giovedì 31 ottobre 2013

Amore e rifiuto della realtà

I film italiani recenti sono perlomeno pre-rivoluzionari: tutti rifiutano, implicitamente o esplicitamente, con l’umorismo, la satira o la poesia, la realtà sociale di cui si servono, ma sanno, anche nelle prese di posizione più chiare, non trattare mai questa realtà come un mezzo. Condannarla non obbliga alla cattiva fede. Essi non dimenticano che prima di essere condannabile, il mondo, semplicemente, è.  … ma ditemi se, uscendo dopo aver visto un film italiano, non vi sentite migliori, non avete voglia di cambiare l’ordine delle cose, ma di preferenza persuadendo gli uomini, almeno quelli che possono esserlo e che solo l’accecamento, il pregiudizio o la sfortuna hanno condotto a fare del male ai loro simili.
Per questo quando se ne legge il riassunto, la storia di molti film italiani non resiste al ridicolo. Ridotti all’intrigo, molto spesso, non sono che melodrammi moraleggianti. Ma nel film tutti i personaggi esistono con una verità sconvolgente. Nessuno è ridotto allo stato di cosa o di simbolo, il che permetterebbe di odiarli senza dover superare preliminarmente l’equivoco della loro umanità.

Per il momento il cinema italiano è molto meno politico che sociologico. Voglio dire che delle realtà sociali così concrete come la miseria, il mercato nero, l’amministrazione, la prostituzione, la disoccupazione non sembrano ancora aver ceduto il posto nella coscienza del pubblico ai valori a priori della politica. I film italiano non ci informano quasi per niente sul partito a cui appartiene il regista, e neppure su quello che accarezza. Questo stato di fatto deriva senza dubbio dal temperamento etnico, ma anche dalla situazione politica italiana e dallo stile del partito comunista della penisola.
André Bazin, op. cit.

mercoledì 30 ottobre 2013

San Rocco patrono dell'Aspromonte

Rivalità in Aspromonte
Regia   Giuseppe De Santis
Sceneggiatura  Corrado Alvaro, Ivo Perilli, Steno, Vincenzo Talarico, Giuseppe De Santis
liberamente tratta  da La festa di San Rocco di Nicola Misasi.
Fotografia Aldo Tonti
Musiche Enzo Masetti
Montaggio Adriana Novelli

Amedeo Nazzari  massaru Giovanni
Silvana Mangano  Stella
Vittorio Gassman  Peppino
Jacques Sernas  Luigiuzzu
Rocco D’Assunta  massaru Peppe
Guido Celano  massaru Cola
Edoardo Nevola Santuzzu
Olga Solbelli moglie di massaru Giovanni

Dino De Laurentis propose a Giuseppe De Santis di riprendere il cast de Il Lupo della Sila visti i clamorosi risultati al botteghino di Riso amaro,del lo stesso Lupo, e de Il brigante Musolino.
De Santis convoca Corrado Alvaro ed assieme a Ivo Perilli, Steno e Vincenzo Talarico sceneggiano una novella di Nicola Misasi, La festa di San Rocco, scrittore cosentino della fine dell’800.
E’ la storia di Peppino e Luigiuzzo che rivaleggiano per la mano della bella Stella, con un finale rusticano il giorno della festa di S. Rocco, promessa sposa al primo sebbene avuta già dal secondo.
Gli attori nelle mani del regista si affannano quanto basta per portare a casa il dovuto, come da contratto. La Mangano in più cerca, in questo aiutata dal neo marito De Laurentis, di rafforzare la sua carriera con ruoli di tragica popolana.
Infine il direttore De Santis convinto di essere l’unico a saper manovrare  dolly ( all’epoca si chiamava gru ) e carrelli, li porta a spasso  a salire e scendere sugli altopiani aspromontani ed il dì della festa di San Rocco.
Il critico Johnny Carteri di Brancaleone sulla fanzine Calabria Forever, che si pubblica a New York incriminò il film di plagio ed affermò che Howard Hughes con Jane Russell aveva fatto di meglio ne Il mio corpo ti scalderà (The outlaw).  A suo sostegno André Bazin asserì a proposito del film di De Santis: Peppino e Luigiuzzu si contendono la stessa donna ma amano lo stesso San Rocco.


martedì 29 ottobre 2013

Delenda Carthago

OGGI



Carmine Gallone (1886 – 1973)  non contento dei romani e di Cartagine, dopo aver raso al suolo quest’ultima sotto il regime fascista la riedifica e la brucia definitivamente sotto il regime democristiano, sempre per opera di Scipione, africano nel fascio, Emiliano in epoca pre-centrosinistra.
Ancora. Nella prima pellicola Scipio era un pezzo di legno sotto le fattezze di Annibale Ninchi, nel secondo è uno spauracchio alle porte della città che fu l’alcova di Didone ed Enea.
Ancora. In bianco e nero il film reggeva molto bene per virtù della giovinezza di Carminello  e le luci di Ubaldo Arata e Anchise Brizzi. Di poi, vecchiotto, Carminello, non bastano il technicolor ed il technirama di Piero Portalupi a salvarlo, tanto è senza sale ciò che si agita dentro, compreso il Mario, Terence, Hill, Girotti, il più insipido degli attori nostrani, qui alle prime … armi.
Ancora. Fine. Dei due disastri cartaginesi ricordiamo Camillo Pilotto nel primo, sotto le spoglie di Annibale, non Ninchi, e nel secondo Erno Crisa che fa Asdrubale.
Il resto sono masse di carne umana ed equina spostate avanti e indietro per mare e per terra con cartapesta sullo sfondo, un po’ come erano i regimi sopra menzionati.


