mercoledì 29 agosto 2012

Bianco e Nero





Questo filmuni di John Ford in bianco e nero era nel listino dell’Angelicus dell’avvocato Mongiardo di Messina. Forse al Cinema di Loreto di Platì - il cui vero ed unico gestore è stato il mitico Mimmo Addabbo -  l’ho visto nella primissima tenera età assieme allo zio Peppino.
Le giornate di proiezioni settimanali erano tre: il martedì alle 19,30, il sabato alle 19,30 e la domenica alle 14,30 e alle 19,30. Lo spettacolo domenicale delle 14,30 era solo intasato di bambini, poche bambine, anzi non ne ricordo neanche una, comparivano solo durante le ore di catechismo, gli altri spettacoli erano frequentati dai grandi. Sabato e domenica il film era lo stesso, a colori e generalmente in cinemascope. Il martedì vi si proiettavano film per grandi e quasi sempre in bianco e nero come questo Fort Apache o Catene di Raffaello Matarazzo. I piccoli potevano immaginare quanto accadeva sullo schermo solo vedendo i manifesti e le foto che incollate su un supporto incorniciato di legno, protetti da una rete per non essere danneggiati, venivano appoggiati nella via XXIV maggio, di fronte il bar di papà, sulla parete della casa dove allora c’era l’ufficio postale, e ritirati la sera. Noi piccoli sapendo l’orario di uscita dei manifesti aspettavamo con impazienza l’arrivo dei cartelloni, portati da altri ragazzi più grandi che li sorreggevano agli angoli.
Finita questa piccola visione tutta immaginaria si tornava alla vera occupazione di quei pomeriggi:la merenda con fette di pane ed olio, correre per le strade, giocare nei casalini o nella fiumara, aspettando il cartellone del sabato per sapere a cosa si sarebbe assistito la domenica alle 14,30.



martedì 28 agosto 2012

Azione disinfestante, disinfettante



Trasferimento di modulazione  Piero (Pierfrancesco) Bargellini
   Film che non ammette spettatori perché non lo si guarda, ma lo si agisce, non spinge all’azione, azione disinfestante e disinfettante contro i bacilli del sentimento e della vergogna.




lunedì 27 agosto 2012

Where Do I Go from here


In questo articolo molto eloquente potete trovare quant'altro sul primo film di Michael Cimino


