venerdì 28 febbraio 2014

Greetings to you Mr. Gianni Parlagreco

L'ingresso del cinema Orientale a Camaro

L'ingresso del cinema Orientale a Camaro 

Particolare della facciata del cinema Odeon sul viale San Martino

Particolare della facciata del cinema Odeon sul viale San Martino

Manifesti per il cinema Aurora

Le foto risalgono ai primi anni ottanta in Messina


giovedì 27 febbraio 2014

Limite è cinema?

OGGI
Al Circolo di Cultura Cinematografica " Yasujiro Ozu"



Edgar Brazil e Mário Peixoto nel filmare  Limite
 Limite , 1931, di Màrio Peixoto è un film singolare. Lo sono anche One Eyed Jacks ( I due volti della vendetta, 1960 ) di Marlon Brando e David Holtzman’s Diary , 1967 di Jim Mc Bride  .
Limite lo hanno reso visibile gli attestati di lode di Sergej M.  Eizienstejn e Vsevolod Pudovkin i quali spinsero il sommo critico Geoge Sadoul a volare in Brasile con la speranza di vederlo integrale.
Ora vi chiarisco in che cosa consiste  Limite.
C’è un bambino che si nutre di film, e li sogna; grandicello comincia a frequentare i cineclub della città, concomitante è la lettura di testi illeggibili sul cinema,teoria, prassi , semantica, semiotica …; quindi incontra qualcuno che possiede una cinepresa 16mm o super-8.  La cinepresa è donna.
Il neo filmaker ha dei fotogrammi in testa così come delle singole scene che lo perseguitano e ritornano nelle nocturnal pollutions. Non di solo pane si è nutrito ma di ogni singolo scatto dei ventiquattro al secondo.
Ottiene in dono da Filippo Isolino fotografo alcune bobine di pellicole scadute, - Peixoto usò pellicola pancromatica sviluppata, a volte, suggerendo l’dea di un’ortocromatica - così che all’istante lo assale la voglia di impressionarle.
Senza alcun progetto, con  metà delle bobine prova le possibilità della cinepresa; l’altra metà serve a catturare delle sequenze più stabili e vi aggiunge anche, davanti all’obiettivo, uno, due amici per provare gli angoli, i campi lunghi e i primi piani; tenta pure qualche timido movimento sul proprio asse.
Le pellicole partono per il laboratorio onde essere sviluppate. Al loro ritorno dopo una prima visione vengono tagliate e cucite. Non vi è colonna sonora, quindi nessuna possibilità di commento audio, anche le didascalie vengono rimosse.
Time passes. Il lavoro lo guarda il Ghezzi di turno. Due righe, che diventano quattro, sulle metafore, i tropi e le ellissi contenute nel film, sui richiami a film di autori riconosciuti ed i consueti omaggi ai maestri.




mercoledì 26 febbraio 2014

Cinema di poesia ( per gentile concessione)



C'era una volta
Mari di nostalgia sommergono ogni senso
mentre immagini di vecchia America scorrono
evocando emigranti di vita intrappolati in
infinita memoria.
Malessere da pienezza, piacevole malinconia
di ciò che non ritorna, di amorevoli assenze
che rendono ogni gioia impossibile.
Tra tuffi nel passato e musiche sublimi
i ricordi diventano protagonisti e riportano
trepidanti emozioni di un amore mai vinto,
abbagliato da purezza e candore
di fanciulla ambiziosa , di volare più in alto ,
del suo amato aspirante.
Già finisce una storia che non è mai cominciata,
ma non cessa l'amore nato quasi spiando
passettini di danza così tanto lontani
dalle strade violente di un'America antica.
Un amaro presente di un amore
mancato e una vita rubata dall'amico più amato
Ubriaco d'immagini e di musica rara
spengo giusto quel tasto per accendere
ora ogni mia convinzione e
di viver pienamente ogni amore profondo
e la mia vita, la mia...