lunedì 28 ottobre 2013

Kyrie per Ralph, Piggy e Jack

Musatti in un suo lavoro pioneristico: "Cinema e psicoanalisi" (1960) aveva segnalato l'analogia tra sogno e cinema perché i sogni e le immagini filmiche presentano un carattere di realtà, che pur tuttavia non si inserisce nella realtà medesima. La realtà dell'azione cinematografica è per Musatti una realtà presentata, non rappresentata come a teatro, in cui uomini e scene appartenenti al nostro mondo si appropriano di un dato significato, ma perchè quest'altro mondo viene come tale dispiegandosi alla nostra presenza.
Morin (1982, pag. 154), ponendosi lo stesso intento di Musatti di verificare le analogie tra sogno e cinema, osserva che:". . . le strutture del film sono magiche e rispondono ai medesimi bisogni immaginari di quelle del sogno; la seduta cinematografica rivela caratteri para- ipnotici (oscurità, fascino stregato dell'immagine, rilassamento , passività e impotenza fisica).
Ma il "rilassamento" dello spettatore non è ipnosi. . . questi sa di assistere a uno spettacolo inoffensivo, mentre il sognatore crede nella realtà assoluta del suo sogno assolutamente irreale. . . . Così rispetto al sogno. . . il cinema è un complesso di realtà e di irrealtà. . . Più vicino al cinema è il sogno da svegli, anch'esso a cavallo tra veglia e sonno. "
Per Metz (1980 ) il cinema è come per Morin un'unità dialettica tra reale e irreale, e anche per lui lo spettatore, durante la proiezione di un film, si trova in una dimensione mentale, che non è nè di sogno nè di veglia: una situazione intermedia tra le due dimensioni, che egli definisce come uno stato di reverie.
La reverie, secondo Bion (1972 ), è uno stato mentale simile al sogno in cui la madre, identificandosi nel bambino, si lascia trasportare dai ricordi e dall'immaginazione per aiutarlo a dare un senso ai contenuti emozionali ed affettivi proiettati su di lei, come d'altronde un'analista con la sua reverie cerca di aiutare il paziente a dare un significato ai propri. La reverie è inoltre uno dei fattori della funzione alfa, la funzione della mente che, per Bion, consente alle impressioni sensoriali e alle esperienze emotive (elementi beta) di venire trasformate in immagini visive o in immagini corrispondenti a modelli uditivi, olfattivi, ecc ed essere utilizzate per:pensare, sognare, ricordare o esercitare le funzioni intelettuali.
Etchegoyen (1990 ) ipotizza che la reverie di Bion assomigli molto alla sfera dell'illusione di Winnicott (1974, pag. 43), che la definisce come :". . . area intermedia d'esperienza, di cui non si deve giustificare l'appartenenza nè alla realtà interna né alla realtà esterna (e condivisa). . . che per tutta la vita viene mantenuta nell'intensa esperienza, che appartiene alle arti, alla religione, al vivere immaginativo ed al lavoro creativo scientifico".
Queste considerazioni sulla reverie e sulla funzione alfa ci possono, quindi, permettere di affermare che il processo di pensiero necessiti oltre che della riflessione, funzione della mente che trae dalla realtà esterna le valutazioni per operare su di essa razionalmente, anche dell'immaginazione creativa per cogliere gli aspetti affettivi ed emotivi dell'esperienza in cui non si deve giustificare l'appartenenza nè alla realtà interna nè a quella esterna.
Adesso se noi consideriamo la relazione paziente- analista nella condizione di essere compresa come un testo narrativo: letterario, filmico, ecc. , secondo i recenti orientamenti psicoanalitici (Ferro, 1992, 1996), possiamo, credo legittimamente, supporre anche la possibilità opposta; cioè che l'interpretazione di un testo, da parte di uno psicoanalista sia il risultato di un'operazione di pensiero simile a quella che egli adotta nell'analisi di un paziente. Un pensiero sospeso tra coinvolgimento empatico, reverie e riflessione, che per l'esame di un film si sviluppa tra l'azione della simbolizzazione, identificazione con le immagini e quella della razionalizzazione, separazione dalle immagini e analisi delle stesse.
L'attività del prevalere della funzione simbolica nello spettatore viene suggestivamente espressa dai film in cui lo spettatore, improvvisamente, entra per un processo di magia cinematografica nel mondo stesso che sta osservando, e partecipa alla sua azione narrativa; oppure l'inverso come nel film di Woody Allen: "La rosa purpurea del Cairo" in cui l'attore protagonista si materializza nella sala cinematografica per una sorta di evocazione fantastica anch'essa magica da parte di una triste e desolata spettatrice. Mentre quella della razionalizzazione può esprimersi nelle considerazioni e nelle analisi critiche di un medio spettatore attraverso il suo giudizio sulla capacità di recitazione degli attori, l'abilità del registra, il valore degl effetti speciali, la tecnica della fotografia, la qualità della narrazione, ecc. , oppure del cinefilo più sofisticato che per le sue analisi si richiama alle ultime teorie di semiologia del cinema. (Ballauri 1994. a, b)
Il film, "Il Signore delle mosche" di P. Brook, che mi accingo ad esaminare faceva parte di un gruppo di dieci del genere:Cinema e Follia, da me utilizzati come ausilio didattico per un corso di lezioni, tenuto presso la Clinica Psichiatrica dell'Università di Genova , avente come tema:" Psicosi e immaginario cinematografico", ed è quello che più ha stimolato in me un processo di reverie per cercare di rendere pensabile, come psicoanalista, il violento impatto emozionale suscitatomi. I modelli teorici a cui mi sono riferito nella riflessione sul testo filmico, che si è accompagnata alla mia attività di reverie, sono quelli di Bion (1971, 1972) sui gruppi e sulla conoscenza.
"Il Signore delle mosche" è tratto da un romanzo di Golding (1992), premio nobel del 1983, il libro nacquè con l'intenzione dell'autore di scrivere per se stesso e di sviluppare in forma di romanzo le riflessioni che aveva compiuto sui risultati di un esperimento didattico a cui aveva preso parte nella sua scuola.
Su iniziativa del direttore, le classi di IV elementare venivano divise in due gruppi, e mentre uno di loro faceva da arbitro e supervisore, si dibatteva una questione. Un giorno Golding pensò di spingere oltre questo esperimento: decise di uscire dall'aula e di dare alla classe piena libertà.
Le sue pessimistiche previsioni trovarono conferma, fu obbligato ad affrettarsi a rientrare in classe per impedire che la situazione degenerasse nel caos o nella rissa aperta.
Questo avvenimento viene trasformato nella finzione del romanzo e riproposto nel film con fedeltà quasi totale dal regista Peter Brook, in un soggetto di violenza drammatica e sconvolgente.
Brook è soprattutto un registra teatrale, alcuni dei suoi rari film sono trasposizioni teatrali come il Marat- Sade e il Mahabarata.


Analisi del film:Il Signore delle mosche.

TITOLO ORIGINALE:Lord of the flies
: PRODUZIONE G. B. -1963-b/n
REGIA: Peter Brook.
INTERPRETI: James Aubrej, Tom Chapin,
Hugh Edwards, Roger Elwin
(Reperibile in videocassetta).

