musica
Centro Studi Cinematografici Anno XX n. 1-2 gennaio/aprile 1990



domenica 13 settembre 2015

Дерсу Узала

OGGI


Di Dersu Uzala, il libro di Vladimir Arsenyev, si conosce meglio la trasposizione fatta nel 1975 da Akira Kurosawa che questa prima versione del 1961 diretta da Agasi Babayan. La differenza, rimarchevole, è in come i due registi affrontano il libro del viaggiatore e geografo russo. Per farla breve se il film di Kurosawa mette l’accento sul rapporto tra il capitano e la guida attraverso la taiga, Babayan si concentra sul legame tra il cacciatore indigeno e le distese dell’ Ussuri. Dersu sa che, di chiunque,  il passaggio sulla terra è breve per questo riconosce un’anima in quanto vive nella pianura e nella foresta siano essi neve, alberi o animali. Egli a differenza del Dersu del 1975 non andrà mai a vivere in città per poi fuggirne, rimarrà sino alla fine nell’ elemento che l’ha visto nascere. Questo scambio è servito bene dalla base documentaristica che è nel film: alla fine gli occhi di Vladimir Arsenyev non sono che i nostri.


giovedì 10 settembre 2015

Haiku


Moon behind the clouds,
The last autumn leaf will fall
where once were snowdrops.

(Kenji’s haiku for Setsuko)

Luna dietro le nuvole ,
L' ultima foglia d'autunno cadrà
dove un tempo v’erano bucaneve .

l’originale è qui

https://mubi.com/lists/how-hara-setsuko-stole-our-hearts/comments

mercoledì 9 settembre 2015