Claudio  Silvestro D’Audino

Messina li 17 novembre 2013



martedì 25 febbraio 2014

Mao Tse Tung in Calabria




All’interno dell’Unione dei marxisti-leninisti lavorai come regista nel settore della stampa e propaganda. Ho collaborato a due film: Paola, la storia di un’occupazione di case popolari organizzata e guidata da militanti Uci nella città di Paola in Calabria; e Viva il primo maggio rosso, documentario sulla manifestazione trionfalistica organizzata dall’Unione in varie città d’Italia il primo maggio.
Paola fu progettato da compagni artisti assieme a membri del partito (dirigenti centrali). Fu girato secondo un’idea che in teoria era giusta: protagonista del film doveva essere il popolo di Paola. Il popolo ha le idee giuste e dunque è il popolo che le deve esprimere. I membri del partito non devono parlare per il popolo, devono limitarsi a organizzare le idee per il popolo, a sintetizzarle, lo devono aiutare a risolvere le sue contraddizioni, ecc. ecc. Questi i propositi, che la realtà in parte contraddisse: nell’inchiesta che conducemmo nei quartieri più poveri di Paola documentammo soprattutto una grande sfiducia, nessun ottimismo, un fatalismo disperato nel presente e nel futuro, una scarsa coscienza politica.
Durante il montaggio, le immagini che rappresentavano i vecchi abbandonati, i malati, che indagavano, soffermandovisi, sugli aspetti più ripugnanti e disperati della miseria, vennero in gran parte tagliate, proprio perché il partito le considerava dei compiacimenti decadenti e perché, soprattutto, voleva dare un idea del popolo sfruttato e sofferente, ma attivo, ottimista, rivoluzionario. Tutti i discorsi disfattisti vennero mutilati, conservando per esempio quei punti in cui l’intervistato si scagliava contro i politicanti, i partiti, i parlamentari, in cui manifestava un odio attivo contro i suoi sfruttatori. E si mettevano  nella massima evidenza quei discorsi frammentari, e neppure completamente spontanei, di coloro che avevano già occupato le case popolari e decantavano lo stile proletario e altruistico che si era instaurato tra gli occupanti. (Marco Bellocchio)


Una volta siamo andati a girare un film sulla Sila per l’Unione! Con Franco Angeli, Marco, Lou Castel … Un continuo processo: no, questo fotogramma no, discussioni continue …  Mi guardavo intorno, e nonostante tutto mi divertivo, mi dicevo: guardiamo chi ci può cascare: io, per primo, Marco Bellocchio con quell’aria un po’ da prete, Lou Castel, Franco Angeli che è a ridosso di tutti, i quattro più predisposti! Marco, essendo la persona più nota, era quella più corteggiata. Ma loro poi al partito gli hanno dato due lire, l’unico che ha dato veramente i soldi sono stato io. Con la Sila ho raggiunto il mio culmine e ho lasciato perdere. Così me ne sono andato a Venezia a presentare Umano non umano. E a Venezia c’era un ricco dell’Unione, uno molto ricco che in Sardegna aveva motoscafi che si chiamavano Mao 1 e Mao 2, non scherzo. Mi affrontò e mi disse: “  Tu sei qui? “. E io “ E tu, dove sei? “.(Mario Schifano)

lunedì 24 febbraio 2014

Tristana



Tristana  Luis Bunuel
   Tutto in Tristana sembra essere destinato all’abbandono, alla perdita, alla sostituzione, alla riduzione. Tutto quello che scampa a questo destino finisce in pentola, o nel secchio della spazzatura.  Qualcosa viene riguadagnato, per essere nuovamente perduto, e qualcuno torna al suo posto, per andarsene definitivamente.
Enzo Ungari