Un aereo con una ventina di scolari inglesi cade (sembra che stia iniziando una guerra nucleare) su un'isola deserta: i ragazzi dapprima sono uniti, ma poi prende il sopravvento un gruppo che regredisce allo stadio tribale, dedicandisi al culto di una testa di cinghiale, il "Signore delle mosche", eufemismo biblico per Satana. (Breve scheda tratta dal "Dizionario dei Film", a cura di P. Margheriti Ed. Baldini e Castoldi, Milano, 1993)

Sta per scoppiare un conflitto atomico, e la domanda che il film pone immediatamente è questa: sopravviveranno gli uomini e le loro istituzioni di fronte a tale violenza distruttiva?
Sulla spiaggia, dopo essere usciti dalla fitta foresta , incontriamo Ralph e Piggy, che si chiedono se ci sono altri sopravvissuti.
Sembrano due ragazzini riflessivi, una volta si sarebbe detto giudiziosi. Ralph ricorda il padre, autorevole comandante di marina, Piggy la zia. I soli bambini di cui possiamo conoscere qualche informazione intorno alla loro famiglia , rappresentata da un padre o da una zia, che appaiono ai ragazzi figure di riferimento autorevoli da prendere come esempio. Certo Piggy è obeso e affetto da una forma d'asma , ma i conflitti interni di cui potrebbe soffrire non sembrano escludere la sua capacità di osservazione e di giudizio.
Il ritrovamento della conchiglia permette di richiamare gli altri dispersi e ne comprendiamo subito il suo valore simbolico di assemblea.
Poi scorgiamo i ragazzi del coro, che in fila ordinata e cantando il Kyrie arrivano al luogo dell'adunata, marciando sulla spiaggia. Dal gruppo appena arrivato emergono Jack e Simon. Jack è il capoclasse e il capocoro, ma non sembra possedere figure interne autorevoli, infatti si chiede come potranno risolvere il loro problema di sopravvivenza senza adulti. La sua domanda del tutto legittima sembra però troppo ovvia e legata ad una concezione della società molto gerarchica, dove tutto funziona se prima ci sono gli adulti, che insegnano, poi i capiclasse , i capicoro ed infine i ragazzi o i bambini come semplici gregari.
Simon, pur essendo uno studente del coro, risulta diverso dagli altri ragazzi. Sembra più sensibile e delicato di loro , perché appena arrivato nel luogo dell'adunata sviene e poi nella sequenza dell'esplorazione dell'isola è l'unico bambino che con dolcezza accarezza una lucertola e con ammirazione contemplativa osserva un fiore esotico. Jack al contrario esprime un disinteresse e disamore verso ciò che non è immediatamente utilizzabile per un "cacciatore", per lui lo scopo primario è procurarsi del cibo e l'evento piu importante è la scoperta del maialino.
Ritornati dall'esplorazione dell'isola i ragazzi relazionano all'assemblea le scoperte effettuate ed emerge in loro l'orgoglio per l'origine inglese ed aristocratica, che li spinge ad organizzarsi razionalmente. Essi eleggono democraticamente un capo Ralph e decidono la suddivisone funzionale dei compiti per affrontare la sopravvivenza. Pare quindi delinearsi la nascita di un gruppo di Lavoro finalizzato alla collaborazione e al raggiungimento degli obiettivi concernenti la possibilità di salvezza. Ma le paure e le angosce temporaneamente sopite emergono attraverso Perceval, che si fa portavoce della probabile esistenza di un mostro sull'isola. Perceval, come il suo omonimo della ricerca del Graal o come il coro della tragedia greca, non dobbiamo dimenticare che Brook è soprattutto un registra teatrale, è colui che deve porre la domanda, dalla cui risposta dipenderà o meno la salvezza del gruppo. E' come se Perceval ammonisse gli altri bambini in questi termini:"Dobbiamo fare i conti con qualcosa di ignoto, ma che esiste , sta a noi individuare se è all'esterno o dentro di noi. Ha la forma di un mostro perché rappresenta le nostre angosce di bambini sperduti su un'isola deserta senza adulti, mentre è in atto la prospettiva di una guerra atomica, che significherebbe una frattura senza precedenti delle condizioni di convivenza civile antecedenti. Ci troviamo allora di fronte ad una scelta o accettare la frustrazione il dolore di questa nuova realtà per una crescita e maturazione individuale o di gruppo, oppure intraprendere altre vie, e la più terribile sarebbe proprio quella di negare l'origine interna del mostro. "
L'idea di accendere il fuoco per richiamare l'attenzione di eventuali soccorritori, viene accolta dall'assemblea con entusiasmo. Il fuoco, che possiamo considerare in questo contesto il simbolo della luce della ragione e strumento di salvezza, prevale difronte alle angosce sull'esistenza del mostro. Gli occhiali di Piggy, utilizzati come lente che riflettendo il sole accende la paglia, potrebbero anch'essi di "riflesso" rappresentare la percezione e la conoscenza. Notiamo pero che l'utilizzo degli occhiali di Piggy avviene in modo brusco e violento da parte di Jack. E in modo improvviso il fuoco si spegne, impedento la possibilità che venga scorto da un aereo in volo sull'isola.
Il sotto-gruppo specializzato nella caccia, capitanato da Jack con il compito di vegliare il fuoco, troppo coinvolto nel tentativo di catturare un maialino, e quindi spinto dal bisogno immediato di procurarsi il cibo, si dimentica di questa mansione.
Il bisogno immediato di cibo e l'entusiasmo per la caccia conseguente prevalgono sulla necessità di considerare anche l'altra possibilità di sopravvivenza legata al fuoco come segnale d'aiuto, ed espressione altresì della capacità di saper aspettare il soddisfacimento pulsionale, e così di apprendere a "pensare".
Possiamo individuare nell'euforia ipomaniacale dei cacciatori per l'uccisione del maialino, espressa dal canto rude e violento :"Viva la caccia, viva la guerra", un tentativo di difesa di fronte alla consapevolezza dell'angoscia depressiva attraverso la negazione della loro condizione di bambini soli e abbandonati, in balia di pericoli interni ed esterni, che Perceval aveva evidenziato parlando nell'assemblea del mostro.