Una calibro 20 per lo specialista è il titolo di un piccolo capolavoro di M. Cimino, un film forse lasciato un po' ai margini della critica internazionale, forse per via della microstoria che narra, lontana da un fulcro storico preciso, al di là di luoghi personaggi eventi importanti, vicina però come non mai ai sentimenti che ruotano attorno ai quattro punti cardinali della narrazione: Caribù (Jeff Bridges), un giovane americano scapestrato che vive cogliendo l' attimo e che pagherà la sua sete di conoscenza morendo da 'eroe' (saranno parole sue), l' Artigliere (Clint Eastwood) e Leary 'il Rosso' (George Kennedy), due facce della stessa medaglia, entrambi pluridecorati eroi di guerra, qui antieroi che campando d' espedienti minano dal basso l' idea stessa del 'self-made-man', e Goody Geoffrey Lewis), spettatore impotente e capro espiatorio delle ire sterili dell'amico Leary. Non mi voglio soffermare sulla trama del film in questione, sarebbe troppo riduttivo e semplicistico tracciarne i lineamenti fondamentali, essendo, questa, un' opera che deve rubare qualcosa all' animo dello spettatore, non deve solo essere analizzata, deve essere amata emotivamente e seguita per la sua dimensione onirica. In fin dei conti, i quattro personaggi vivono dall' inizio alla fine un solo grande sogno: trovare un nuovo Eldorado, dopo le delusioni che la Storia ha riservato all' Artigliere e al Rosso, di qui l' escogitazione di assaltare una banca e fare soldi, progetto che sfumerà prima dell' alba, in un' escalation di piccolissimi e fragili errori che risulteranno fatali all' operazione, a cui conseguirà il ferimento e l' abbandono sulla strada di Goody, la morte di Leary sbranato dai cani del grande magazzino in cui aveva lavorato per finanziarsi la rapina, la prossima morte di Caribù per un colpo alla testa infertogli dallo stesso Rosso che voleva fuggire per tenersi il malloppo tutto per sé.
L' unico superstite sarà l' Artigliere che, proprio nell' ultima sequenza della pellicola, vediamo a bordo di una Cadillac tutta bianca, assieme al morente Caribù, uomo a cui l' ironia della sorte aveva tenuto in serbo di ritrovare il sito di una piccola scuola ove tanti anni prima aveva nascosto, dietro la lavagna, un bottino ingente. La finale fuga a folle velocità sull' autostrada a bordo della fuoriserie con accanto l'amico morto rappresenta l' inizio della nuova, rinnovata 'vita al massimo', questa volta, dell' Artigliere, che farà proseguire in se stesso l' ideale di libertà di Caribù.
Questa frammentaria introduzione al lavoro in questione ci permette ora di trovare simmetrie asimmetriche nell' evoluzione dei rapporti affettivi fra i quattro citati protagonisti, meglio fra il 'figlio' Caribù e il 'padre' Artigliere, il 'patrigno' Leary e Goody, lo dice il nome stesso, un uomo tutto sommato corretto, buono, trasparente e prevedibile. In opposizione, si può intendere l' atteggiamento fin d'apprincipio ingordo di Leary il Rosso, rosso di capelli come di sangue caldo, personaggio che sogna appunto un Eldorado che gli sarà vano, uomo infantile nel suo rapporto con l'altro sesso, voyeur ma facile a sparare come nessuno, insomma, un tipico esempio di parodia. Quando, nella prima sequenza, Caribù ci viene presentato come sorto dal nulla, pantaloni di pelle nera, aria sbruffona e simpatica, ridanciana, capiamo che sta inscenando un handicap alla gamba destra per gabbare un venditore d' auto usate onde rubargliene una senza targa. Notare che alla fine del film Caribù morirà in seguito, come detto, ad un colpo alla testa datogli da Leary, emorragia che gli paralizzerà non a caso gamba e parte destra del corpo. L' incontro con l' Artigliere avverrà per puro caso, questi travestito da prete mentre fuggiva da un complice di Leary che lo aveva scovato nella chiesetta dove si era imboscato, ma una sbandata del giovane grazie a cui ucciderà, investendolo, Larsen, sarà il punto di non ritorno per cui le vite dei due diverranno indissolubili, da quel preciso istante.
Ecco che la stessa disarticolazione della sceneggiatura non prevede la probabilità di calcolo, ma lascia all'imprevisto, totalmente all'imprevisto, ogni successiva articolazione del narrato. Tanto per citare qualche 'occasionalità', pensiamo alla bella scena dell' inseguimento delle due vetture, una quella rubata dal Artigliere, l' altra quella del Rosso, ad un certo punto il salto nel vuoto intenzionale di Caribù salva i due dagli inseguitori che, non altrettanto pronti, cadranno male e romperanno l' auto. Ancora, molto più avanti, dopo il furto alla banca, all' ingresso al Drive-In, sarà la cassiera stessa ad accorgersi del lembo della camicia di Leary penzolare al di fuori del baule della vettura di Goody, sospetto corroborato dall' accidentale starnuto del Rosso, che spingerà a chiamare la polizia, già peraltro sulle tracce dei ladri. Lo stesso colpo alla testa a Caribù avrà conseguenze disastrose, colluttazione che non avrebbe avuto luogo se Goody non fosse rimasto ferito mortalmente da una pallottola dei poliziotti, scatenando le ire di Leary. Al termine, il ritrovamento della scuoletta dismessa avverrà casualmente, l' Artigliere la riconoscerà come sbucata dal nulla, quando l' avevano cercata razionalmente in quel luogo per tempo. Insomma, Cimino pare dirci: gli eventi accadono di per se stessi e a nulla serve l' impegno degli eroi per modificare il loro corso.
Ma esiste un corso, o la storia si inventa istante per istante? Caribù agonizzante, sorridendo, chiederà all' amico, sulla Cadillac decapottabile, se allora sarebbero stati in salvo, e l' altro gli risponde: "Per adesso, credo di sì". Proprio da questa semplicissima frase dubitativa si evince il succo di tutto il film. L' affetto che lega i due compagni è diverso da quello che lega gli altri due, fra Leary e Goody non c'è protezione, non c'è condiscendenza, non c'è amicizia tanto che, quando Goody diverrà un peso morto, Rosso non ci metterà due volte a scaricarlo, dandogli il colpo di grazia. Uno psicopatico che, nella sua immediatezza da bruto, giura vendetta a tutti i costi, ma mentre l' odio per l' Artigliere è odio finto, serie di scaramucce che alla fin fine celano un' amicizia complicata, contorta a tratti, l' odio per Caribù è reale, iniziato anche questo casualmente, solo perché il ragazzo si era dimostrato un po' troppo ricco di battute, e queste a Leary non piacevano, il sentirsi deriso significava per lui essere messo in discussione, non essere più temuto da qualcuno, non importa da chi, ma esser pur sempre temuto e allora rispettato. Paradossale, l' unico istante in cui Rosso e il giovane paiono in assonanza è quello in cui quest' ultimo riassume un bell' episodio capitatogli la mattina stessa al lavoro da manovale, quando una bella ragazza nuda gli si è parata innanzi, da dietro una porta a vetri, in una villetta per cui l' impresa ristrutturava. L'atteggiamento morboso del cinquantenne lo rende ancor più infantile, riassodato quando, durante la rapina, legherà in posizione da coito un uomo e una donna, dopo averne guardati ad occhi spalancati i due sessi, addirittura scoprendosi il volto rendendosi riconoscibile. Tante piccole sfaccettature di un odio per i giovani, per la sessualità, da notare soprattutto quando il colpo mortale a Caribù gli sarà inferto essendo il ragazzo travestito da donna, idea che serviva per un aspetto del piano d' assalto alla banca; tanto per citare un ultimo esempio a mo' di rafforzamento, l' urinare di Goody verrà interrotto da uno sparo di fucile di Leary, durante l' inseguimento degli altri due. Diciamo che tutti questi episodi, in cui viene ad articolarsi Una calibro 20 per lo specialista, sanno di improvvisazione, da un alto, ma anche di estrema fissazione per quel che concerne i rapporti interpersonali: non esiste la benché minima trasformazione degli affetti fra i quattro, se non un certo amore paternalistico dell' Artigliere per Caribù, ma anche questo sa di predica, è tutto sommato falsamente esternato, se il giovane morrà, allora 'pace all' anima sua' sembra dire l' Artigliere quando spezza il sigaro nel portacenere e fugge in macchina, sull' auto che Caribù aveva sognato, una Cadillac tutta bianca. Solo quest' ultimo era sincero ed immediato, e avrebbe pagata la sua voglia di conoscenza con la morte, una conoscenza che non si addiceva all' eroe americano finito che voleva far ruotare il mondo attorno a sé. Vivrà solo l' Artigliere, ma il sogno dell' auto bianca non era più tale, la stava già guidando quando l' amico se ne era andato per sempre...
Autore  critica:  M.Crovella (da IAC)
Fonte:centraldocinema.it