domenica 23 febbraio 2014

Law West of Pecos

OGGI

Walter Brennan 1894 - 1974


 The Westerner ( L’uomo del West, 1940 ), assieme a Stagecoach (Ombre Rosse), di un anno più vecchio, sono i film che deviano il genere più classico del cinema sulla via della maturità. Gli unici precedenti, a parte le classiche due bobine ed i successivi lungometraggi dell’epoca prima del sonoro sono The Texas Rangers ( I Cavalieri del Texas, 1936 ) di King Vidor, The Plainsman ( La Conquista del West, 1937 ) di Cecilio De Mille, Wells Fargo ( Un mondo che sorge, 1937 ) di Franco Lloyd.
A differenza di Stagecoach il film di William Wyler, che qui si rivede,  in fase di sceneggiatura  si concentra sulla psicologia che caratterizza le vicende dei due protagonisti: il giudice Roy Bean ed il giovane cavaliere diretto verso la California. Questa particolarità da modo di dipingere da una parte, il giudice Bean, i tratti di un pittoresco matto, occhi maniacali, grinta e devozione da cavalier servente per la sua adorata cantante Lily Langtry; dall’altra, il giovane cavaliere, pacato, laconico,sguardo ironico, svelto nell’estrarre la pistola, elegante cavallerizzo. I due si attraggono a vicenda da subito vuoi per la furbizia del giovanotto, vuoi, nel vecchio, per la mancata paternità: per tutto il film appellerà “ son  “ il giovane Cole Hardin.
Per scansarmi lo svolgimento dei fatti vi accenno soltanto che la trama  a volte dimentica il West, abbozzato nell’eterno conflitto tra allevatori ( rudi migranti ) e contadini ( pacati stanziali ) per concentrare il tutto, come si è detto, sull’amicizia, a volte ambigua, reciproca tra Roy Bean e Cole Hardin. The Westrner, sapientemente , evita tutti i cliché del genere western, attingendo dai tragici greci.
Gary Cooper quando lesse il copione si preoccupò non poco, credendo di vedersi messo da parte, star ormai riconosciuta, da Walter Brennan che si può dire il deus ex machina, il personaggio su cui si concentra la maggior parte del film, mettendo di fianco a volte il signor Cooper. Per lui si imbastì, a consolazione, una tenera love story tra la giovane contadino, già prediletta da uno dei suoi farmer, e lo spilungone infantilmente innamorato.
La sapienza di Jo Swerling e Niven Busch, gli sceneggiatori, nel finale mette sullo stesso piano il matto vecchio ed il furbo giovane: il primo colpito a morte dallo pseudo figlio viene da questi portato davanti all’effige reale dell’adorata cantante per consentirgli di chiudere gli occhi su quella bellezza vagheggiata/vaneggiata per tutto il corso del film.
Il lavoro di William “ Sunset Boulevard “ Wyler alla sua apparizione soffrì per il poco successo al botteghino, rispetto ad altri campioni d’incasso dello stesso periodo, ma alla lunga, come tutte le opere classiche che non vedranno mai il  “ viale del tramonto “, mantiene ancora oggi il suo fascino e molto spesso è stato citato dalle giovani leve che hanno affrontato il western, tra tutti cito solo Sergio Leone Tolstoi “ western’s magister “.
A questo punto rimane solo da lodare il cinematographer  Gregg  Toland che sfrutta al meglio la luce esterna, a volte filtrandola attraverso la polvere come accade nella scena della scazzottata tra Gary Cooper e Forrest Tucker, nel corso della quale i sue si intravedono solo come ombre scure catturate su sabbia chiara.

giovedì 20 febbraio 2014

Estetismo, realismo e realtà


Eduard Kazimirowic Tisse 1897 - 1961

Attualità della storia, verità dell’attore non sono altro che la materia prima dell’estetica del film italiano.
Il reale come l’immaginario appartengono, i arte, al solo artista, la carne e il sangue della realtà non sono più facili da trattenere nella maglie della letteratura o del cinema di quanto non lo siano le fantasie più gratuite dell’immaginazione. In altri termini, quando l’invenzione e la complessità delle forme non riguardano più il contenuto stesso dell’opera, non per questo cessano di esercitarsi sull’efficacia dei mezzi. E’ per averlo dimenticato un po’ troppo che il cinema sovietico è passato in vent’anni dal primo all’ultimo posto fra le grandi produzioni nazionali. Se il Potemkin ha potuto sconvolgere il cinema non è solo a causa del suo messaggio politico, e neppure perché sostituiva lo staff dei teatri di posa con gli ambienti reali e la star con la folla anonima, ma perché Ejzenstejn era il più grande teorico del montaggio dei suoi tempi, perché lavorava con Tissé, il miglior operatore del mondo, perché la Russia era al centro della riflessione cinematografia, in una parola perché i film “ realisti “  che essa produceva nascondevano più scienza estetica che non le scenografie, le luci e l’interpretazione delle opere più artificiali dell’espressionismo tedesco.
Lo stesso vale oggi per il cinema italiano. Il suo realismo non comporta affatto una regressione estetica, ma al contrario un progresso dell’espressione, un’evoluzione conseguente del linguaggio cinematografico, un’estensione della sua stilistica.
Bisogna innanzitutto capire bene a che punto si trova il cinema oggi.  Dopo la fine dell’eresia espressionista e soprattutto dopo il parlato, si può ritenere che il cinema non abbia smesso di tendere verso il realismo. Vogliamo dire in sostanza che esso vuol dare allo spettatore un’illusione il più perfetta possibile della realtà, compatibile con le esigenze logiche del racconto cinematografico e i limiti attuali della tecnica. In questo il cinema si oppone nettamente alla poesia, ala pittura, al teatro, per avvicinarsi sempre di più al romanzo.