Possiamo supporre , inoltre, come la rottura di una lente degli occhiali di Piggy da parte di Jack, dopo essere stato rimproverato da lui per aver lasciato spegnere il fuoco, rappresenti un tentativo di attacco alla percezione e al pensiero e quindi alla presa di coscienza della realtà in cui si trovano.
Malgrado questa frattura iniziale, dovuta allo spegnimento del fuoco, il gruppo si ricompone. Jack durante l'assemblea ammette:"sì, abbiamo sbagliato, ma adesso dobbiamo proteggervi dal mostro", e si ripropone come il leader del sottogruppo dei cacciatori.
Percepiamo, però, in questi avvenimenti la possibilità di future e più inquietanti fratture tra una parte ristretta di ragazzi Ralph, Piggy e Simon, che cercano di affrontare la realtà con la riflessione e il pensiero, ed un'altra più numerosa con a capo Jack , che sembra tendere ad organizzarsi come gruppo, dominato dall'assunto di base Attacco e Fuga che necessita per sopravvivere di trovare nemici da attaccare: il maialino, Piggy la coscienza razionale e critica, (il cui nomignolo ci suggerisce un altro maialino) e il mostro.
Il primo tempo del film finisce con Ralph e Piggy che dialogano, mentre è in corso il tramonto sulla spiaggia, preoccupati di non riuscire a controllare l'unità del gruppo, per di più dopo che Perceval ha riproposto l'esistenza del mostro, affermando di averlo visto strisciare mentre usciva dal mare. Notiamo che nel colloquio tra Ralph e Piggy, Simon è presente, ma silenzioso. Il suo silenzio sembra essere dovuto al timore di non essere preso in considerazione , come è avvenuto quando nella risposta a Perceval sul mostro aveva suggerito all'attenzione del gruppo questo pensiero: "Forse siamo soltanto noi che c'è lo immaginiamo".
Osserviamo nella seconda parte del film un crescendo di violenza e distruzione, che culmina con l'uccisione di Simon e Piggy e il tentativo non riuscito nei confronti di Ralph. Un'evoluzione sempre più drammatica verso l'eliminazione nel gruppo dello sviluppo e crescita del pensiero, sia nella sua componente"contemplativa", appannaggio di Simon, che in quella razionale, appannaggio di Ralph e Piggy.
Dopo che il mostro è stato "scoperto" da due bambini e riconosciuta quindi la sua esistenza esterna al gruppo, il gruppo si scinde definitivamente. Da una parte Jack e i cacciatori, che si dipingono il viso come guerrieri selvaggi, divenuti ormai un gruppo, dominato dall'assunto di base Attacco- Fuga, che ha trovato il suo nemico da combattere; dall'altra Ralph e Piggy, che cercano ancora di mantenere il fuoco acceso, un ultimo barlume di ragione, mentre Simon decide di esplorare e di apprendere da un'esperienza diretta se il mostro esiste veramente.
E' molto suggestivo lo stacco ripetuto che Brook effettua, oscillando l'inquadratura sui cacciatori alla ricerca di un altro maialino e sui ragazzi in spiaggia intenti ad occuparsi del fuoco, per sottolineare la contrapposizione tra i due gruppi e la scissione ormai avvenuta.
La colonna sonora intanto ripropone ossessivamente il canto del Kyrie, che ormai non riesce piu a svolgere il suo compito di richiamo ai meccanismi difensivi della formazione reattiva o della sublimazione nei confronti dell'aggressività anale, che si manifesta direttamente con espressioni ormai solo scurrili quali:" Piggy è un sacco di merda", "tu lecchi sempre il culo a Piggy", "gliel'ho infilato nel culo".
Simon dirigendosi verso la montagna per scoprire la verità, incontra la testa di un maialino infissa su una lancia e offerta da Jack al mostro. Si sofferma di fronte a questa in meditazione, come se preavvertisse l'imminente catastrofe, non piu dilazionabile in quanto il gruppo dei cacciatori per esistere come gruppo regolato dall'assunto di base Attacco e Fuga deve identificarsi con l'aggressore (il mostro), il quale a sua volta per esistere necessità di vittime da sacrificare, in un circolo perverso dove viene negata la ragione e il pensiero. I cacciatori infatti, poco dopo, attaccano lo sparuto gruppo di Ralph e Piggy per rubare gli occhiali di Piggy ed iniziare la festa con il pasto tribale del maialino catturato. Ralph e Piggy, avviliti, delusi e affamati si associano a loro, con una partecipazione distaccata, mentre la festa si svolge in un crescendo di danze frenetiche ed indemoniate, dove l'eccitazione raggiunge livelli parossistici, solo in parte attenuati dalla scarica motoria.
Inizia a piovere e a tuonare, Simon dalla foresta sta correndo verso di loro sulla spiaggia per annunciare la scoperta della verità :il mostro non è altro che un pilota morto, arrotolatosi nel suo paracadute, dopo essersi sfracellato sulla roccia, ma scambiato egli stesso per i mostro viene ucciso, infilzato dalle lance di legno.
Dopo queste sequenze drammatiche il gruppo si placa con la convinzione che il mostro si sia trasformato in Simon, per cui ogni presa di coscienza dei sensi di colpa si allontana e viene negata, ma ormai il gruppo identificatosi completamente con il mostro ha bisogno di altre vittime.
La prima è stata Simon personificazione del pensiero intuitivo e contemplativo, la seconda sarà Piggy interprete della coscienza razionale, il cui nomignolo si spoglia di ogni valore simbolico, mentre precipita sugli scogli con ancora in mano la conchiglia. Ed infine Ralph controparte di Piggy, che si salva , dopo essere diventato una preda braccata nella foresta, per l'arrivo dei marinai, sbarcati sulla spiaggia dell'isola in loro soccorso.
Il canto del Kyrie accompagna i titoli di coda come a significare che il Super-Io riprende il controllo sull'Es e si ripropone come tutore dell'ordine, delle istituzioni e della civiltà; ma alla domanda iniziale non possiamo dare una risposta convinta , perché non riusciamo completamente a capire dal contesto narrativo, se la guerra è effettivamente iniziata, è finita o è ancora in corso?   Giuseppe Ballauri