L'originale invece si trova qui:
http://www.comune.re.it/cinema/catfilm.nsf/PES_PerTitolo/36F501EFEE00ABEEC1256EFD0032F6F5?opendocument

questa è la canzone per il film di PaulWilliams


domenica 26 agosto 2012

Michael Cimino & Clint Eastwood


Numerosi sono stati i soggettisti e sceneggiatori che hanno scritto esclusivamente per Clint Eastwood. Il primo, Jo Heims – Brivido nella notte -, l’ultimo, Randy Brown – l’ancora inedito Trouble with curve.
Michael Cimino è stato il secondo, con John Milius scrisse Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan del 1973. L’anno dopo Cimino fece il suo felice debutto con il film che tutt’ora per me rimane il  suo capolavoro ed uno dei migliori film dell’uomo senza nome Leoniano e dei Hogan, Callaghan, Frank Morris  ed altri Siegeliani.
Eastwood regista ed Eastwood attore nella sua lunga carriera si è mantenuto identico dal primo all’ultimo istante, questa e la sua vera forza. Nelle mani e nella mente di Cimino non si è spostato più di tanto.
Thunderbolt, l’Artigliere, è un eroe disilluso che con sguardo distaccato guarda la scaltrezza e bontà di Lightfoot, così come è disilluso e distaccato davanti alla morte di quest’ultimo che aveva trovato in lui l’unico suo vero amico. Questo discorso vale anche  di fronte ai suoi ex amici e compari - Gary Busey, Geoffrey Lewis, Gerorge Kennedy -, che lo cercano per fargli la pelle. L’amicizia virile, l’aveva capito bene Cimino è uno dei fulcri su cui si basa il cinema dell’attore come del regista Eastwood.
Tutto questo discorso lo applico alla regia di Cimino che costruisce immagini dense di pathos quando ci conduce nello svolgersi della sua prima opera.
Infine voglio fare notare una costante del cinema di Cimino: il landscape. Il suo e un modo di riprodurre l’ambiente che mi riporta alle trasposizioni su tela fatte da Edward Hopper con l’aggiunta di carrelli e gru su cui è montata la Panavision dotata di lente anamorfica.
Dal Cacciatore in poi sarà tutto questo ed ancora un altro Cimino, e altro sarà il suo cinema!



giovedì 23 agosto 2012

Il cielo sopra Edmund



Roberto Rossellini usava cinepresa e schermo come Giovanni Verga usava penna e pagina

mercoledì 22 agosto 2012

Aiutami!