 Il neorealismo e il post-neorealismo.
Il cinema italiano secondo André Bazin, op. cit.
tratte da Che cos’è il cinema?, Garzanti, trad. Adriano Aprà


martedì 18 febbraio 2014

Un sincero suddito di Francesco II Borbone




Renato Terra ne Il brigante di Tacca del Lupo di Pietro Germi
con alle spalle le Rocche di Prastarà presso Montebello Ionico, e  Pentedattilo

lunedì 17 febbraio 2014

L'assedio



Incredibile ma vero. Ubaldino, quel che fu il capo, confessato da tutti, del  Cineforum   “ Peppuccio Tornatore “ dal suo ritiro presso l’oratorio Don Orione, raccogliendo un pugno di apostoli a lui fedeli, tra tutti abbiamo notato il fido Trupianoi, non ascoltando Cicco Pino la voce, amica, che cercava di frenare un ardore mai visto in lui, ha sferrato un attacco al cuore del Circolo di Cultura di Cinematografica “ Yasujiro    Ozu “.
Dopo un primo sgomento Caratozzoli, chiamato d’urgenza a lasciare la cellula del Partito dove presiedeva una riunione della commissione cultura e spettacolo, precipitatosi alla sede del Circolo sopra menzionato, indossato un elmetto  ed afferrato un mitra, vedendolo a molti ha ricordato l’eroe cileno Salvador Allende, anche per il grido di battaglia lanciato dai suo partigiani, “ el pueblo unido jamàs serà vencido “, ha difeso strenuamente e sbarrata la via a Ubaldino ed i suoi apostoli.
Ubaldino costretto alla fuga ha rilasciato un comunicato in cui afferma la nuova amara sconfitta e la volontà di ritirarsi sul colle Ignatianum, dentro l’istituto gesuita onde far ritiro spirituale per almeno due anni dopo il quale scrivere un saggio su “ La fede contadina nell’opera di Augusto Genina Cielo sulla palude “.
Presso il Circolo di Cultura Cinematografica “ Yasujiro    Ozu “ dopo l’acclamata vittoria il comitato centrale ha deciso di proiettare per due giorni, gratuitamente, Il sole sorge ancora di Aldo Vergano, allargando l’invito a tutta la cittadinanza zanclea.

domenica 16 febbraio 2014

undici mesi in Calabria, seimila comparse, 200.000 metri di pellicola


Il film che per me è il piú importante e  che la gente conosce meno è Il brigante. Nasceva da una proposta di Rizzoli. Il libro era  di Berto. Sono stato quattro mesi in Calabria a vedere e a parlare con la gente. Non  contento di questo ho portato con me Berto  perché mi mostrasse i posti che aveva de-  scritto e ho caricato in macchina anche Antonello Trombadori, perché è una persona  straordinaria per parlare con la gente. Ho  fatto un'inchiesta a fondo sulla gente del  crotonese. Quando sono tornato ho detto a  Rizzoli che volevo fare un'altra storia, quel-  la di un uomo che avevo conosciuto in Calabria, uno che viveva con due mogli e tanti  bambini, in una serenità straordinaria, uno  che aveva partecipato all'occupazione delle  terre. Lui fece un sacco di storie e io ebbi  l'ingenuità di pensare di mettere il mio film  nel film di Rizzoli, cosí venne troppo lungo.  Malgrado questo è stato il migliore film che  ho fatto. C'era anche il racconto storico del-  la grande speranza che il mondo cambiasse  in cinque o anche quindici anni, che è un'i-  dea sciocca, perché il mondo cambia in cento, duecento anni, è una questione di evoluzione di generazioni. Il film raccontava tutte  queste grandi speranze che a poco a poco si  sono infossate come nelle sabbie mobili.  L'ho girato in assoluta libertà, perché  non mi ha posto limiti: sono stato undici  mesi in Calabria ed ho amministrato personalmente il film. Il brigante è stato fatto nel  1960 ed è costato 98 milioni. Nelle scene  dell'occupazione delle terre ci sono 6.000  comparse. Non farò piú un'impresa del genere perché sono diventato matto. Ho girato  200.000 metri di pellicola, però avevo una  troupe piccolissima, questa volta con il sonoro, con tutta gente presa sul posto. Quando è finito, il film ha fatto impressione, la  gente stava lí tre ore e mezzo a vederlo. Poi i  distributori hanno cominciato con le loro richieste di tagli e anche Chiarini, che lo voleva per Venezia, mi ha chiesto di tagliarlo un  po'. È andata via quasi un'ora e il film si è  un po' squilibrato. A Venezia, appena si è  spenta la luce ed è cominciato il film (c'era  un pubblico molto elegante, era il boom), si  è sentita una signora lagnarsi di vedere ancora un film di straccioni. Questa era l'atmosfera. Mi era costato anni di fatica. A volte la gente si crede in diritto di liquidare  tutto con due parole. Io Il brigante lo difendo: c'è dentro un tale amore al lavoro, una  tale quantità di fatica. Tre anni interi! Ai  critici Il brigante non piacque. Lo trovarono  démodé. Nel clima del miracolo economico  certe istanze erano démodées. Ai critici del  miracolo andavano bene i film nebulosi,  sfuggenti, i famosi film con “la passeggiata”. (Renato Castellani)     