L'originale è qui:

giovedì 24 ottobre 2013

From William Golding to Peter Brook

OGGI
AL CINEFORUM PEPPUCCIO TORNATORE


“ Non avevo bisogno di una sceneggiatura e tutto quello che volevo era una modesta somma di denaro, bambini, una macchina da presa e una spiaggia …se il libro di Goding è un concentrato della storia dell’uomo, la storia della realizzazione di questo film è come un concentrato della storia del cinema, che fa luce su tutte le insidie, le tentazioni e le sofferenze patite a diversi livelli “. Peter Brook


In un’isola dell’oceano indiano precipita un aereo che trasporta bambini nel tentativo di allontanarli da un prossimo conflitto, questa volta nucleare, in Europa; dal Regno Unito erano diretti in Australia. Sono rampolli di gente al potere: nobili, militari, borghesi, insomma ricconi e con i soldi in Svizzera. Provengono da svariati collages con solide basi lutero-calviniste o da esso derivati come anglicani.
Una volta riuniti i piccoli superstiti ed eletto un capo comincia la lotta di prevaricazione da parte del sottocapo, colui che comanda i cacciatori ma soprattutto comanda gli addetti al fuoco, acceso come segnale di avvistamento. E’ davvero una lotta intestina che porta all’annientamento dei più miti e dei più saggi, condotta a termine da coloro che sono ritornati ad uno stato di imbarbarimento sfrenato.
Sul capolavoro di William Golding ,1911 – 1993, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1983, da cui il film è tratto si è detto di tutto e con competenza specifica, lo stesso accadde e continua ad accadere oggi  al film di Peter Brook, un’opera che lascia sbalorditi soprattutto per l’aiuto che il regista ha avuto da Tom Hollyman e Gerald Feil sul piano figurativo.
Quello che mi pare non evidenziato, sia per il romanzo originale sia per il film di Peter Brook, è l’aspetto ludico preferendo mettere l’accento sulla metafora, che i due certamente propongono, col, mondo degli adulti e la progressiva affermazione dei poteri nell’avanzata della civiltà.
Bambini e ragazzi non smettono di giocare, un po’ come avveniva nei piccoli spettatori del cinema Loreto di Platì che dopo aver assistito alle nefande avventure dei grandi, usciti dal cinema, ispirati, cercavano di riprodurle sotto forma di gioco nella fiumara.
Nel romanzo come nel film il male è reale ed il sangue è rosso.

mercoledì 23 ottobre 2013

martedì 22 ottobre 2013

Le olive sono mature

In attesa di una fiction su una bella raccoglitrice di olive e sulla dura fatica che facevano segnalo questo bel documentario di Luigi Di Gianni. Il regista cattura e registra un  momento della storia calabrese al suo termine, consegnandoci immagini abbastanza realiste sulla fatica delle donne.


lunedì 21 ottobre 2013

Una vita al margine del cinema

Renato Terra
Napoli, 26 luglio 1922 – Roma, 28 novembre 2010
Con Pietro Germi, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Valerio Zurlini e molti, molti altri.
Da napoletano divenne sullo schermo siciliano e soprattutto calabrese.

giovedì 17 ottobre 2013

Don Peppino Musolino




« Nd'ebbiru alligrizza chiddu jornu
quandu i giurati cundannatu m'hannu...
ma si per casu a lu paisi tornu
chidd'occhi chi arridiru ciangirannu »

Se avete mai assistito ad un’opera dei pupi vi potete fare un’idea di questo film, Il brigante Musolino di Mario Camerini. Il pupo protagonista muovendosi a scatti, voce grossa grassa, bastona tutti, ma è anche innamorato; i carabinieri fanno da contorno.
Nella realtà Giuseppe Musolino ( 1876 – 1956 ) accusato di un crimine non commesso, esasperato, non riconoscendo né la giustizia di Dio, tanto meno quella degli uomini, scappa e con un serbatoio di sangue freddo in corpo uccide quanti lo hanno fatto condannare. Compiuta la vendetta, povero ed infelice, comprende che l’unico posto dove può rifugiarsi è il carcere. Lo stato senza riaprire il precedente processo e riconoscere i torti commessi sulla sua testa, lo condannò all’ergastolo a vita, causandogli con ciò l’infermità di mente.
Nel film di Camerini, il secondo sulle gesta di don Peppino, dopo quello di Elena Notari del 1924, come nell’opera dei pupi, l’ambiente dove i personaggi si muovono è del tutto assente, nessuna descrizione che colloca in un contesto preciso le azioni sceniche, come riconosciuto a Il lupo della Sila, anche se vengono nominati, da Nazzari, San Luca e il Santuario.
Le pecche del film, recitato discretamente, provengono tutte dal soggetto e principalmente dalla sceneggiatura a cui prese parte un mucchio selvaggio di nomi che diventeranno molto attivi, in seguito, nella regia. Camerini in fase di realizzazione farà ulteriormente di testa sua mischiando il melodramma all’opera pupara. Questo non toglie che il film vada bene con gli incassi e le presenze nelle sale disseminate in tutta la penisola, isole comprese. Del resto in quegli anni il pubblico, fatto per la maggior parte, dal popolo delle periferie, di qualsiasi origine, urbana come della provincia, non chiedeva che fango, sudore e polvere da sparo, verniciati con un po’ di erotismo. Se cercate qualcosa di calabrese nel film ne troverete poca, anche la parlata è viziata di siculo-campano. Rimane Calabresella mia, accennata nella colonna sonora di Enzo Masetti e nella scena della vendemmia cantata dalle popolane, ma in realtà registrata in studio e sovraimpressa in bocca alle vendemmiatrici.
Tra gli attori voglio segnalare Gino Morisi nella parte del capo ‘ndranheta don Pietro Solemi. In certi momenti, per altro pochi, mi ricorda il Jason Robards di C’era una volta il west di mastro Sergio Leone, uno degli assistenti di Musolino. Pardon, di Camerini.

Resistenza e Rivoluzione


Roberto Rossellini 1906 - 1977
 

Alberto Lattuada 1914 - 2005



Alessandro Blasetti 1900 - 1987

Già nella Corona di ferro il genere sembra parodiare se stesso. Rossellini, Lattuada, Blasetti tentano già un realismo di classe internazionale. E’ tuttavia con la Liberazione che esso imparerà a liberare, altrettanto pienamente, le sue volontà estetiche, a permettere loro di svilupparsi in condizioni nuove che non mancheranno di modificarne sensibilmente il senso e la portata.

I Italia Resistenza e Liberazione non sono affatto, come la rivolta di Parigi, semplici frasi storiche. Rossellini ha girato Paisà in un periodo in cui il suo racconto era ancora attuale. Il bandito mostra come la prostituzione e il mercato nero si siano sviluppate nelle retrovie dell’esercito, come la delusione e la disoccupazione portino un prigioniero liberato al gangsterismo. A parte alcuni film che sono incontestabilmente dei film di “ Resistenza “ come Vivere in pace e Il sole sorge ancora, il cinema italiano si caratterizza soprattutto per la sua adesione all’attualità. … anche quando il nucleo essenziale della storia è indipendente dall’attualità, i film italiani sono prima di tutto dei reportage ricostruiti.

 Ne deriva che i film italiani presentano un valore documentario eccezionale, che è impossibile tirarne via la storia senza trascinare con essa tutto il terreno sociale nel quale affonda le sue radici.