OGGI
AL CINEFORUM PEPPUCCIO TORNATORE


Fuori competizione a Cannes nel 1970 insieme a Tristana di Luis Bunuel è il quinto film di Sidney Pollack ed è un’opera che arriva come un pugno nelle parti basse del corpo. In quei primi anni 70 fece abbastanza chiasso, facendo alzare le quotazioni del regista, il ballo da azione rigeneratrice diventa una manifestazione degradante, per la sua presa di posizione contro il potere rappresentato duramente da Gig Young. Con l’estrema richiesta di Gloria  ( Jane Fonda) risulta anche essere una liberazione da quel potere e da una vita disumana.


Let it...




Lascia che la gente ti ami o ti odi. Nick Ray, Sono stato interrotto

lunedì 20 agosto 2012

Grandi e piccoli

OGGI


La storia è la storia si sa, il cinema è il cinema, pure questo si sa.
Costantino, non Nino Costantino - il primo regista messinese di videoclip musicali – figlio di Costanzo Chlorus "pallido"  ed Elena,  bona stabularia, “buona locandiera”,  risulta essere stato un uomo ambiguo e violento, fece uccidere la moglie Fausta ed il figlio Crispo per una presunta relazione.
La sola grandezza del film di Lionello De Felice è nei titoli di testa, con il catalogo di alcuni grandi del cinema italiano, da Massimo Serato ad Elisa Cegani, da Ennio DeConcini a Mario Nascimbene, elencati con sullo sfondo Piero Della Francesca che di cinema, anzitempo, se ne intendeva.
Dentro il cinema Loreto di Platì i bambini freschi di catechismo sognavano imprese grandi come quelle affrescate da un altro grande, Massimo Dallamano, per presentarsi candidi alla prima comunione.




domenica 19 agosto 2012

Le armi del cinema



Fraulein Doktor   Alberto Lattuada
  Ci troviamo di fronte ad un labirinto senza via d’uscita, ad un gioco di specchi che trova la ragione di essere nel suo infinito  potere di rinnovazione. Le armi di cui tutti si servono sono la messa in scena e l’illusione che sono poi le armi del cinema, e questo spiega perché Fraulein Doktor può essere un film sul conflitto tra realtà e finzione è anche un film sul cinema, tanto più anzi.

giovedì 16 agosto 2012

New York - Rouen

Robert Kramer a Taomina ( polaroid Mittiga)

22 giugno 1939, New York City, New York, USA
10 novembre 1999, Rouen, Seine-Maritime, Haute-Normandie, Francia

C'era una volta il Vietnam, parte seconda



Se per un verso Apocalypse Now ha a che fare con la psichedelica degli anni ‘60/’70, ormai al tramonto, non per niente a me  il volto di Francis Ford Coppola richiama quello del defunto Jerry Garcia, Il Cacciatore – The  Deer Hunter ha che fare con certa letteratura europea che parte da Guerra e Pace ed arriva a Cuore di tenebra  continuando a camminare verso certi stati d’animo descritti da autori a noi contemporanei quali Camus o Malcom Lowry: parafrasando il testo di quest’ultimo viene sa scrivere Sotto le risaie.
Stranamente i migliori film post vietnam sono stai confezionati da autori italo-americani: a Coppola e Cimino va aggiunto Brian De Palma con Vittime di guerra, mentre Robert De Niro andava a spasso dentro il tema facendo ora il soldato ora il reduce. Nel film di Cimino ha però la possibilità di fermarsi e riflettere guardandosi negli occhi del  cervo, prima di decidere se premere o no il  grilletto.
Anteriormente ai film americani sul Vietnam, i soli ad occuparsi di quella guerra, inutile e capricciosa come i guerrafondai, furono gli autori francesi ed italiani a richiamare  le platee su quanto accadeva in Indocina e su tutti Jean-Luc Godard e  Bernardo Bertolucci che con spirito sessantottesco inscenavano l’impatto mentale che aveva sulle candide menti  intellettuali dell’epoca. E se a Godard bastavano i suoni di mitraglia o mostrare Belmondo davanti allo schermo che proiettava incendi e devastazioni, a Bertolucci bastava mostrare la bandiera vietnamita per additare ai giovani l’ora della rivoluzione.


martedì 14 agosto 2012

C'era una volta il Vietnam



Questo è il vero Conradiano Cuore di tenebra. Quanto detto, in un flashback in avanti, sul cinema di Cimino, qui trova la sua summa: etnie, natura, scontri razziali, conservatorismo e... De Niro con una fascia attorno alla nuca come un vero Navajo. La schiera di grandi attori, tra cui il grandissimo,prematuramente scomparso, all'epoca uomo della Streep, John Cazale, fa il resto, in una gara di bravura, che non si sa a chi dare la palma della vittoria.