L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti  a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli op. cit.

giovedì 13 febbraio 2014

C'era una volta in Calabria


Con tutti i difetti che derivano dalla sceneggiatura, dello stesso regista, e dai tagli subiti nelle corso delle prime proiezioni, in origine superava le tre ore abbondanti, rimane ancora oggi il film più importante girato in Calabria. I temi che affronta, il brigantaggio e le lotte contadine finite con l’occupazione delle terre, lo collocano tra le poche pellicole che affrontano il meridionalismo con ardore.
La storia riprende quella che fu del Musolino di Mario Camerini innestandola con le rivolte agrarie nel crotonese ed a Melissa in particolare, insanguinate da parte della celere statale che uccise tre poveri braccianti i cui nomi qui si vuole ricordare: Angelina Mauro, Francesco Nigro e Giovanni Zito.
L’opera rievoca quanto accadde nella Calabria  a partire dagli anni fascisti, anni di ruberie da parte di chi rappresentava il potere centrale a spese di chi lavorava la terra; al ritiro dei soldati tedeschi in fuga verso il nord; all’arrivo degli americani, che instillarono un barlume di speranza tra quanti subivano, inermi, lo strapotere dei latifondisti; sino al ritorno sotto nuove divise, questa volta bianche, degli stessi uomini con nuove promesse mai mantenute. Il film è una favola, in cui tutto resta uguale malgrado gli sforzi degli uomini ( Sergio Trasatti).
Oggi la pellicola ricorda i futuri Novecento di Bernardo Bertolucci, I cancelli del cielo di Michael Cimino e per certi aspetti della storia del ragazzo in crescita, spettatore di quanto accade, Malena di Giuseppe Tornatore.
Renato Castellani è saggio nel servirsi delle luci di Armando Nannuzzi, operatore Giuseppe Ruzzolini ; delle forbici di Jolanda Benvenuti e della partitura di Nino Rota che a tratti riecheggia quella composta per Il Padrino di Francis Ford Coppola dieci anni più tardi.
Il regista girando il film tra Santo Stefano d’Aspromonte ed il crotonese tenta di recuperare gli stilemi, ormai abbandonati, neorealisti, per l’uso che ne fa degli attori quasi tutti non professionisti: ora si menzionano Giovanni Basile, l’appuntato Fimiani, e Mario Jerard che interpreta Pataro, uomo di molte donne e di molti figli la cui storia era l’origine del film.
Ancora una volta, non si comprende bene perché, in un film di ambientazione squisitamente calabra, si fanno doppiare gli attori in ispanico-siciliano ,e, a livello più basso, si mette in bocca ad uno dei protagonisti maschili Ciuri ciuri, canzone sicula più che mai. Lasciamo da parte Calabrisella mia che in quanto a testo e musica sono quel che sono, che Mino Reitano era ancora un infante ed il Boss di là da venire con Bad Lands, ma a livello popolare qualche refrain verdiano doveva pur sempre serpeggiare. Cade così, infine, quell’adesione al neorealismo che abbiamo citato prima. Del resto Castellani era stato accusato, ai suoi tempi, di aver reso quel movimento cinematografico, di color rosa.