Ciò che continua ad essere ammirevole e ad assicurare al cinema italiano un credito morale amplissimo nelle nazioni occidentali è il senso che acquista in esso la pittura dell’attualità. In un mondo ancora e già ossessionato dal terrore e dall’odio, in cui la realtà non è più quasi mai amata per se stessa ma solo rifiutata o difesa come segno politico, il cinema italiano è il solo a salvare, nel senso stesso dell’epoca che dipinge, un umanesimo rivoluzionario.



mercoledì 16 ottobre 2013

Fedeltà e rinnovamento

Scirocco d’inverno Miklos Jancso
  Nel cinema di Jancso, Scirocco d’inverno, ha la stessa importanza che hanno avuto Luci d’inverno e Persona di Bergman. Davanti a questi autori per i quali la fedeltà a se stessi coincide con un incredibile rinnovamento, corriamo il rischio di commettere gli equivoci più grossolani. Accusare autori come Hawks, Bergman o Jancso di ripetersi dimostra una fondamentale incapacità di mettersi in rapporto con la figura del cineasta.

martedì 15 ottobre 2013

lunedì 14 ottobre 2013

Paola non abita più qui

OGGI
Desiderio, il titolo originale era Scalo Merci, di Marcello Pagliero e Roberto Rossellini è una pellicola che mai sarebbe passata per il proiettore Fumeo del Cinema Loreto di Platì. Non per il divieto di monsignor Minniti quanto per l’ostracismo dei cataloghi di film per le sale parrocchiali quali la San Paolo Film o l’ Angelicus Film.
Eppure è la storia di un tentativo di redenzione da parte di una giovane donna che vuol tornare alla vita, conscia della strada senza ritorno imboccata nella grande città, dopo aver conosciuto un floricultore.
Attraverso costui Paola comprende che per cambiare vita deve tornare al paese natio, nella semplicità della vita quotidiana fatta di piccole conquiste, vita all’aria aperta, balli il sabato sera, condivisione degli sforzi in famiglia.
E’ tutta un’illusione: dal padre che rifiuta di perdonarla; alla sorella che la caccia di casa per averle infiammato il fresco marito; all’ex amante che rivedendola la perseguita ricattandola; ai paesani che conoscono il passato cittadino, è tutto uno sbatterle la porta in faccia.
Non rimane che il sacrificio. Ecco, Paola si sacrifica: Ma la Commissione Episcopale Italiana ed il Centro Cattolico Cinematografico non perdonarono a Elly Parvo di averci, per ventiquattro fotogrammi, fatto scorgere un piccolo seno, in questo ebbero una mano con le forbici pure dalla censura, che snaturò il film.
Figurativamente Desiderio - prodotto tra il 1943 e il 1945 e uscito a guerra finita -  sembra precorrere non tanto il neo-realismo bensì il post-neorealismo: riprese quasi sempre in esterni ed attori sensibilmente calati nella parte.
Anna Magnani anni dopo, in pieno post-neorealismo, quando desiderò prendersi una vendetta da Roberto Rossellini con Vulcano, diretto da quello zoticone di William Dieterle, puntò il cuore su Stromboli, con Ingrid Bergman, ma gli occhi erano su Desiderio.

giovedì 10 ottobre 2013

Eugenio, Pricò eTommi

OGGI
AL CINEFORUM PEPPUCCIO TORNATORE

Ho accennato per il film di Luigi Comencini, Voltati Eugenio, a due registi nostrani che hanno lavorato con i bambini: Vittorio De Sica e Kim Rossi Stuart.
I lungometraggi che hanno realizzato e quest’oggi ci interessano sono I bambini ci guardano e Anche libero va bene.
La distanza temporale tra i due è compresa in un arco di tempo di sessanta anni ma  sono pressoché simili nella rappresentazione dell’infanzia.  Pricò e Tommi sono bambini che di fronte agli adulti subiscono la realtà per loro creata.
I loro due papà, un ragioniere contabile ed un operatore alla stedycam,  il primo mite il secondo irascibile, hanno sposato due donne le quali vanno e vengono per i loro motivi …ormonali? Pur sempre le  signore sono legate alle loro creature che assistono a questo andirivieni con i danni che ne conseguono. Pricò spesso piange, Tommi è di solito silenzioso.
La perizia con cui i due piccoli protagonisti sono stati diretti è evidente -  De Sica dirige per la prima volta un bambino e Kim Rossi Stuart dirige per la prima volta  un film -  senza dover ricorrere a specialisti dell’infanzia, specie quando sono soli di fronte alla macchina da presa: Pricò in fuga con la passeggiata sui binari , incontro al treno, schivato all’ultimo momento e Tommi che vaga, senza protezione,  sul cornicione e sul tetto del palazzo dove abita o nel traffico cittadino.
La differenza, al termine dell’azione filmica, è che mentre il ragioniere non resiste e dopo aver collocato il figlio in collegio, si getta dall’ottavo piano,l’operatore trova motivo di sopravvivenza nell’attaccamento sfrenato con il suo bambino.
Nei lavori dei tre registi citati la realtà in cui si trovano i piccoli è molto ben evidenziata: nel film di De Sica, Pricò - l’Italia è in guerra e stanno arrivando gli alleati, sebbene tutto ciò non traspare nel film - si aggira per una Roma primaverile e successivamente è portato in una località balneare; negli anni di Comencini – i primi ’80 – si affacciano invece i conflitti sociali, disorganizzazione e disoccupazione e dei bambini non si accorge nessuno; nella realtà di Kim Rossi Stuart - più vicina a noi – i bambini chattano o sono parcheggiati nelle scuole di danza o in quelle di nuoto come di calcetto.
Eugenio scompare nel fotogramma, Pricò in collegio, Tommi nelle braccia di un delirante padre.

mercoledì 9 ottobre 2013

Brilliant trees


 “Molti anni fa nel paese di Satriano in Lucania alcuni uomini usavano ricoprirsi d’edera fino a diventare irriconoscibili, erano i romiti, uomini – albero, espressione di un antico culto arboreo, risalente al Medioevo. Camminavano con un bastone, al quale era legato un ramo di pungitopo o di ginestra e bussavano alle porte delle case per ricevere elemosina. Con il tempo il romito è diventato una maschera tra le tante, lentamente dimenticata dalle nuove generazioni”. “Alberi” è il nuovo film del regista di Calabrese Michelangelo Frammartino, che dopo “Le quattro volte” torna con i suoi racconti metafisici sulla natura meridionale.


lunedì 7 ottobre 2013

Whit his angel face

Gemma? Secondo me, Gemma è uno degli attori più nobili della generazione del ’60 perché è un ragazzo molto serio che si è fatto tutto da solo e che faceva tutto da solo senza ricorrere a controfigure. E’ rimasto com’era, con questa faccia così bella, così aperta, che rispecchia quello che veramente è dentro. Con lui ho fatto un unico film, ma ci lavorerei sempre volentieri, perché è una persona seria sia nella vita che nella professione, uno su cui ci si può appoggiare con la massima fiducia.
Sergio Corbucci.

I mercati migliori per il film d’azione sono il Giappone, La Germania, tutto il sud America, tutti i Paesi Arabi. Io sono il Marlon Brando di quel mondo! Per esempio in Marocco non posso girare a piedi: l’anno scorso sono andato a Marrakesch e si è rivoluzionata la città, non abbiamo potuto vedere nulla. Lo stesso è successo in Senegal, è stata veramente una cosa da far paura, perché mi arrivavano addosso come le mosche.
Giuliano Gemma


L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti  a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli op. cit.

Old Calabria land of myth

Accanto ai lungometraggi andrò proponendo qualche vecchio documentario, tra i più significativi, che illustrano la terra calabra. La regista di questo, Aurelia Attili, è una che più volte ha visitato la regione per fissarla su pellicola per conto dell'Istituto Luce.
Sequenze:
1. una antica cartina geografica descrive la Calabria nel periodo della dominazione greca
2. sul promontorio Lacinio a Crotone una colonna del tempio di Era guarda verso il mare
3. i marosi s'infrangono contro le coste frastagliate
4. sulla cartina vengono individuate con quattro punti luminosi le città di Reggio, Crotone, Locri e Sibari
5. una clessidra descrive il passare del tempo
6. dopo la conquista romana le montagne calabresi vengono violate dai Goti conquistatori
7. sul Busento il loro re Alarico venne ucciso, le rovine della tomba di Alarico
8. un castello medioevale sul mare
9. l'oblio in cui cadde la regione calabra viene eufemisticamente rappresentato da una clessidra ferma
10. il periodo è disseminato da flagelli naturali che corrodono montagne e colline riducendo la terra in luoghi argillosi e aridi
11. un acquitrino stagnante spiega la scarsità di acqua
12. le genti calabre si ritirano sulle colline presilane e sull'altopiano, panoramica della zona
13. i paesi abbarbicati sulle alture si affacciano su terre che non offrono nulla
14. i grandi latifondi concedono misere particelle coltivabili: uno spinoso cactus
15. un castello feudale abbandonato, un territorio senza coltivazioni
16. un gregge di pecore che abbandona il pascolo di pianura per raggiungere la Sila
17. le mucche all'abbeveraggio, gli abbaii dei cani da caccia nelle folte radure
18. panoramica sulla vallata senza colture: i contadini con gli attrezzi in spalla
19. panoramica delle montagne con in lontananza il mare
20. il ritorno alla casa vuota ed angusta, i volti della gente sono il ritratto della fame e della disperazione, bambini vestiti di stracci e sporchi
21. la vita nel paesino con i giochi innocenti dei bambini, una donna culla il suo bimbo seduta fuori della porta di casa al sole
22. le donne lavano i panni al fontanile del paesino nato tra le macerie
23. una donna porta la brocca sul capo per prendere l'acqua alla fontana
24. due donne mettono ad asciugare dei fili appesi ad un bastone, una donna lavora al telaio per tessere
25. primo piano della stoffa preparata con semplici disegni, quasi infantili
26. un'anziana signora ha teso i fili di lana alla finestra
27. due donne usano il fuso in strada ed un bimbetto gioca con lo strumento
28. il segnale del cambiamento viene raffigurato con il suono di una campana di chiesa
29. la clessidra riprende a far scorrere il tempo
30. un aratro affonda la sua lama nella terra secca
31. la cartina mostra quale sia il territorio che viene diviso tra i contadini secondo la nuova legge Segni sulla riforma agraria
32. in una estensione di oltre 500000 ettari sono stati ritagliati 76000 ettari di terreno distribuito tra 20000 contadini senza terra
33. un manifesto dell'Opera per la valorizzazione della Sila spiega come si fa parte delle liste
34. squadre catastali ripartiscono, qualificano e valutano i terreni espropriati
35. panoramica della terra con un fiume e buoi al pascolo
36. Santa Severina, il suo castello medievale, è stato il primo centro in cui è stata fatta l'assegnazione dei lotti
37. una folla riempie la piazza per ascoltare il discorso di Segni, primo piano del politico
38. tre contenitori con la scritta delle quote di assegnazione
39. una bimba con grande fiocco in testa fa la scelta dentro i contenitori
40. uno degli assegnatari firma
41. giovani calabresi mangiano pane, primo piano di uno di loro con la coppola
42. una leggenda racconta che Alarico ha sepolto in Calabria il suo tesoro
43. perle ed ori bagnate di acqua paragonate alle spighe rigogliose di un campo
44. il futuro della Calabria nel giovane volto di un ragazzo e nelle messi fluenti al vento


giovedì 3 ottobre 2013

Cine Città

Il duce inaugura Cinecittà

Il cinema del Duce
Si potranno fare tutte le riserve che si vogliono sui rapporti tra il Festival di Venezia e gli interessi politici del Duce, ma è incontestabile che questa idea del Festival Internazionale ha fatto, da allora, la sua strada e se ne misura oggi il prestigio nel vedere quattro o cinque nazioni europee annettersene le spoglie.

Se non avessimo avuto durante la guerra, e a buon diritto, un partito preso, film come Uomini sul fondo o La nave bianca di Rossellini avrebbero colpito un ò di più la nostra attenzione. Del resto, anche quando la stupidità capitalista o politica limitava al massimo la produzione commerciale, l’intelligenza, la cultura e la ricerca sperimentale si rifugiavano nella pubblicistica, nei congressi di cineteca e nella realizzazione di cortometraggi. Lattuada, regista del Bandito, allora direttore della cineteca di Milano, per poco non andava in prigione per aver osato presentare la versione integrale della Grande Illusione nel 1941.

Gusto e cattivo gusto delle scenografie, idolatria delle vedette, enfasi puerile della recitazione, ipertrofia della messa in scena, intrusione del tradizionale apparato del bel canto e dell’opera, storie convenzionali influenzate dal dramma, dal melodramma romantico e della chanson de geste per romanzo d’appendice.
Oggi che la carica degli elefanti di Scipione non è più che un rimbombo lontano, possiamo prestare orecchio un po’ meglio al rumore discreto ma delicato che fanno Quattro passe fra le nuvole.

Registi come Vittorio De Sica, autore dello splendido Sciuscià, si sono sempre dedicati alla realizzazione di commedie molto umane, piene di sensibilità e di realismo, fra le quali, nel 194: I bambini ci guardano. Un Camerini realizzava già nel 193 Gli uomini che mascalzoni la cui azione si svolge, come quella di Roma città aperta, nelle strade della capitale, e Piccolo mondo antico non era meno tipicamente italiano.
André Bazin, op. cit.

mercoledì 2 ottobre 2013

Lupi ed uomini


La Lux Film torinese, casa di produzione “illuminata” e antifascista nei primi anni quaranta (come si è spesso notato), sostiene senza sorprese la causa israeliana: di fatto la cultura ebraica costituisce la punta avanzata di quel modernismo laico-massonico entro i cui confini agisce con coerenza la cinematografia capitanata da Gualino e Gatti e perfettamente inserita nell’universo ideale prevalente da decenni nella metropoli dei Savoia e degli Agnelli.
Ancora il binomio Lux-Duilio Coletti, per il tramite del produttore Dino De Laurentis, mette in cantiere un nuovo “attacco alla tradizione” con la pellicola Il lupo della Sila (dicembre 1949; 95 min.), ambientato tra gli aspri paesaggi della Calabria rurale. Come già in numerose altre pellicola finanziate dalla ditta piemontese (si pensi ad esempio al simile Notte di tempesta di Franciolini, 1945; vedi) l’astuto meccanismo consiste nel calare una vicenda fumettistica, degna di un romanzo d’appendice, all’interno di una cornice dal sapore documentaristico e perfino “neorealistico” (riprese in esterni che valorizzano in modo abile il paesaggio calabrese, utilizzazione della popolazione locale, una magnifica fotografia in un denso e contrastato bianco e nero). Al centro viene collocata una figura mostruosa che finisce con il divenire emblematica di quel luogo e di quella cultura che si vogliono dipingere con accenti “arcaico-medievali”, pieni di disprezzo. Così Rocco Barra (Amedeo Nazzari), il più stimato proprietario locale, è un fanatico, disumano e autoritario difensore dell’onore familiare: dapprima impedisce alla sorella (Luisa Rossi) di scagionare il proprio amante (Vittorio Gassman) ingiustamente accusato di omicidio, decretandone in definitiva la morte; anni dopo invece, follemente inamorato di una giovane, prosperosa lavorante (Silvana Mangano), decide di sposarla senonché, quando il figlio Salvatore (Jacques Sernas), a cui sembra sinceramente affezionato, gliela porta via, lo insegue e immediatamente, saltando ogni doveroso chiarimento verbale, cerca di ucciderlo a fucilate. Insomma una vera e propria bestia infernale, animata da un feroce egoismo dettato da un’interpretazione estremistica e artificiosa delle tradizioni familiari del meridione d’Italia.
Si noti, per finire, che l’unica figura totalmente positiva è quella di Salvatore, un presunto calabrese interpretato da un attore francese (privo del minimo tratto somatico meridionale), il quale ha abbandonato la propria terra e le proprie convenzioni per vivere e studiare in una imprecisata, lontana e popolosa città: ovvero un perfetto e astratto modello di meridionale assimilato alla cultura laico-modernista.
Il film di Coletti, basato su questo sciocco soggetto inventato da Steno e Monicelli (e da loro sceneggiato con altri), è dunque soprattutto una caricatura indecente del costume del sud ad opera dei noti settori laici della Torino “illuminista”, settori assorbiti dalla propria guerra di modernizzazione di un’Italia rurale (fin dai tempi delle guerre d’indipendenza, della repubblica romana e dei Mille garibaldini) considerata oscurantista e inutile. In questa “guerra di religione” ogni mezzo è valido e ogni risorsa viene mobilitata: la bellezza provocante di Silvana Mangano (subito spogliata nella prima sequenza), l’autorità attoriale di Nazzari, la accattivante, veloce struttura narrativa (un Coletti finalmente in forma) animata da un montaggio serrato e da eventi spettacolari che si susseguono in modo trascinante (sebbene totalmente inverosimile) e infine una indubbia capacità di fotografare in modo perfino poetico la natura montagnosa e solcata di torrenti della Sila. Il pubblico resta giustamente soggiogato dal lavoro e ne sancisce un imprevisto, largo successo. Il centro cattolico al contrario, meno sensibile a queste qualità linguistiche e più attento alla visione ideale che la pellicola reca con sé, bolla con il solito “escluso” il prodotto Lux.

L’originale è qui:

Uomini lupi


« Queste immense distese di foreste, di rupi, di laghi, hanno un nome pieno di fascino, la Sila, cuore della Calabria. Gli uomini che vi nascono e vivono sono di una razza generosa e forte. In essi il cuore resta fanciullo, le passioni sono violente e schiette. Il destino segue il corso delle stagioni, del sole, delle tempeste. Nella solitudine e nel silenzio della Sila si perde il confine tra realtà e leggenda. Così avviene in questa storia d'amore e di sangue che fu tragicamente vera ed è già come un sogno ».

Con Il lupo della Sila prende avvio una trilogia che da posto anche a Il brigante Musolino e Rivalità in Aspromonte.
Sono opere messe in lavorazione con uno scopo preciso: fare di Silvana Mangano una diva a seguito dell’inaspettato successo riscosso con Riso amaro. Con la Mangano appaiono anche Amedeo Nazzari, ancora molto ricercato ed un fresco Vittorio Gassman sempre col preciso intendo di voler combinare guai.
Regista del lupo è Duilio Coletti uno che a sentire Alberto Sordi “ addirittura si metteva seduto dando le spalle alla macchina da presa e lasciava fare tutto agli aiuti “.
Quello che ancora oggi si apprezza di questo cupo dramma montanaro – dove un’avvenente ragazza, per vendicare la madre ed il fratello, si concede ad un proprietario terriero ed al di lui figlio ereditario, scatenando gelosia e rancore con il rituale scontro finale – oltre le immagini di una Sila incontaminata, catturata con il gusto fotografico dell’epoca da Aldo Tonti su pellicola Ferrania, è un passaggio di circa quattro minuti, riportato in allegato video, posto come intro delle vicende di lotta tra i due maschi protagonisti, di festosa vita paesana calabrese, anche questo sapientemente impresso dall’occhio dell’operatore alla macchina.
E’ un giorno di fiera che, come ancora si usa oggi nelle province dell’ex Regno delle Due Sicilie, precedono il dì della festa patronale. Si offre e si compra mercanzia di tutti i generi: animali d’allevamento come da cortile, utensili per il lavoro dei campi come della casa, e ancora prodotti della campagna e dolciumi accanto ad orchestrine, saltimbanco e cantastorie.
Per bocca di uno di questi ultimi, Rosaria scoprirà che il fratello che vuole vendicare.